Referendum su lavoro e cittadinanza, quorum lontano: affluenza al 30%, la destra esulta e attacca Cgil e opposizioni

Il voto dell'8 e 9 giugno
Il quorum lontano venti punti, con l’affluenza che si ferma lontanissima da quel 50 per cento più uno degli aventi diritto alle urne per legittimare i cinque quesiti. I referendum su lavoro e cittadinanza proposti da Cgil e appoggiati da Partito Democratico, Movimento 5 Stelle e Alleanza Verdi-Sinistra, col sostegno delle altre opposizioni esclusivamente sul quesito riguardante il dimezzamento da 10 a 5 anni del periodo di residenza continuativa per ottenere la cittadinanza, non passano.
Alle 15 di lunedì 9 giugno, con le urne chiuse, il quorum è un miraggio con l’affluenza che si è fermata al 30,5 per cento: lo era d’altronde già dopo i primi dati diffusi nella giornata di domenica, primo giorno di urne aperte, quando i numeri del Viminale evidenziavano che l’obiettivo fosse irrealistico.
Quanto ai primi dati provenienti dagli scrutini dei cinque questi, la prima scheda (relativa al reintegro per i licenziamenti illegittimi) è quella che riscuote la percentuale più alta di sì: 86,81%, con 1.322 sezioni scrutinate su 61.591. Per gli altri tre quesiti sul lavoro (licenziamenti, tutela contratti a termine, responsabilità per infortuni sul lavoro, i sì viaggiano tra l’83% e l’85%. Più divisiva la scheda sulla cittadinanza italiana: con 179 sezioni scrutinate, i sì sono al 59,19%, i no al 40,81%.
Quanto alle prime reazioni politiche da Fratelli d’Italia, il partito della premier Giorgia Meloni che si è recata domenica al seggio elettorale senza però ritirare le schede, gesto che di fatto ha lo stesso valore di chi non si è presentato (non verrà infatti conteggiata nel calcolo dell’affluenza), si esulta per il risultato attaccando i promotori: “L’unico vero obiettivo di questo referendum era far cadere il Governo Meloni. Alla fine, però, sono stati gli italiani a far cadere voi”, scrive FdI sui social.
L’unico vero obiettivo di questo referendum era far cadere il #GovernoMeloni. Alla fine, però, sono stati gli italiani a far cadere voi. pic.twitter.com/TLBdrCIH2l
— Fratelli d’Italia 🇮🇹 (@FratellidItalia) June 9, 2025
“Le opposizioni hanno voluto trasformare i 5 referendum in un referendum sul governo Meloni. Il responso appare molto chiaro: il governo ne esce ulteriormente rafforzato e la sinistra ulteriormente indebolita”, aggiunge poi il fedelissimo della premier Giovanbattista Fazzolari, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, intercettato fuori da Palazzo Chigi.
Di “devastante sconfitta per Schlein, Landini, Conte e compagni” parla invece la vicesegretaria della Lega, Silvia Sardone, mentre il vicepremier e leader del Carroccio Matteo Salvini dice di avere “grande rispetto per chi è andato a votare” ma che si tratta di una “enorme sconfitta per una sinistra che non ha più idee e credibilità e che non riesce a mobilitare neanche i propri elettori. In due anni e mezzo al governo del Paese abbiamo ottenuto il record di italiani al lavoro, disoccupazione ai minimi, crescita dei posti fissi e calo del precariato: alla sinistra lasciamo le chiacchiere, Lega e governo rispondono con i fatti, e gli italiani col voto (e il non voto) di ieri e oggi lo hanno capito benissimo”. Da Forza Italia il vicepresidente vicario dei deputati Raffaele Nevi scrive che il “fallimento” dei referendum è “una buona notizia per l’Italia, dimostra che gli italiani hanno archiviato definitivamente lo scontro tra lavoratori e imprenditori che si voleva riproporre”. Per l’altro vicepremier, il segretario di FI Antonio Tajani, la basse affluenza “è stata una sconfitta della sinistra e dell’opposizione che voleva tentare l’assalto al governo utilizzando il grimaldello dei referendum. La cosa è andata male, il governo si è rafforzato, l’opposizione si è indebolita”.
Il mancato raggiungimento del quorum rilancia poi nuovamente la resa dei conti nel Partito Democratico tra l’area vicina alla segretaria Elly Schlein, che ha schierato il partito per cinque sì ai quesiti, compresi quelli sul lavoro per cancellare il Jobs Act di epoca renziana, e l’area “riformista” già in rotta col Nazareno su temi come Ucraina e Gaza.
Le parole più dure arrivano dall’europarlamentare Dem Pina Picierno, che parla di “sconfitta profonda, seria, evitabile” e di “regalo enorme a Giorgia Meloni e alle destre”. “Fuori dalla nostra bolla c’è un Paese che vuole futuro e non rese di conti sul passato. Ora maturità, serietà e ascolto, evitando acrobazie assolutorie sui numeri”, il post su X di Picierno.
Tra i promotori invece il primo a parlare è Riccardo Magi, leader di +Europa e promotore del referendum sulla cittadinanza. “Vedendo i primi dati, non definitivi, qualcosa si piò già dire: ha vinto l’astensionismo organizzato che si è fatto forte dell’astensionismo spontaneo e della mancanza di informazione. Non ci sentiamo, però, sconfitti e non si devono sentire sconfitti i milioni di italiani che hanno votato sì al referendum cittadinanza e le organizzazioni che hanno aderito al comitato promotore perché abbiamo rimesso al centro del dibattito il tema della riforma della legge sulla cittadinanza”, le parole del leader radicale.
Ammette la sconfitta Maurizio Landini, che in conferenza stampa nella sede del Comitato promotore per i referendum sul lavoro, dove ha atteso i risultati insieme al resto della segreteria confederale, spiega che l’obiettivo del sindacato era “raggiungere il quorum, è chiaro che non lo abbiamo raggiunto. Oggi non è una giornata di vittoria. Contemporaneamente gli ultimi dati ci dicono che sono oltre 14 milioni le persone che hanno votato nel nostro Paese cui si aggiungeranno gli italiani all’estero: un numero importante, un numero di partenza. I problemi che abbiamo posto con i referendum rimangono sul tavolo”.
l'Unità