Von Der Leyen salvata (controvoglia) dai socialisti, Meloni si sgancia

La mozione di censura
Non passa la mozione di censura dell’eurodeputato Piperea: ne esce male il Pse che si spacca, mentre FdI si defila all’ultimo momento

Ursula von der Leyen è salva e neppure il più spericolato scommettitore avrebbe mai azzardato una puntata sul contrario. Perché la mozione di censura – presentata dal rumeno del gruppo dei Conservatori Piperea e che avrebbe costretto alle dimissioni la presidente della Commissione europea – per essere approvata avrebbe richiesto il sì dei due terzi degli aventi diritto e l’eventualità non è mai stata realistica.
Ma è anche vero che la vittoria della presidente è quasi la sola previsione confermata dal voto dell’aula di Strasburgo. Il Pse è arrivato alla vigilia del voto promettendo di astenersi. Non ce l’ha fatta e mercoledì sera, in una riunione dell’eurogruppo, Socialisti e Democratici sono tornati all’ovile. Scontando però ben 34 dissensi, parlamentari che – pur senza appoggiare la mozione di censura – hanno evitato anche di sostenerla. In compenso FdI, la delegazione più forte tra i Conservatori, ha deciso di non partecipare al voto, mentre fino all’ultimo momento l’esprimersi contro la mozione, cioè a favore di Ursula, era dato per certo. È però probabile che, se i socialisti si fossero davvero astenuti, il voto dei tricolori ci sarebbe stato. Nel complesso, i Conservatori si sono spaccati in due: alcune delegazioni, come appunto quella italiana, si sono astenute dal voto. Altre, come i rumeni e i polacchi, hanno appoggiato la mozione di censura. Alla fine, Ursula conta 360 voti a proprio favore, 10 in meno di quelli con i quali era stata eletta e uno in meno rispetto alla maggioranza assoluta. La mozione incassa 175 voti, quelli della destra radicale, del M5S italiano e di una parte dei Conservatori.
La svolta a U dei socialisti è stata sofferta. Alcune delegazioni hanno provato a insistere sull’astensione, ma per la maggioranza, e in particolare proprio per gli italiani, la possibilità di passare per antieuropeisti e alleati della destra era troppo. La stessa presidente, del resto, l’aveva astutamente messa proprio così: “O con me o con la destra filorussa”. Ma il ripensamento non sana affatto la ferita e i malumori del gruppo Pse sono più alti che mai. Anche perché, ancora mercoledì sera, il Ppe ha votato con la destra contro la procedura d’urgenza del voto sul nuovo target climatico. I socialisti hanno votato col cuore pesante e decisi a dare battaglia alla ripresa di settembre. Senza escludere neppure una loro improbabilissima mozione di censura che, ci si può scommettere, non arriverà mai. È invece certo che il Pse farà pesare la minaccia di votare contro il bilancio europeo (ha già ottenuto il recupero del fondo sociale di 100 mld), che era stato eliminato, e qualche colpo metterà a segno anche nel voto sul bilancio. Ma sono premi di consolazione: la sterzata a destra dell’Europa e della stessa Commissione non è stata frenata e tanto meno arrestata.
FdI si appiglia all’equivoco: “Quando abbiamo detto che non avremmo votato la mozione di censura, non intendevamo dire che avremmo votato contro. Avevamo tre possibilità: il voto contro la mozione, l’astensione o l’assenza dall’aula. Abbiamo scelto quest’ultima”. Quel che i Fratelli non dicono è perché abbiano tenuto la scelta in bilico sino all’ultimo, optando poi per la terza ipotesi. In realtà, è il solito schema di gioco della premier, che sin qui, va detto, la ha sempre premiata. Tenersi il più possibile in mezzo, senza sbilanciarsi se non quando davvero inevitabile. Senza il voto socialista, il supporto tricolore sarebbe stato appunto inevitabile, perché altrimenti la presidente, che Giorgia considera a ragione amica e alleata, sarebbe uscita formalmente in piedi ma ridotta da anatra zoppa. Il voto del Pse ha tirato i tricolori fuori dall’imbarazzo e a quel punto votare insieme ai socialisti contro il resto della destra sarebbe stato per il modus operandi della Meloni controproducente.
Ma il risultato di ieri è in realtà un semaforo verde per la politica del Ppe e della stessa Ursula. Il ricatto della minaccia della destra radicale e le spaccature interne paralizzano, come si è visto ieri, i Socialisti e Democratici, costringendoli nel ruolo ingrato di portatori d’acqua per un partito di maggioranza relativa, il Ppe, e per una presidente della Commissione che considerano i veri alleati numero uno non loro, ma la destra, purché non sospetta di putinismo.
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