Perché Fratelli d’Italia apre al terzo mandato: il bluff di Meloni

L'apertura tra tattica e strategia
Difficile credere che l’apertura di Meloni sia sincera: si tratta piuttosto di dare un contentino alla Lega, a costo zero: a fermare tutto sarebbe FI

Ma Giorgia considera davvero la possibilità di riaprire le porte sin qui blindate per il terzo mandato di governatori (e sindaci) oppure vuole solo apparire come leader di coalizione generosa e disponibile, tanto poi a bloccare ogni velleità di terzo mandato ci penserà Forza Italia? La risposta non c’è. La premier in materia è misteriosa. Di certo si può dire solo che il tema è in campo, tanto che probabilmente, anche se i presenti negano, se ne è parlato ieri nel vertice dei leader di maggioranza che ufficialmente si è invece occupato solo di legge sul fine vita.
Ma la probabile chiacchierata non ha sciolto il nodo né fatto luce sulle reali intenzioni della premier. Tajani, come previsto, continua a opporsi: “Non ne abbiamo parlato ma noi restiamo contrari. Siamo pronti a discuterne ma non è che cambiamo posizione”. Suona come un no senza appello. Salvini, come è ovvio, è attestato sul fronte opposto, primo sponsor del terzo mandato. Giorgia sta in mezzo ed è una sfinge. Un secondo vertice riunito a Montecitorio, presenti gli alti ufficiali di tutta la maggioranza, ha comunque passato la palla ai tre leader massimi: “Decidano loro”. Con Fi determinata ad affossare la proposta non ci sarebbe spazio di sorta, neppure se la destra accettasse, come peraltro non farà mai, di dividersi in Parlamento. Non è detto però che Fi e l’altra componente del centrodestra ostile all’ulteriore mandato, Noi moderati, siano davvero inamovibili. Tajani tiene duro sullo ius scholae: “Salvini non è d’accordo? Non devo chiedere il permesso a nessuno per presentare in Parlamento una legge. Non do ordini e non ne prendo”.
In Parlamento una maggioranza per lo ius scholae probabilmente ci sarebbe ma, dichiarazioni bellicose a parte, è poco probabile che il vicepremier azzurro arrivi davvero alla divisione in aula della maggioranza e a maggior ragione su un tema al quale l’elettorato di destra è così sensibile. Lo scambio sarebbe possibile. Ma proprio la centralità dell’immigrazione nell’impianto ideologico sia del Carroccio che di FdI rende molto improbabile il mercimonio. Potrebbero essere rintracciate altre monete di scambio. Per Noi moderati, ad esempio, la candidatura a sindaco di Milano di Lupi, che ci tiene moltissimo. Ma prima anche solo di considerare seriamente l’ipotesi di un baratto o di una vera trattativa con i centristi la premier dovrebbe essere convinta e determinata. Non lo è o non lo è ancora. La rosa ha le sue spine ma ha anche parecchi petali. Risolverebbe il problema del Veneto che si complica sempre di più. Con Zaia fuori gioco i tricolori veneti sono impegnati in una guerra interna perché sono in molti a reclamare l’eredità. Fi, che ha da sempre puntato sull’ex sindaco di Varese Tosi, non ha alcuna intenzione di ritirarsi. La Lega pretende che la roccaforte resti comunque guidata dal Carroccio ma i candidati su cui punta il segretario Salvini e quelli del vicerè Zaia non sono affatto necessariamente gli stessi.
Se questo caos dovesse portare alla vittoria della sinistra sarebbe né più né meno che la crisi di governo, ma è ipotesi remotissima. Però anche solo una lacerazione profonda della maggioranza e persino della sola Lega avrebbe effetti destabilizzanti di portata imprevedibile. Il terzo mandato metterebbe al sicuro il Veneto e in compenso trasferirebbe l’ordigno in casa Schlein. De Luca si candiderebbe senza dubbio in Campania ma la segretaria del Pd non potrebbe in nessun caso abbandonare il candidato di Conte, che sarà quasi certamente Roberto Fico, pena la prematura scomparsa del Campo in questo caso non tanto largo ma pur sempre Campo. Perché, se i vantaggi sono così cospicui la premier esita e non riesce a decidersi? Probabilmente perché la possibilità di ricandidarsi renderebbe intoccabili Fontana in Lombardia, Fedriga in Friuli, l’azzurro Cirio in Piemonte. E Giorgia dovrebbe rassegnarsi a restare a bocca asciutta nel Nord ancora per anni. È un prezzo che, dopo aver puntato per anni alla conquista di almeno una delle regioni del Settentrione, la premier non vuole pagare.
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