I modelli di Ai possono usare i libri. Vittoria in tribunale per Anthropic

I modelli di AI possono usare i libri, anche quelli soggetti a copyright, per addestrarsi. Non c’è violazione di copyright, almeno negli Usa: è il senso di una sentenza, a tratti rivoluzionaria, di un giudice federale americano questa settimana ha stabilito che l’intelligenza artificiale di Anthropic non ha violato la legge quando ha utilizzato libri protetti da copyright per addestrare il suo chatbot Claude, senza il consenso degli autori o degli editori dei testi.

La decisione, presa lunedì dal giudice William Alsup della Corte distrettuale degli Stati Uniti per il Distretto settentrionale della California, è vista dagli esperti di tutto il mondo come una vittoria per le aziende di IA, che hanno dovuto affrontare cause per copyright da parte di scrittori e organizzazioni giornalistiche per aver utilizzato il loro lavoro per addestrare i sistemi di IA.

È vero che la sentenza non si applica all’Europa, dove valgono regole più restrittive; ma la direzione così netta che sta prendendo la giurisprudenza negli Usa può comunque pesare nei rapporti di forza europei tra editori, autori da una parte e aziende AI dall’altra. Se l’Europa resta isolata nella tutela del copyright nei confronti dell’AI, le sarà più difficile mantenere il punto, anche alla luce dei rapporti geopolitici tra Usa e Ue.

Colpiscono i motivi della sentenza. Alsup ha affermato che il training con i libri è un uso trasformativo, non è plagio (ricade nella disciplina “fair use” americana) ed è simile a un aspirante scrittore che legge testi protetti da copyright “non per replicare o soppiantare” quelle opere, “ma per creare qualcosa di diverso”.

La sentenza riguarda una causa intentata l’anno scorso contro Anthropic da tre autori - Andrea Bartz, Charles Graeber e Kirk Wallace Johnson - che sostengono che l’azienda abbia utilizzato il loro lavoro senza il loro consenso.