Estinto a chi? Così i miliardari giocano a riportare in vita specie scomparse da ere


Una scena da “Jurassic Park” di Steven Spielberg con Richard Attenborough, Laura Dern e Sam Neill
Il tirannosauro al cinema, il lupo preistorico nei laboratori Colossal Biosciences. Ma c'è anche la californiana Revive & Restore che progetta di riportare in vita il piccione migratore. La de-estinzione viene ormai presentata come una realtà
I dinosauri no, anche se il cinema continua ad insistere. Ma la de-estinzione viene ormai presentata come una realtà, anche se poi si discute se veramente sia tornato dopo 12.500 anni l’enocione, il lupo preistorico la cui rinascita in laboratorio era stata annunciata da Colossal Biosciences ad aprile. Già si parla di procedere con altre specie come il tilacino, il dodo, l’uro, il piccione migratore, il moa, perfino il mammut.
Ovviamente, il punto di partenza è Michael Crichton. Autore di libri che hanno venduto oltre 150 milioni di copie, ma che dopo aver sognato di fare lo scrittore aveva deciso di passare alla medicina, per via di un professore di Harvard che lo aveva talmente in antipatia da dare insufficiente perfino a un testo di George Orwell che lui gli aveva sottoposto a suo nome, come prova. Tornato però alla letteratura dopo aver scoperto di avere una sclerosi multipla pur rivelatasi poi benigna, e però ormai imbottito di solide nozioni scientifiche, già a 27 anni scrive il suo primo bestseller: “Andromeda”, su una epidemia innescata da un agente patologico alieno. Poi, sei anni dopo, ha di nuovo un grande successo come regista de “Il mondo dei robot”, film di culto tratto da un suo libro: su un parco giochi popolato da robot che si ribellano ai visitatori umani.
“Jurassic Park”: il libro di Crichton è un bestseller e il film di Spielberg rende popolare il concetto di Dna nella cultura di massa
Se vogliamo, è lo stesso spunto a partire da cui nel 1990, a 48 anni, scrive “Jurassic Park”. Solo che a scappare di mano e a fare sfracelli stavolta non sono androidi impersonanti personaggi del Far West, del Medio Evo o dell’Antica Roma, ma dinosauri che sono stati clonati a partire dai Dna ritrovati in zanzare preistoriche conservate nell’ambra. E’ pure un bestseller, ma in fondo ancora poco rispetto al successo planetario e al mito del film che tre anni dopo ne ricaverà Steven Spielberg. Incassi stratosferici a parte, a livello di cultura di massa è quel film che rende popolare il concetto di Dna: quell’acido desossiribonucleico che trasmette l’eredità genetica e che in effetti inizia a essere intuito con le tre leggi scoperte nel 1865 dal frate agostiniano moravo Gregor Mendel. La sua individuazione è però annunciata al mondo nell’aprile del 1953, e nel 1962 Francis Crick e James Watson ne ricavano il Premio Nobel per la Medicina del 1962.
Il caso della pecora Dolly. La comunità scientifica è oggi a favore della clonazione di cavalli e maiali, per ottenere organi trapiantabili
Dopo “Jurassic Park” si inizia a dire “è nel nostro Dna”, per riferirsi alle cose più disparate: piatti, tipi di musica, know-how, perfino forme di malcostume. Come avvertono gli scienziati, in realtà la trama di “Jurassic Park” è impossibile, semplicemente per il fatto che il Dna non si può conservare per tutti quei milioni di anni. Ma appena tre anni dopo il film, allo scozzese Roslin Institute, a pochi chilometri da Edimburgo, viene clonata la pecora Dolly: il 5 luglio 1996, anche se l’annuncio sarà dato al mondo il 22 febbraio 1997. Nome in onore della cantante country Dolly Parton, Ian Wilmut prese una cellula somatica adulta mammaria e ne trasferì il nucleo in una cellula embrionale dove il nucleo originale era stato tolto, avviandone poi lo sviluppo del feto tramite elettroshock e successiva impiantazione in una madre surrogata. L’ovino, che campò quasi sette anni fino, al 14 febbraio del 2003, e i cui resti impagliati sono ora conservati al Royal Museum di Edimburgo, ha avuto dunque in pratica tre madri: la pecora di sei anni che ha donato il Dna, quella che ha fornito la cellula embrionale denucleata e la madre surrogata che ha condotto la gravidanza.
Pur senza la strage e i disastri provocati dalla clonazione immaginaria di “Jurassic Park”, anche la clonazione vera di Dolly portò a una tempesta di dibattiti bioetici. Ad esempio, nel 1999 su Nature fu pubblicata una ricerca in cui si suggeriva che la pecora poteva essere suscettibile di un invecchiamento precoce, essendo praticamente nata con l’età genetica dei sei anni della madre. I primi segnali in tal senso furono effettivamente riportati nel 2002, quando Dolly aveva 6 anni, nella forma di una artrite. Ma restò il dubbio se effettivamente fosse stata effetto della clonazione, o di qualche incidente. Dolly venne comunque abbattuta per le complicazioni di un’infezione polmonare, frequente nelle pecore più anziane. Comunque, le clonazioni successive non hanno avuto gli stessi problemi.
Dolly, però, era la copia di un animale esistente. Il sostegno della comunità scientifica è oggi ampiamente a favore della clonazione di cavalli e maiali, per ottenere organi animali trapiantabili in essere umani. E quell’esperienza è stata fondamentale per il successivo sviluppo delle biotecnologie, in particolare nella ricerca sulle cellule staminali. Nel 1966 Dolly fu l’unica sopravvissuta su 377 tentativi, ma nel 2014 gli scienziati cinesi vantavano tassi di successo del 70-80 per cento nella clonazione di maiali, nel 2016 l’azienda coreana Sooam Biotech produceva 500 embrioni clonati al giorno, dal 2017 in Cina si è iniziato a clonare scimmie, e tra le altre bestie così portate alla vita ci sono stati bovini, furetti, dromedari, carpe asiatiche, gatti, coyote, cervi, rane, capre, topi, moscerini della frutta, cavalli, lupi, e anche cani. I più famosi, probabilmente, i cinque mastini con cui il presidente argentino Javier Milei, al costo di 50.000 dollari, ha fatto rivivere il suo amato Conan, morto di cancro, chiamandoli con i nomi dei suoi economisti preferiti: Milton come Milton Friedman, Murray come Murray Rothbard, Robert e Lucas come Robert Lucas, assieme ad Angelito e un nuovo Conan. “Un modo per avvicinarsi all’eternità”, lo ha definito.
Lo stesso Wilmut, però, ha consigliato di non farlo mai con esseri umani. E un problema bioetico altrettanto grande riguarda il clonare non gli impossibili dinosauri, ma animali estinti più vicini a noi. Primo esempio: lo stambecco dei Pirenei, il cui ultimo esemplare maschio morì nel 1999, e l’ultimo esemplare in assoluto fu trovato morto il 6 gennaio 2000. La femmina Celia, con il collo spezzato da un albero caduto. Un suo clone nacque in Spagna il 30 luglio 2003, diventando il primo animale de-estinto di tutti i tempi. Ma morì in capo a sette minuti, per difetti fisici ai polmoni.
L’enocione, o metalupo, ricreato da Colossal Biosciences. Ma molti studiosi sostengono si tratti di lupi moderni geneticamente modificati
Nel frattempo, anche “Jurassic Park” è andato avanti. Nel 1995 lo stesso Crichton scrisse il sequel “Il mondo perduto”, a sua volta divenuto film di Spielberg nel 1997. “Jurassic Park 3”, nel 2001, non era più da un libro di Crichton né su regia di Spielberg, ma stava ancora abbastanza nella linea originaria. Seguendo quello che ormai è l’andazzo di Hollywood di sfruttare i successi facendone delle vere e proprie franchise, sono seguiti “Jurassic World” nel 2015, “Jurassic World - Il regno distrutto” nel 2018, “Jurassic World - Il Dominio” del 2022 e “Jurassic World - La Rinascita”, uscito il 2 luglio di quest’anno. Sempre più maltrattati dalla critica, anche perché ormai l’originaria idea di monito sui rischi della scienza è annacquata da una evoluzione che si pone come una vera e propria ucronia, rispetto a un mondo di oggi in cui si immaginano i dinosauri sopravvivere ormai da 32 anni. Il successo, però, resta grande. Nel frattempo, ad aprile un’azienda di Dallas che si chiama Colossal Biosciences ha annunciato la nascita di tre cuccioli di enocione, altrimenti noto come metalupo; un animale nordamericano estinto da almeno 10.000 anni, e di recente ridiventato pop come simbolo di Casa Stark nella serie “Il trono di spade”. Descritto per la prima volta nel 1850, era il più grande canide del tardo Pleistocene: pesava fino a 68 kg, aveva un cranio che raggiungeva i 30 cm di lunghezza, denti adatti a rompere ossa e si cibava di grandi erbivori. In particolare, i maschi Romulus e Remus sono nati il primo ottobre 2024, e la femmina Khaleesi a gennaio.
Sarebbe la prima de-estinzione di una bestia scomparsa da millenni, ma la gran parte degli scienziati la considera una bufala. In effetti, uno studio del 2021 ha scoperto che lupo grigio ed enocione si erano separati da un avo comune tra 2,5 e 6 milioni di anni fa, ma il 99,5 per cento del patrimonio genetico sarebbe in comune. Beth Shapiro, genetista di Colossal, ha detto dunque che il genoma dell’enocione è stato sequenziato integralmente. Il paleogenetista Nic Rawlence, della University of Otago, gli ha risposto che in realtà non hanno creato un vero enocione, ma un ibrido di lupo grigio con caratteristiche di metalupo. Il Dna è stato infatti ricavato da un fossile di dente di 13.000 anni fa scoperto a Sheridan Pit, in Ohio, e da un osso dell’orecchio interno di 72.000 anni proveniente da American Falls, in Idaho. E’ stato così ricostruito un genoma parziale del lupo terribile, poi confrontato con i genomi dei parenti viventi più prossimi, tra cui lupi, sciacalli e volpi. Sulla base dei risultati è stato così selezionato il lupo grigio come donatore di ovuli per riportare in vita i lupi terribili. Con la biologia sintetica si sono identificati i geni associati a tratti tipici del lupo terribile, come cranio più grande e pelo bianco; si sono inserirli nel Dna del lupo grigio; si sono creati embrioni geneticamente modificati; e si sono impiantati in madri surrogate. Dunque, secondo Rawlence, “non un enocione, ma un lupo grigio modificato per assomigliargli”. Sarebbero state una ventina di modifiche a 14 geni legati al fenotipo degli animali, e quindi al loro aspetto esteriore.
Correttezza o meno dell’operazione dal punto di vista tecnico, anche qui c’è il dibattito bioetico. Come già chiedeva il professor Ian Malcolm-Jeff Goldblum nel primo “Jurassic Park” cinematografico, è giusto far rivivere le specie che la natura ha già selezionato per scomparire? E se l’estinzione è colpa di attività sconsiderate dell’uomo, non è che l’idea “tanto se una specie scompare possiamo de-estinguerla” può diventare una pericolosissima liberatoria?
Colossal risponde rilanciando, e annunciando altri tentativi di de-estinzione ancora più clamorosi. Già da tempo, in particolare, dice di stare lavorando per de-estinguere il mammut lanoso. Elefante dei climi freddi che visse tra 4,8 milioni e 3500-4000 anni fa, salvo un piccolo branco che protetto dall’isolamento nell’isola siberiana di Wrangel arrivò al 1700 a.C. Animale iconico nelle rappresentazioni dell’uomo preistorico a partire dal XIX secolo, almeno quanti i dinosauri sono animali iconici nelle rappresentazioni della Preistoria pre-umana, era presumibilmente uno di quegli esemplari di megafauna preistorica che i permettevano ai cacciatori neolitici di ingozzarsi con minimo sforzo. E’ pure ampiamente accettato che la caccia sia stata una delle cause principali per l’estinzione di questa megafauna, e che sia stata la fine di questa facile fonte di rifornimento a costringere l’uomo a inventare la più faticosa agricoltura, con la Rivoluzione neolitica. Il metodo che sta usando è lo stesso dell’enocione, e avrebbe già riprodotto a marzo un topo lanoso. Che non è tecnicamente una de-estinzione, ma l’applicazione a topi di tratti simili a quelli dei mammut, a partire dalla pelliccia. A questo punto, si potrebbe compiere la stessa operazione sugli elefanti asiatici, che sono la specie vivente più vicina. Secondo la Colossal, mandrie di elefanti geneticamente modificati con tratti simili a quelli dei mammuth potrebbero aiutare a combattere il cambiamento climatico attraverso il loro impatto sugli ecosistemi artici, pascolando in modi che promuovono lo sviluppo delle praterie nelle regioni della tundra e riducono lo scioglimento del permafrost, col relativo rilascio di anidride carbonica. Il primo cucciolo di elefante geneticamente modificato con caratteristiche di mammut verrebbe alla luce entro la fine del 2028.
Tramite X, un utente ha poi chiesto a Colossal Biosciences se, dopo il traguardo raggiunto con il meta-lupo, potesse con procedure simili per riportare in vita il dodo. Discendente di colombi che erano arrivati volando nell’isola Mauritius, lì si era adattato alla vita di terra, dimenticando il volo e crescendo fino a un metro di altezza e 17,5 Kg di peso. Senza più predatori attorno, si era specializzato nel consumare semi di specie arboree particolarmente dure. Una volta digeriti e defecati, questi semi tornavano in natura ammorbiditi e dispersi, permettendo agli esemplari di quelle specie di germinare. Avvistato per la prima volta da marinai olandesi nel 1598, già dal 1662 il dodo era però estinto. Un po’ per la predazione umana, anche se le testimonianze ne definiscono la carne pessima; un po’ per l’introduzione nell’isola di specie non autoctone come maiali e macachi, che si ingozzarono di uova. L’estinzione del dodo ha influito negativamente sulla salute delle foreste di Mauritius, al punto che si è cercato di importare altre specie pure in grado di digerire semi duri, tipo il tacchino.
Non è che fosse proprio stupido, ma l’arrivo dell’uomo lo prese di sorpresa, per cui si fece l’immagine che appare ad esempio nel primo cartoon della serie “L’era glaciale”. Fatto conoscere in Europa dal pittore olandese Roelandt Savery, pare che ai suoi dipinti si sia rifatto Lewis Carroll per far comparire il dodo in “Alice nel Paese delle meraviglie”. Citato da Mark Twain nel “Diario di Adamo ed Eva”, da Hilaire Belloc in “The bad child’s book of beasts”, dai Genesis, dai Muppets e dai Pokemon, simbolo di Mauritius su monete, francobolli e souvenir, in inglese ha dato le espressioni “as dead as the dodo”, morto e sepolto, e “gone the way of the dodo”, anacronistico. Da qui appunto la domanda, qui Colossal ha semplicemente risposto: “ci stiamo lavorando”. In questo caso, si dovrebbe operare sul piccione delle Nicobare.
Prima ancora, però, ci sarebbe il tilacino, per cui Colossal avrebbe raccolto già 435 milioni di dollari. Detto anche tigre della Tasmania, lupo della Tasmania, lupo marsupiale e lupo australe, in realtà non era né un canide e né un felino, ma appunto un marsupiale, che però si era evoluto fino ad assomigliare a un lupo per convergenza evolutiva. Era scomparso quasi 2.000 anni fa, tranne che in Tasmania, dove svolgeva un ruolo chiave nell’ecosistema. Ma dopo il 1800 arrivarono coloni inglesi con bestiame, che il superpredatore tilacino iniziò ad attaccare. E allora iniziarono a sterminarlo, fino a quando negli anni ‘30 del XX secolo il governo australiano decise di metterlo sotto la sua protezione. Ma era troppo tardi. Nel 1936, l’ultimo tilacino vivente, un esemplare di nome Benjamin, morì in uno zoo dell’isola. In questo caso però il tilacino si è estinto in tempi moderni, il suo habitat esiste ancora e non è stato sostituito come predatore. Colossal in questo caso lavorerebbe su altri marsupiali come il diavolo di Tasmania e il numbat.
“Perché non anche il moa?”, si è chiesto il regista Peter Jackson, riferendosi all’uccello gigante estintosi in Nuova Zelanda 600 anni fa
“Ma perché non anche il moa?”, si è chiesto quando ha letto questa lista Peter Jackson: regista della trilogia del “Signore degli anelli” e nato in Nuova Zelanda. Arcipelago subito a sud della Tasmania dove quell’uccello gigante visse e si estinse circa 600 anni fa, per effetto della caccia massiccia dei Maori dopo essere sbarcati. “Quando si cresce in Nuova Zelanda, si cresce imparando la storia dei moa. E’ qualcosa che è nel nostro dna”, ha spiegato. Pesante fino a 400 chili, alto oltre tre metri e mezzo e senza ali, è stato l’uccello più alto mai esistito. Jackson ha subito parlato con la Colossal, ed ha offerto 15 milioni di dollari per far partire anche questo progetto, in cooperazione con il Ngai Tahu Research Centre: un centro di ricerca collegato all’Università di Canterbury, nato nel 2011 per custodire e proteggere la storia e la cultura di Ngai Tahu, la più antica tribù Maori della regione meridionale della Nuova Zelanda. Jackson ha anche una collezione di fossili, che metterà disposizione per cercare di resuscitare le nove specie di moa attestate. In questo caso l’uccello vivente più geneticamente vicino su cui lavorare sarebbe il sudamericano tinamou. La promessa è di avere il primo moa resuscitato addirittura la prossima estate.
Ma non c’è solo Colossal. Anche la californiana Revive & Restore fa un lavoro simile, e in particolare ha un progetto per cercare di riportare in vita il piccione migratore, passato dall’essere l’uccello più abbondante sulla Terra nel 1860 – quando si stima che ne esistessero tra i 3 e i 5 miliardi – all’estinzione nel 1902. L’organizzazione mira a ripristinare il beneficio che questa specie ha avuto nella tutela della biodiversità forestale negli Stati Uniti orientali.
Ancora prima della scoperta del Dna risale poi il tentativo di riportare in vita l’uro: antenato dei bovini domestici il cui ultimo esemplare fu ucciso in una partita di caccia nel 1627 in Polonia. Oltre un secolo fa i fratelli tedeschi Heinz e Lutz Heck, entrambi direttori di zoo, si misero a incrociare appunto bovini domestici loro discendenti. In particolare bovini da combattimento spagnoli, bovini scozzesi Highlander e di razza Podolica ungherese. Il risultato fu il bovino di Heck: un “uro rinato” o “uro di Heck”, che dopo il 1945 è stato reintrodotto in particolare in Polonia, Belgio, Paesi Bassi e Inghilterra. C’è un consistente branco che vive addirittura allo stato brado nella riserva Oostvaardersplassen, nei Paesi Bassi.
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