Che cosa diavolo è un'Agi?


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Cose dai nostri schermi
Se un giorno OpenAI dovesse creare davvero un'intelligenza artificiale generale, cioè un'AI in grado di ragionare in modo simile a un essere umano, riuscirebbe a limitare l'accesso di Microsoft alle sue tecnologie
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Si fa presto a dire “intelligenza artificiale”. Ma cosa vuol dire, esattamente, “intelligenze artificiali"? Il nome se lo inventò l’informatico e docente di Stanford John McCarthy nel 1956, che le definì "la scienza e l’ingegneria del fare macchine intelligenti". Pensò quindi di intitolare un ciclo di studi sull’argomento, che all’epoca era agli albori, Artificial Intelligence, anche perché il titolo provvisorio, Automata Studies, non convinceva proprio tutti. Da allora, questa idea, che sembra più a suo agio in un libro di fantascienza, si è diffusa e ha fatto parecchia strada. Oggi è una galassia che contiene altri ambiti di studio, dalle reti neurali al deep learning, dai modelli linguistici tipo ChatGpt, ai sistemi che riconoscono immagini, tracciano oggetti nei video, vincono a Go o studiano la struttura delle proteine.
Negli ultimi anni, complice l’enorme successo di ChatGpt e delle AI generative, un’altra parola ha cominciato a diffondersi, e si è diffusa velocemente online e in tutti i meeting di imprenditori tecnologici: AGI. La sigla sta per Artificial General Intelligence, cioè intelligenza artificiale generale (o intelligenza artificiale forte, in italiano). In teoria, si tratta di un’AI capace di ragionare in modo simile a un essere umano, ragionando su problemi e adattandosi al contesto; in realtà, però, non è così semplice.
Il problema? Nessuno sa cosa sia esattamente. Il punto è che proprio l’Agi è al centro di una delle alleanze più strane della storia recente della tecnologia. Da un lato, Microsoft, gigante dell’informatica e del settore cloud, grazie al suo servizio Azure; dall’altro, OpenAI, non profit atipica, che ha tanto bisogno di data center avanzati per sviluppare e fare funzionare i suoi modelli linguistici.
Alla base di questo sodalizio c’è però una clausola particolare: se OpenAI dovesse un giorno creare davvero un’Agi, potrebbe limitare l’accesso di Microsoft alle sue tecnologie. In altre parole, l’AGI è la chiave che OpenAI ha per liberarsi, almeno in parte, di Microsoft, visto che il rapporto tra le due società non è più dei migliori, come vedremo. Ma anche in questo caso, torniamo a una domanda a cui rimane difficile rispondere: chi decide quando siamo arrivati all’Agi?
Secondo un paper del 2024 di Google DeepMind, una definizione di AGI non esiste: se chiedi a cento esperti di definirla, ottieni cento risposte simili ma diverse. C’è chi dice che siamo già arrivati, per dire. C’è chi dice che mancano un paio di anni. C’è chi, come Demis Hassabis di DeepMind (e premio Nobel per la chimica), scommette su un orizzonte di cinque-dieci anni.
Dal canto suo, OpenAI, sul suo sito, dice che l’Agi è “una serie di sistemi altamente autonomi che superano gli esseri umani nei lavori economicamente più importanti”. Quindi parliamo già di GPT-4o, il loro ultimo modello, o serve aspettare GPT-5? Chi fa l’arbitro?
Sam Altman, capo di OpenAI, e Satya Nadella, Ceo di Microsoft, non litigano per questioni filosofiche, ovviamente. In ballo c’è una collaborazione miliardaria ma soprattutto la percentuale che spetterebbe a Microsoft della “nuova” OpenAI. Quest’ultima, infatti, sta cercando da tempo di smettere i panni della non profit e diventare un’azienda a scopo di lucro: una transizione complessa e tortuosa dalla quale Nadella vorrebbe ottenere una percentuale che Altman ritiene troppo alta.
Ecco perché ci si azzuffa sull’Agi, che nel frattempo sta stimolando un dibattito tecno-filosofico notevole. Dario Amodei, ex OpenAI e oggi a capo di Anthropic, preferisce evitare la parola Agi, troppo carica di hype e “bagagli fantascientifici”, e preferisce parlare di “AI potenti”, definizione che rimane comunque vaga. Potente quanto? Siamo sempre lì. Per evitare dispute filosofiche, Microsoft e OpenAI hanno anche un’altra metrica: l’Agi sarà tale quando un’AI genererà più di 100 miliardi di dollari di profitti. Certo, l’idea che il talento coincida con il fatturato è un po’ deprimente anche per queste persone, che si sono convinte di stare sviluppando una sorta di dio in scatola.
Il paradosso rimane. Il rapporto tra Microsoft e OpenAI, un’alleanza che ha ridefinito lo scenario tecnologico statuntiense (e non solo), e senza il quale la rivoluzione innescata da ChatGpt non avrebbe avuto luogo, si basa su un concetto etereo. Hanno fissato una soglia che nessuno sa dove sia, e che forse è invisibile.
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