La missione impossibile di leggere un Haaretz a Teheran


l'editoriale del direttore
È il più antico quotidiano israeliano, voce della sinistra laica e liberal, dal 7 ottobre in poi critico intransigente di Netanyahu. Ma è anche il simbolo di una democrazia che accetta il dissenso, l’unica libera nel medio oriente ostaggio dell’oscurantismo islamista
Provateci voi a leggere un Haaretz a Teheran. Non c’è nulla di più divisivo di Israele, oggi. Non c’è nulla di più divisivo di Netanyahu, di questi tempi. Non c’è nulla di più drammatico che osservare le immagini che arrivano da Gaza, ormai da mesi. Eppure, nonostante tutto, quando si parla di Israele, quando si parla di Netanyahu, quando si parla di Gaza non dovrebbe essere difficile trovare un elemento in grado di unire sia chi considera Israele il nuovo demonio sia chi Israele invece continua ad amarlo. Il punto di incontro è importante, è conosciuto, non è spericolato e coincide con un’abbreviazione di una formula biblica. “Eretz Yisrael”, ovvero “Terra di Israele”, la cui abbreviazione coincide con una parola che conoscerete tutti. Sia chi ama Israele sia chi non lo sopporta più: “Haaretz”. Haaretz è il più antico quotidiano israeliano ancora in attività, è stato fondato nel 1918, ha un legame profondo con la storia ebraica, rappresenta la voce della sinistra laica, liberal e critica, ed è il giornale più compulsato da tutti coloro che cercano da mesi di inchiodare Netanyahu alle sue responsabilità.
Haaretz, dal 7 ottobre 2023, dal giorno dell’attentato che ha cambiato la storia di Israele, ha scelto di seguire una linea dura, intransigente, di critica profonda, nei confronti del governo Netanyahu. Lo ha accusato di tutto. Lo ha descritto come un leader manipolatorio, incendiario, spregiudicato. Lo ha accusato apertamente di mentire in modo sistematico. Lo ha accusato di proseguire la guerra a Gaza anche quando avrebbe i numeri per fermarla, pur di non rompere con gli estremisti religiosi. Lo ha accusato di non rappresentare più Israele e di usare la guerra per fini politici. Lo ha accusato di aver portato avanti una gestione della Cisgiordania disumana mettendo sotto accusa la violenza dei coloni. Ha dato spazio, sulle sue pagine, anche ad alcuni storici dell’Olocausto che hanno affermato come la distruzione sistematica e l’indiscriminato attacco ai civili e la fame imposta a Gaza rientrino nella definizione di genocidio. E negli ultimi tempi, raccogliendo racconti anonimi smentiti dal governo israeliano, ha accusato Netanyahu di aver dato l’ordine al suo esercito, nella striscia di Gaza, di aprire il fuoco contro i civili palestinesi vicino ai siti di distribuzione degli aiuti umanitari. Non c’è nulla di più distante dall’Israele di oggi rispetto a Haaretz. Eppure gli stessi osservatori, politici e intellettuali che attingono acriticamente da ogni riga di Haaretz dovrebbero avere il coraggio di fare un passo in più e riconoscere che Haaretz non è solo il simbolo di tutto ciò che gli amici di Israele non vogliono vedere. Ma è prima di tutto il simbolo di ciò che i nemici di Israele si rifiutano di vedere e che le pagine di Haaretz sono lì a dimostrare ogni giorno: una democrazia libera, e l’unica libera nel medio oriente ostaggio dell’oscurantismo islamista. Haaretz è l’unico giornale in medio oriente che parla male del proprio paese e non finisce al rogo e non dovrebbe essere complicato ricordare che nessun giornale in Egitto, in Giordania, in Libano, in Iran o Arabia Saudita potrebbe criticare quotidianamente il proprio leader senza censure o rappresaglie. Haaretz non è un organo di partito, non è stampa clandestina, è un quotidiano libero che dà voce a un campo minoritario senza smettere di credere al progetto israeliano. David Parenzo, nel suo libro dedicato a Israele, “Lo scandalo Israele”, ricorda le storie di due cronisti di Haaretz: Amira Hass, che ha vissuto a lungo a Ramallah e Gaza e racconta la vita quotidiana sotto occupazione, e Gideon Levy, che è uno degli editorialisti più impopolari tra i nazionalisti israeliani, ma che proprio per questo è un simbolo di libertà. Ricorda che nessun paese autoritario permetterebbe a queste voci di scrivere ogni giorno sulla stampa nazionale, e anche se Netanyahu ha cercato di rendere la vita più difficile a Haaretz, togliendo il giornale dalle mazzette pubbliche e chiudendo i rubinetti della pubblicità del governo, Haaretz è lì a ricordare che la forza di Israele sta anche nella possibilità che un giornale israeliano critichi radicalmente il proprio governo, con una libertà che in altri paesi della regione sarebbe semplicemente inimmaginabile. Parenzo ricorda che Haaretz incarna precisamente un modo ebraico di fare opposizione: attraverso la discussione, il dubbio, la messa in discussione del potere, e Haaretz è in questo senso uno spazio dove la cultura ebraica si confronta con sé stessa, con la sua storia, con l’idea di uno stato. Haaretz viene spesso citato da coloro che sostengono che Israele non abbia pluralismo e che non sia un paese davvero democratico. Eppure la storia di Haaretz dovrebbe ricordarci che Israele è l’unico paese del medio oriente in cui le donne possono essere generali, giudici supremi, primi ministri, ambasciatrici, ceo di multinazionali, che Israele è l’unico paese della regione in cui si può svolgere un Gay Pride, che Israele è l’unico paese del medio oriente in cui gli arabi possono sedere in un Parlamento, che in Israele vi sono due milioni di cittadini arabi israeliani, pari al 21 per cento della popolazione. Haaretz, mentre critica chi governa Israele, offrendo ogni giorno elementi utili per i nemici di Israele per lanciare pietre contro lo stato ebraico, con la sua opposizione, il suo senso critico, la sua battaglia anti Netanyahu è lì a ricordarci qual è la vera ragione per cui i vicini di casa di Israele, su sette fronti diversi, sognano la sua distruzione, sognano la sua fine, sognano una Palestina che arrivi dal fiume al mare. Israele è una grande democrazia, una democrazia che funziona, una democrazia libera, una democrazia che come tale, essendo libera, commette anche degli errori, a volte gravi, altre volte gravissimi. Ma la ragione per cui i suoi nemici, gli stessi che leggono Haaretz, sognano di annientarla c’entra poco con quello che sta succedendo a Gaza. E c’entra molto invece con il grande scandalo di Israele: una democrazia libera, aperta, in cui il dissenso è tollerato, in cui le opposizioni non vengono arrestate e in cui plasticamente ogni giorno è possibile vedere cosa significhi vivere sotto un regime che trasforma le libertà in un reato e cosa significhi invece vivere sotto una democrazia che pur essendo in guerra trasforma le libertà non in un virus corrosivo ma in una virtù da difendere. Provateci voi a leggere un Haaretz a Teheran.
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