Max Mara si offende perché il sindaco difende le operaie

Il caso delle lavoratrici sfruttati
Chiedo un’informativa in Aula alla Ministra Calderone: i padroni si sono offesi, hanno reagito con ripicca. Il Polo della Moda di Reggio Emilia - concordato col Comune - è annullato

Chiedo un’informativa in Aula alla Ministra Calderone. I padroni di Max Mara si sono offesi, irrevocabilmente. Punti nell’orgoglio, hanno reagito con ripicca. Il Polo della Moda di Reggio Emilia è stato annullato. Poco importa se quel progetto fosse stato concordato con l’amministrazione comunale. Loro non ci stanno più, e sapete perché? Perché il sindaco Massari ha osato incontrare le operaie della Manifattura San Maurizio in sciopero.
Peggio, ha detto che le loro segnalazioni meritano attenzione e si è augurato l’apertura di un dialogo con l’azienda. Poi ha timidamente suggerito che, forse, sarebbe opportuno applicare il contratto nazionale di lavoro. E come si permette costui un tale sgarbo nei confronti dei detentori del capitale? E che vogliono queste operaie? Che roba, Contessa! Dicevano, pensi, di essere sfruttate. Raccontavano anche altro: che sono state chiamate “mucche da mungere”, “grasse”, “obese”, invitate a fare esercizi a casa per dimagrire, controllate quando andavano in bagno. E queste, diciamo, sono le “note di colore”. L’inutile umiliazione che accompagna lo sfruttamento. Poi ci sono i pagamenti a cottimo, i permessi negati, le ferie imposte, i ritmi insostenibili, il mancato riconoscimento salariale. Poi c’è il fatto, ormai tristemente usuale, che Max Mara esegue tutta logistica in appalto. E fa di peggio: non intrattiene relazioni sindacali e non applica il CCNL del Tessile, ma un regolamento interno. Ripeto: uno dei leader mondiali della moda non applica il Contratto collettivo nazionale.
Da qui quello sciopero, che è un fatto storico. Un fatto che chi ha a cuore la democrazia, la Costituzione e i diritti dovrebbe salutare con emozione. Perché è il primo sciopero dopo oltre quarant’anni, la prima grande prova di coraggio da parte di questo gruppo di lavoratrici. Un esercizio di democrazia e di dignità. L’azienda ha risposto: con una lettera di dissociazione dalla vertenza firmata da una parte minoritaria delle dipendenti. Mi aspetto che il Governo esprima la sua solidarietà a chi sta scioperando. E condanni la logica padronale con cui un’azienda applica ritorsioni a un’intera città, proprio per allontanare le istituzioni dalle rivendicazioni del lavoro. Per rimarcare chi comanda. Ma la famiglia Maramotti non è al di sopra della Costituzione, né dello Statuto dei Lavoratori e delle Lavoratrici. La Viceministra Bellucci ha dovuto riconoscere l’esistenza di “situazioni problematiche”. Ma soprattutto, l’Ispettorato del Lavoro ha confermato le criticità denunciate dalle lavoratrici. Perciò quei padroni farebbero bene a mostrare meno arroganza. Perché nessuno si beve più la bella favola dell’“artigianato di eccellenza”. E il mondo della moda – che rappresenta il 5% del PIL nazionale – non può sostenersi su lavoro schiavistico.
*Deputato Avs
l'Unità