Fateci arricchire, al resto pensiamo noi. Il manifesto tecno-capitalista di Sam Altman

Fateci arricchire. Fateci fare una montagna di soldi. Al resto pensiamo noi. Troveremo noi il modo per riequilibrare il sistema. Mentre Elon Musk si conquistava i riflettori di tutto il mondo annunciando la definitiva rottura con Donald Trump e la creazione di un suo partito personale (America Party), Sam Altman, capo di OpenAI, su X.com condivideva uno dei suoi post più controversi e popolari di sempre. Pubblicato il 4 luglio, lungo abbastanza da sembrare più un manifesto politico che una richiesta alla classe dirigente, il post comincia con la più classica delle liturgie americane: “Sono orgoglioso di essere americano.
Credo sia il più grande Paese mai esistito sulla terra”. Poi continua: “Credo nel tecno-capitalismo. Dovremmo incoraggiare le persone a guadagnare tonnellate di denaro e poi trovare il modo di distribuire ampiamente la ricchezza e condividere la magia della capitalizzazione. L'uno non funziona senza l'altro; non si può alzare il pavimento e non alzare anche il soffitto per molto tempo”.
Cosa vuol dire “tecno-capitalismo”È la prima volta che Altman menziona pubblicamente il tecno-capitalismo. Un modello economico in cui la tecnologia è il motore principale dell’economia. È la tecnologia che crea valore, crescita economica e soprattutto è la tecnologia che cambia, trasforma la società nella struttura capitalistica.
Una definizione da manuale per esempio è quella di Shoshana Zuboff che in Capitalismo della sorveglianza (Luiss Press) da una definizione di tecno-capitalismo come evoluzione ‘digitale’ del capitalismo. Una fase del capitalismo dove l’evoluzione tecnologica diventa strumento perfetto per aumentare produttività e profitti. Ma il tecno-capitalismo per sua natura implica anche la concentrazione nelle mani di poche, pochissime aziende, di un potere enorme, sia finanziario che decisionale. Specie per via del legame che queste stabiliscono con il potere politico. Alla lunga, per alcuni teorici, il potere del capitalismo tecnologico e quello politico si fondono, un po’ come è stato paventato nei mesi più idilliaci del rapporto tra Elon Musk e Donald Trump.
La concentrazione di denaro e potere nelle mani di pochiAltman è il capo di una delle società più avanzate di Intelligenza artificiale. Dai laboratori di OpenAI è uscita Chatgpt, 1.5 miliardi di utenti unici al mese in poco più di due anni di vita. Accelerazione mai vista prima nella storia della tecnologia. Accelerazione resa possibile solo da un elemento: la quantità enorme di denaro che questa società possiede, sia per sviluppare le proprie tecnologie che per pagare i migliori ingegneri al mondo per farlo. Qualcosa di impensabile per la ricerca pubblica in nessuna parte del mondo.
Questo, alla lunga, porterebbe naturalmente a nuove forme di monopolio. Fare soldi, “tonnellate di soldi”, è un modo per accumulare sempre più ricchezza e potere nelle mani di poche persone. Dinamiche anche queste da manuale del capitalismo classico, giusto estremizzate da quello digitale. E, considerata la composizione della rosa degli uomini più ricchi del mondo oggi, la direzione sembra già segnata. Il tecno-capitalismo è già in atto.
La guglia gotica dei nuovi ricchi, una tensione infinita al cielo del dio danaroDi qui la seconda parte del messaggio di Altman. I nuovi ricchi sono il tetto che si innalza sempre di più, metafora gotica di elevazione al cielo, patrimoni come guglie di una cattedrale. E chi resta sotto è il pavimento, che va in qualche modo sostenuto.
Come? Altman non lo dice, ma lui ha sempre sostenuto l’utilità di un reddito universale di base. Non a caso ha celebrato la decisione di Trump di dare mille euro a ogni bimbo americano nella legge di bilancio (si chiamerà ‘Fondo Trump’). Per evitare che il pavimento ceda - o prima o poi si ribelli - va curato, sostenuto, accontentato col minimo indispensabile perché l’automazione del lavoro e l’efficienza imposta dalle macchine hanno un solo sbocco possibile: prima o poi buona parte del lavoro umano sarà inutile, e senza un reddito garantito per consumare i beni messi sul mercato dall’industria tecnologica, l’industria tecnologica non avrebbe motivo di esistere.
Altman, 1,7 miliardi di patrimonio netto, è in buona compagnia. C’è una lunga lista di imprenditori - va da Peter Thiel (23,3 miliardi) a Marc Andressen (2 miliardi) - consapevoli che l’avanzata delle nuove tecnologie porterà a uno scenario inevitabile: la forte riduzione, se non la totale estinzione, del lavoro. Scenario che, unito alla concentrazione monopolitistica del capitalismo digitale dove a produrre queste tecnologie sono un numero ristretto di aziende potentissime, porta a un bivio: o si trova un modo per ridistribuire almeno in parte questa ricchezza, o il mondo è destinato a collassare politicamente.
La svolta politica di Altman, “orfano politico” solo per comoditàQuesto bivio fa comprendere meglio la seconda parte del post di Altman. Che si definisce politicamente orfano (così come lo è stato Musk prima di lui), ma che ha donato un milione di dollari alla cerimonia di insediamento di Trump. Troppo distanti ora i democratici. Troppo di sinistra oggi, con Zohran Mamdani che con un programma fortemente progressista vince le primarie di New York e diventa la nuova speranza dei dei americani.
Altman, 41 anni, gay, sposato con Oliver Mulherin, un figlio, si è sempre detto progressista sul campo dei diritti. Meno sul piano politico dove ora è meglio Trump con la sua promessa di meno regole e meno tasse, soprattutto per i ricchi. Ma lui è un tecno-capitalista. Lui oggi vuole la vittoria del capitalismo digitale su ogni ambito che guida la società contemporanea. Forse più trumpiano di Musk, almeno per ora.
Più potere. Più tecnologie. Più dati. Più sorveglianzaIl tecno capitalismo è oltre il neoliberismo. Per alcuni è una sua versione potenziata. Con sé si porta dietro una serie di contraddizioni che è difficile elencare. Ma in uno scenario tecno capitalista le disuguaglianze tenderanno ad aumentare. E in parte dentro questa tendenza ci siamo già.
I nuovi ricchi del capitalismo digitale hanno accumulato fortune immense, accresciute negli ultimi anni dove l’1% della popolazione detiene il 90% delle ricchezze mondiali (dati Oxfam): Elon Musk (Tesla), Mark Zuckerberg (Meta), Jeff Bezos (Amazon), Larry Ellison (Oracle), Larry Page (Google), Segey Brin (Google), posseggono fortune quanto il Pil di interi stati. E dietro di loro ci sono le centinaia di manager, ingegneri, capi che aziende si contendono con centinaia di milioni di dollari di stipendi annuali. Fortune immense. Distribuite tra pochissimi. Poche centinaia, forse migliaia di persone tra miliardi. Aumenterà forse in parte il loro numero, ma aumenterà il divario con il resto del mondo.
Aumenterà il loro potere, aumenterà di conseguenza la loro potenza decisionale, la loro capacità di influenzare l’opinione delle persone tra social e risposte impacchettate dell’IA. Per farlo sfrutteranno dati, e monetizzeranno quelli delle persone che non potranno fare altro che cederli per accedere a servizi essenziali per poter vivere. Un circolo vizioso destinato ad autoalimentarsi e a tenersi in equilibrio tra la promessa di tecnologie sempre più efficaci e la necessità di usarle per stare al passo con un mondo dove a meraviglia tecnologica ne segue un’altra. Uno scenario dove tecnologia, progresso e controllo sociale si intrecciano, diventano tutt’uno. La strada è già stata imboccata.@arcangelo.rociola
La Repubblica