Alexa e il cielo giallo di Roma, inarrivabile per un’IA

L’Echo Dot dedicato a Roma ricorda una versione contemporanea delle classiche boule de neige, quelle ampolle di vetro con la neve finta ancora presenti nei negozi di souvenir.
Lo speaker sferico di Amazon, giunto alla quinta generazione e dotato dell’assistente virtuale Alexa, rende omaggio ai simboli più iconici della Capitale.
In uno spazio ridottissimo trova posto quasi tutto: dalla cupola di San Pietro al Pantheon, dal Colosseo alla Fontana di Trevi. Ci sono anche i turisti in scooter: un richiamo alla famosa scena con Gregory Peck e Audrey Hepburn in Vacanze Romane.
C’è la firma - inconfondibile - dell’illustratore Ale Giorgini sull’Echo Dot che celebra Roma, la prima edizione limitata europea di un dispositivo Echo.
Il suo tratto speciale, capace di adagiarsi e adattarsi con sorprendente naturalezza al mondo reale, si unisce alla voce di Alexa, che per l’occasione sarà in grado di parlare in dialetto romanesco - basterà chiederle “Alexa, parla in romano” - e proporrà agli utenti, sempre su richiesta, un quiz sulla città eterna (“Alexa, apri il quiz su Roma”) e un contenuto dedicato ai suoi luoghi iconici (“Alexa, dimmi i segreti di Roma”).

La versione romana dell’Echo Dot costa leggermente di più del normale: 89,99 euro. Ma c’è da dire che l’arte di Giorgini vale il sovrapprezzo. Per la prima volta il dispositivo Amazon acquista una personalità estetica definita, diventa un oggetto da collezione o comunque destinato a durare nel tempo. Un pezzo di design, insomma. Che nell’epoca dell’intelligenza artificiale ha ancora più valore, poiché è il frutto di un lavoro umano. Un lavoro che sfugge alle logiche degli algoritmi. “Io continuo a ribadire con forza il valore dell'errore, il valore dell'imprevisto, dello sbaglio, della linea tracciata male”, spiega appassionato Giorgini.

Nel caso dell’Echo Dot per Amazon, c’è stato un errore che ha influenzato positivamente il suo processo creativo?
“In questo caso, tutto il disegno è, di fatto, un’aberrazione ottica. Mi sono trovato a lavorare su una superficie sferica con uno stile completamente bidimensionale. Quindi, ogni elemento che ho disegnato non è propriamente un errore, ma piuttosto un modo inaspettato di rappresentare la realtà. Se, per esempio, chiedi a un’intelligenza artificiale di disegnare il Colosseo, dubito che lo rappresenterebbe così. Avevo l’esigenza di far coincidere la scritta “Roma” con un punto preciso della sfera, e allo stesso tempo rispettare una certa geometria che mi permettesse di proseguire il disegno con coerenza. In un certo senso, quindi, questo disegno è un errore. Ma il mio lavoro si fonda proprio sull’errore e sull’imperfezione. Io non ho una formazione artistica tradizionale, non ho seguito un percorso di studi che mi abbia condotto direttamente a fare quello che faccio oggi”.
Ce lo racconti.
“Mi hanno bocciato in educazione artistica alle medie, quindi sono andato a fare un'altra scuola, il geometra, da qui il motivo delle linee geometriche. Poi ho fatto il graphic designer e l’art director, ma la mia passione è sempre stata disegnare. Così ho provato a farlo sul serio. Il mio lavoro quindi è jazz: è improvvisazione. Non ho le basi accademiche per fare questa cosa, e forse è proprio questo che dà al mio stile la sua identità”.
Anche l’IA generativa, in un certo senso, è jazz: parte da regole e strutture, ma produce risultati inattesi, spesso sorprendenti, frutto di combinazioni imprevedibili e libere come in un’improvvisazione musicale.
“Forse, però, all'intelligenza artificiale manca il divertimento. Non credo si diverta, io mi diverto un sacco”.
E cosa manca all’IA, per arrivare a disegnare Roma su una sfera così come ha fatto lei?
“L’emozione di un tramonto”
Si spieghi meglio.
“Amazon mi ha chiesto: ‘Disegna tutta Roma all'interno di una sfera’. Piccolissima, tra l'altro. Era praticamente impossibile. Così mi sono detto: ‘Io ci metto la mia Roma’. È la città che vedo quando scendo dal treno, solitamente di pomeriggio perché arrivo dal Nord, in cui la Capitale è avvolta in un tramonto giallo e arancio, il cielo sembra esplodere. Per me Roma è quella”.
Ma il cielo di Roma non è così giallo.
“No, non è giallo, però per me è così. Il cielo non è mai giallo. Certo. Salvo in alcuni casi. Il cielo solitamente è azzurro. Le nuvole sono bianche. Io ho fatto le nuvole arancio, e altre cose colorate che nella realtà non sono di quel colore lì. Ed è questo, forse, a cui gli artisti oggi devono puntare. Perché se ce la giochiamo sul manierismo, vince l'intelligenza artificiale.
Se un artista gareggia con l’IA sul piano del realismo, ha già perso.
“Assolutamente. Per quanto mi riguarda, io sono assolutamente indietro rispetto alle potenzialità dell'intelligenza artificiale. Ma sul piano delle emozioni no. All’IA manca il ricordo, manca la possibilità di dire "io questa cosa l'ho vissuta e l'ho vista così".All'intelligenza artificiale con un prompt tu non potrai mai chiedere ‘ridisegnami Roma per come l'hai vista a ottobre di due anni fa, insieme alla tua compagna’. No, non ce la farà mai”.

Leonardo usava una tecnica particolare per darsi il tempo di riflettere. Evitava l’affresco, che doveva essere completato in fretta, e stendeva invece uno strato di gesso e colla animale che gli dava la possibilità di riflettere più a lungo, magari pentirsi di una scelta. Forse è anche questo che ci differenzia dalle IA, la nostra capacità di pentirci. Non crede?
“Io potrei restare sullo stesso disegno per una vita intera, se ne avessi la possibilità. Ma a un certo punto lo devi battezzare, chiudere, per ragioni professionali: ci sono tempistiche, scadenze, deadline da rispettare. Guardo un lavoro che ho finito un paio di mesi fa e penso: ‘Solo su questa sezione cambierei almeno dieci cose’. È così ogni volta. Perché disegnare, per me, significa scegliere continuamente. E ogni scelta comporta anche il rischio di un ripensamento immediato. Ti ritrovi a dire: ‘No, forse qui ho sbagliato. Forse dovrei rifare tutto’. Nel mio modo di lavorare, la gomma da cancellare conta più della matita”.
Lei ha mai provato a chiedere a un’IA di disegnare "come farebbe Ale Giorgini", anche soltanto per curiosità?
“Sì, l'ho fatto”.
Che è venuto fuori?
“Ho provato un anno e mezzo fa ed è venuto fuori qualcosa di vagamente associabile al mio lavoro. Se da un lato mi ha rincuorato, dall’altro mi ha anche un po’ avvilito. Mi sono chiesto: ‘Perché se chiedo di imitare altri illustratori funziona perfettamente, e con me no?’ Un po’ mi è dispiaciuto… forse anche per una punta di invidia”.
Lei è mai stato invidioso di un’IA?
“Tutti i giorni”
E di cosa?
“Siccome io non so disegnare veramente, quando vedo cosa riesce a fare l’intelligenza artificiale, per me è come vedere all’opera Michelangelo. Poi certo, ci sono i puristi che ti fanno notare l’errore, il colore sbagliato, la luce fuori posto… ma per me arrivare a quei livelli è impensabile. Sono costantemente invidioso: delle anatomie, dei colori, delle atmosfere, della capacità di riprodurre la realtà con quella precisione”.
È qualcosa che non la fa dormire?
“Ma no. Mi dico: come tutte le crisi, se vogliamo chiamarle così, anche questa può essere un’occasione per evolversi, per trovare qualcosa di nuovo. Se domani l’IA mi impedisse di continuare a fare quello che faccio, significherebbe che dovrei cercare un’altra strada. Un nuovo modo per esprimere quello che ho dentro, quello che mi piace. Ed è, in fondo, quello che è già successo nel mio percorso. A un certo punto ho detto: ‘Io non so disegnare, ma voglio farlo lo stesso”. Ci ho provato, e ho trovato un linguaggio, un canale, che mi ha portato dove sono oggi”.

L’IA però ha sicuramente cambiato il suo lavoro.
“Ti racconto una cosa divertente che mi è successa qualche tempo fa, proprio per non demonizzare sempre l’uso dell’intelligenza artificiale. Un cliente mi ha contattato per un progetto e mi ha mandato un bozzetto generato con l’IA, dicendo: “L’idea è esattamente questa, però voglio che la realizzi tu, con il tuo stile”. Ecco, per me è stato un esempio perfetto di come l’IA possa diventare uno strumento utile, non un nemico. Tutti quei passaggi iniziali — la ricerca del concept, la costruzione dell’idea, la scelta del soggetto — sono stati già sbozzati. E questo ti lascia più tempo per vivere: andare a bere un aperitivo, stare con la famiglia... e poi dedicarti solo alla parte davvero creativa. Cioè rielaborare, reinterpretare, migliorare. In pratica, rifinire e dare anima a qualcosa che l’IA ha solo abbozzato. Per come lavoro io, è un vantaggio enorme.
La Repubblica