Trent'anni senza l’Alex verde. Langer, tra genio e umanità


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Pace, ambiente, diritti. L’idealismo di Alexander Langer è un antidoto potente agli schematismi degli attivisti social. Un nuovo “romanzo di idee”
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Mito e revenant, fin dagli anni Novanta, della politica parlamentare ed extraparlamentare italiana ed europea di area verde, di sinistra cattolica e di radicalità varia (la nonviolenta in primis)”, Alexander Langer è uno di quei nomi che, a pronunciarli, subito si accende un carosello di nostalgie, riflessioni e rimpianti vari: per il suo pensoso attivismo in un contesto politico a cui attribuiamo retrospettivamente una certa nobiltà, per la gittata dei suoi interessi e la grazia spirituale con cui portava avanti le sue battaglie, per lo sguardo europeo e aperto, per l’attenzione agli ultimi, per concetti vintage come solidarietà e ricorso sistematico al dialogo, interreligioso ma non solo, per il suo aver parlato dell’abitabilità del pianeta già mezzo secolo fa, scegliendo la pratica politica rispetto all’ideologia, mostrando ogni volta quello che si potrebbe fare, scrivere, pensare invece di definirsi a furia di scontri, tendenza di lungo corso che oggi, sui patiboli social, sta vedendo consacrata tutta la sua vacuità. La storia di Langer si è interrotta volontariamente il 3 luglio del 1995, su un albicocco del Pian dei Giullari a Firenze, con un’ultima nota da cui Alessandro Raveggi prende spunto nel suo accurato Continuate ciò che è giusto (Bompiani, 240 pp.), riflessione profonda sul lascito langeriano e sull’attualità del suo metodo, nonché tentativo di portare questa figura – una specie di santo molto simpatico, a sentire le testimonianze di chi lo ha conosciuto – alle nuove generazioni, che si trovano a rivivere gli stessi problemi, dalla guerra alla crisi climatica, con strumenti diversi, ideologicamente più poveri, ma che magari potranno addirittura dimostrarsi più efficaci, chissà. Perché in Langer l’ottimismo non viene mai meno, ci ricorda Raveggi, e le sue sono riflessioni costantemente rivolte al futuro e alla possibilità di incidere sul reale.
“Continuate ciò che è giusto” di Alessandro Raveggi, non solo una biografia, ma il tentativo di portare le idee di Alexander Langer nel presente
Non si può parlare del politico altoatesino senza sentirsi interpellati, senza sentire una domanda profonda – ma staremo facendo qualcosa, staremo facendo abbastanza? – e aver voglia di riprendere il filo di un discorso, quello di una generazione ma anche quello, specifico, di un eurodeputato a metà tra varie identità, origini ebraiche ma cattolico, passato per Lotta continua e poi approdato ai Verdi europei sotto lo sguardo benevolo di Marco Pannella, assente da trent’anni, diventato icona prismatica e solidissima di ogni progressismo. Con una penna reattiva ed elegante, Raveggi si interroga sull’essenza imperitura di Langer, su quel qualcosa che non va via, su cui continuiamo a tornare come se non avessimo ancora capito del tutto quello che aveva da dirci. O forse lo abbiamo capito benissimo, solo che ci vuole uno sforzo enorme per farlo nostro, quello di superare il disincanto generazionale – “molti di noi alla militanza hanno sostituito la Vipassana, o lo yoga massificato in un’applicazione sul cellulare” – per tornare a chiederci in che mondo vogliamo abitare, scegliendo la “politica attiva” nonostante le cocenti delusioni degli ultimi decenni e gli schematismi desolanti a cui Langer è un antidoto potentissimo.
Lui che, per fare un esempio, vedeva uno “spazio tra Savonarola e Berlusconi”, tra il “catastrofismo lamentoso e il sorriso prestampato e rassicurante del direttore dell’orchestrina del Titanic”, mentre noi, dopo la sua morte, quello spazio non l’abbiamo mai più cercato, finendo palleggiati tra due estremi che alla lunga si sono dimostrati assai sterili, se non proprio dannosi. Lui che non semplificava nulla e che aveva un’idea pre-ideologica della politica, che lo portava a riflettere su ogni situazione, su ogni caso, senza temere le eventuali contraddizioni. Posizioni da politico, o da anticorpo della politica? E’ il pacifista che sui Balcani è costretto a invocare una forza di pace per garantire anche con le armi il diritto internazionale, il progressista amico e vicino a tante cause delle donne e poi scettico sull’aborto e addirittura capace di sostenere un documento di Joseph Ratzinger del 1987, Donum Vitae, finendo bersagliato dalle critiche delle femministe, dei Verdi e di Rossana Rossanda, salvo poi precisare che “brandire la lotta contro la depenalizzazione dell’aborto come clava ideologica – come avviene da parte di certi cattolici e certi esponenti del cosiddetto “movimento per la vita” – è altrettanto inaccettabile quanto nascondersi dietro alla non punibilità legale per non affrontare la questione etica”. Niente bigottismo ma un invito al dibattito, ancora una volta, quella cosa davanti alla quale non sottrarsi mai, fedele all’idea che una correzione di rotta sia sempre possibile, ma solo attraverso “una decisa rifondazione culturale e sociale di ciò che in una società o in una comunità si consideri desiderabile”.
Vedeva uno “spazio tra Savonarola e Berlusconi”. Noi, dopo la sua morte, palleggiamo tra due estremi sterili, se non proprio dannosi
Per lui, che da ragazzino pare volesse farsi frate francescano, questa rifondazione passa attraverso un ritorno a una saggia frugalità, “il passaggio da una civiltà del “di più” a una del “può bastare” o del “forse è già troppo”, e Langer come esempio di vita, tra maglioni brutti e capelli troppo lunghi e sorriso malinconico e assorto, è quanto di più lontano da quello che siamo diventati e rischia di restare nell’empireo di certi elevatissimi intoccabili lasciati lì a prendere polvere. Questo Raveggi non lo permette e nel suo Continuate in ciò che è giusto lo interpella sulle grandi questioni della contemporaneità, sull’attivismo che è giusto insegnare ai figli, su quello che si può fare alle manifestazioni, sugli slogan da scrivere e i comportamenti da adottare, le guerre di oggi e quelle di ieri, su cui la coscienza di Alex ha vacillato così pesantemente. E forse proprio in questa coscienza che vacilla c’è il segreto di questo “diamante prismatico che butta luce anche oggi”.

Pur allergico al dogmatismo, Langer suscita il terrore tipico delle figure moralmente alte: e se avessero ragione? Se avessimo bisogno di più impegno, riflessione rispetto a quelli che stiamo dimostrando? “Alex è un ritmo, allora. Appare, scompare. Ci si abitua, ci si confonde nel seguirlo”, osserva Raveggi, che non sceglie la strada della biografia, su cui si sono già cimentati (pochi) altri con risultati ottimi come nel caso di In viaggio con Alex, il bel libro di Fabio Levi (Feltrinelli), ma predilige la forma del “romanzo di idee” per cercare di portare tutto nel presente, facendo ampio riferimento alla serie di pubblicazioni grandi o piccole che testimoniano la febbrile riflessione che sempre circonda la figura di Langer, ben rappresentata dall’attività instancabile della Fondazione Langer di Bolzano. Lui ha scritto solo articoli e testimonianze, fulminanti cartoline agli amici che lo scrittore riporta con devozione. “Ovunque sento abbaiare il cane di Hitler”, scrive a Grazia Francescato e se la bestia abbaia ancora, com’è evidente, sono i Langer a mancare, quelli che hanno voglia di esporsi senza vanità, scrivere, fondare riviste, mettere enfasi nel cammino più che nel raggiungimento dell’obiettivo, “dare molti baci”, provare a vivere almeno una volta con un profugo o con un desterrado o un rifugiato, essere curiosi, metodicamente disordinati, come ci ricorda l’autore in un divertente decalogo in cui molti riconosceranno l’infinita, profonda umanità dell’attivista, giornalista, insegnante, eurodeputato. “Alex conosceva tutti, era una persona estremamente umana, empatica, una spanna sopra agli altri, molto amato, sorridente, attento alle persone; anche se poi era sempre pieno di cose da fare e non si fermava mai tanto, chiedeva sempre agli altri come stavano, e ascoltava”, racconta Massimiliano Rizzo, che lo aveva conosciuto da ragazzo a Bolzano e lo aveva poi ritrovato al Parlamento europeo. “Ci si innamora di chi è buono, e di lui ci si innamorava subito”, e anche la sua visione, portata avanti da altri, porta le tracce di questo successo della bontà: “In Alto Adige alla lunga ha prevalso l’idea della convivenza rispetto alle divisioni”.
“Conosceva tutti”. Ha scritto solo articoli e testimonianze, fulminanti cartoline agli amici: “Ovunque sento abbaiare il cane di Hitler”
Alexander Langer è nato a Vipiteno nel 1946 in una famiglia borghese – padre medico di origine ebraica, viennese, madre farmacista cattolica, prima laureata in Chimica in Italia – e la sua giovinezza è plasmata dalla fede, “nell’alveo di quella spiritualità post-conciliare che caratterizzò i preti militanti e operai degli anni Sessanta”, scrive Raveggi. Laureato in Giurisprudenza, frequenta i cristiani sociali del Fuci, e poi arriva “l’incontro non solo con la figura per lui emblematica di Giorgio La Pira, ma soprattutto con don Mazzi della comunità dell’Isolotto, padre Balducci alla Badia Fiesolana, don Milani alla scuolina di Barbiana”, prima di mettersi a insegnare per un decennio circa nei licei. Nei Settanta milita in Lotta continua, il passaggio forse più complesso da comprendere, forse mosso dal “gusto per l’immedesimazione generosa e senza rete, una forte simpatia per ogni manifestazione di umanità ribelle e solidale” e poi anche dall’apprezzamento “di percorsi individuali controcorrente, più nascosti, più spirituali (da Pasolini a Elsa Morante)”. La compagna Valeria Malcontenti nota, in uno dei capitoli più belli e sentiti del libro, come Lc fosse “un calderone quasi ecumenico” in cui “il Langer” si è buttato, come aveva fatto con la Gioventù cattolica e come farà poi come fondatore dei Verdi, perché “lui non aveva che tempo per essere utile agli altri” e parlare, guardare al futuro, progettare nuovi dialoghi e nuove alleanze.
“Se avessi di fronte a me un uditorio di ragazze e ragazzi, non esiterei a mostrare loro com’è stata bella, com’è stata invidiabilmente ricca di viaggi e di incontri e di conoscenze e imprese, di lingue parlate e ascoltate, di amore, la vita di Alexander (…). Che vadano incontro agli altri col suo passo leggero, e voglia il cielo che non perdano la speranza”, disse Adriano Sofri davanti al Parlamento europeo dopo il suo suicidio, che lasciò un solco di tristezza e sconforto a tutti i livelli, da Strasburgo alla redazione di Cuore alle pagine bellissime di Fabrizia Ramondino. A 49 anni, è andato via prima che gli si potesse appiccicare un’etichetta addosso, col risultato che è “da molti anni il candidato del rimpianto, anche di quelli che militavano con lui in Lotta continua, dei cristiani progressisti, di quelli ecologisti, dei Verdi disillusi, di quelli invece integrati a pieno titolo nella politica”, nota Raveggi. Ognuno cerca di tenerne un pezzo e di salvaguardarlo dal trasformarsi in una facile iconetta della nostra contemporaneità, sebbene fosse terzomondista, pacifista, anticapitalista e contrario al facile ciclo di consumo dei beni e che ora, lontano dal suo sguardo, è anche diventato un ciclo di consumo delle idee, spinte da attivisti spesso in posa, talvolta no.
I ragazzi “vadano incontro agli altri col suo passo leggero, e voglia il cielo che non perdano la speranza”, disse Sofri dopo il suicidio di Langer
“La sua fama postuma è più che giusta, è stato un visionario, con un’apertura dovuta anche al suo conoscere bene due culture”, aggiunge Massimiliano Rizzo. “Credeva nell’Europa perché per molti popoli il senso dello Stato è inferiore al senso della regione, del territorio”, l’Europa-mosaico che permette di tenere insieme le identità, abbracciandole. Fa un certo effetto vedere dove siamo arrivati, a pacifismo ed ecologia ridotti a hashtag di sedicenti attivisti dai mille aerei e dai consumi smodati, con l’inviso narcisismo da non nascondere neppure più. Eppure, il ritmo-Alex ci dice, come exemplum operoso e forse malinconico, che tutto può essere recuperato, fatto di nuovo. “Ci serve, infine, tantissimo idealismo. L’idealismo della gioventù”, scrive nel 1964, e a lui abbiamo dato il compito di ricordarcelo per sempre, di restare lì, fermo a quella fissità, a quella purezza che poi s’inquina e che invece va preservata, con mille sforzi. Per questo occorre che restino delle isole felici, dei momenti di tregua, occorre ricordarsi di quanto “abbiamo bisogno di occasioni e opportunità gratuite nella nostra vita, nella vita delle città e delle campagne”, anche se il mondo va da un’altra parte. “Mi ricordo l’ultima volta, lo accompagnai alla macchina. Era un genio, ma la cosa più importante era la sua profondissima umanità”, conclude Rizzo. Come dimostra la chiusa di una lettera di Alexander Langer, da non dimenticare: “Cordiali saluti, e auguri di saggezza e di coraggio”.
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