Non è un paese per giovani senza una Valutazione d’impatto generazionale


foto Ansa
tutele mancanti
L’Europa spende dieci volte di più per gli anziani che per i bambini e le famiglie. In Italia, questa sproporzione è ancora più marcata. Serve uno strumento per misurare l’impatto delle leggi sui giovani
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In un paese che invecchia inesorabilmente, è inevitabile immaginare politiche di adattamento: riforme della sanità, del welfare, delle pensioni. Ma in Italia manca una visione per riequilibrare la distribuzione delle risorse tra le generazioni. E manca uno strumento per misurare l’impatto delle leggi sui giovani. I dati sono implacabili: l’Europa spende dieci volte di più per gli anziani che per i bambini e le famiglie. In Italia, questa sproporzione è ancora più marcata. Non si tratta solo di finanza pubblica. Il problema è anche culturale e istituzionale: la Costituzione garantisce diritti inviolabili ai cittadini, ma non tutela esplicitamente le generazioni future. Solo con la riforma dell’articolo 9, nel 2022, è stata introdotta una clausola esplicita a favore dell’ambiente “anche nell’interesse delle future generazioni”. Ma se la preoccupazione per il clima trova oggi spazio nel discorso pubblico, lo stesso non accade per le politiche intergenerazionali più ampie. Serve uno strumento per ottenerlo: una Valutazione di impatto generazionale (Vig) delle leggi e dei regolamenti.
La Vig potrebbe diventare la misura qualitativa della legislazione del futuro ma bisogna evitare di ripetere gli errori del passato. In Italia esistono già due strumenti: l’Analisi di impatto della regolazione (Air), da svolgere prima della presentazione di una norma, e la Verifica di impatto della regolazione (Vir), da svolgere ex post. In teoria, si tratta di meccanismi preziosi, ma in pratica sono rimasti ai margini del processo legislativo. I motivi del fallimento sono tre. Primo: l’Air è affidata agli stessi uffici che propongono le leggi. Secondo: la Vir è raramente applicata perché il ritmo dell’attività legislativa non permette una riflessione ex post, e perché mancano sanzioni o incentivi per realizzarla davvero. Terzo: né Air né Vir sono stati dotati di risorse, competenze e indipendenza sufficienti per influenzare il policymaking.
Il punto è cruciale oggi, perché c’è un’occasione per inserire la Vig nel nostro ordinamento: il ddl sulla semplificazione normativa approvato dal Senato lo scorso 8 maggio. Il testo prevede (art. 4) l’introduzione della valutazione d’impatto generazionale, ma purtroppo la lega all’Air, affidandola quindi agli stessi proponenti delle norme, con un approccio parziale: limitato ai soli aspetti sociali e ambientali, escludendo quelli economici e redistributivi. Come se l’effetto sulle finanze pubbliche, sulla tassazione o sull’equità intergenerazionale non avesse nulla a che vedere coi giovani. Nel passaggio alla Camera, il testo si è ulteriormente appesantito. Si rischia così un doppio fallimento: la burocratizzazione di un’idea potenzialmente utile e il suo svuotamento sostanziale. Mentre l’unico criterio per valutare una buona legge dovrebbe essere la sua capacità di durare nel tempo e di servire equamente le generazioni.
A livello locale, invece, qualcosa si muove – e funziona. La città di Parma è stata la prima, nel 2023, a introdurre la Vig nei propri documenti programmatici. Parma sarà anche Capitale europea dei giovani nel 2027, e ha avviato un percorso di ascolto e inclusione strutturata delle esigenze delle nuove generazioni. Bologna ha seguito nel 2024, e punta a redigere il primo bilancio intergenerazionale. Altri comuni stanno aderendo, anche grazie al lavoro di Anci, che nel maggio 2025 ha pubblicato delle linee guida per diffondere la Vig nelle amministrazioni locali. A differenza delle procedure nazionali, qui la valutazione non è affidata agli stessi uffici che producono i documenti, ma avviene con un coinvolgimento più ampio: si tratta spesso di strumenti partecipativi, che incrociano dati, evidenze e ascolto dei giovani stessi. In altre parole, funziona perché non è solo tecnica, ma anche politica. E’ un modo per strutturare quella “Youth perspective” che a livello europeo si cerca di promuovere: un principio secondo cui ogni atto normativo dovrebbe essere valutato rispetto al suo impatto sulle nuove generazioni.
E’ evidente che il ministero dell’Economia, che giustamente pretende il controllo sulla sostenibilità dei conti pubblici, possa nutrire una certa diffidenza verso l’introduzione di vincoli ex ante o valutazioni aggiuntive. Ma è altrettanto evidente che senza un punto di vista generazionale ogni politica redistributiva rischia di privilegiare chi ha più potere oggi – e non chi vivrà domani.
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