Il ceo di Amazon scrive ai dipendenti: l’IA ridurrà la nostra forza lavoro
Non è una minaccia. È un avviso formale. Amazon, dall’altro del suo milione e mezzo di dipendenti sparsi in tutto il mondo, ha annunciato che nei prossimi anni taglierà personale perché l’intelligenza artificiale (IA) è più veloce, più efficiente e più economica. Andy Jassy, Ceo del colosso di Seattle, ha firmato la dichiarazione che molti temevano e pochi osavano pronunciare: l’IA non è solo uno strumento di supporto. È un fattore di sostituzione. E Amazon ha intenzione di usarlo per fare di più con meno persone.
Chi lavora dietro una scrivania, analizza dati, compone email, organizza vendite o assiste clienti è avvisato: una parte di quei compiti la farà un agente conversazionale. O, magari, la fa già.
Nella comunicazione interna inviata ai dipendenti il 17 giugno, Jassy non ha lasciato spazio a interpretazioni: «Nei prossimi anni prevediamo una riduzione della nostra forza lavoro corporate, grazie ai guadagni di efficienza ottenuti con l’uso intensivo dell’intelligenza artificiale».
Un annuncio arrivato dopo gli oltre 27mila licenziamenti dal 2022 a oggi, in vari reparti, inclusi quelli dedicati a dispositivi, servizi e customer support. Nel solo 2025, Amazon ha già tagliato altre 300 posizioni tra gennaio e maggio. E, a quanto pare, non è finita.
Il motivo di questa accelerazione ha un nome preciso: agenti di IA generativa. Sistemi intelligenti, cioè, che eseguono compiti complessi in modo autonomo, usando modelli linguistici come GPT, Claude o Gemini per interagire, pianificare, decidere e agire. Non si limitano a generare testi o risposte, ma prendono istruzioni, le comprendono e agiscono di conseguenza.
Secondo Jassy, Amazon ha oltre mille sistemi IA già operativi o in fase di test, usati per creare contenuti pubblicitari personalizzati, ottimizzare la logistica, assistere clienti via chat e voce, scrivere codice, riassumere dati, generare analisi predittive e supportare i team interni con compiti ripetitivi.
«Gli agenti ti permettono di dire cosa vuoi, in linguaggio naturale, e fanno il lavoro al posto tuo. Faranno ricerca, scriveranno, organizzeranno, segnaleranno anomalie. E non parliamo di centinaia. Parliamo di miliardi di agenti intelligenti, in ogni settore e in ogni azienda», ha scritto il Ceo.
Le reazioni interne non si sono fatte attendere. I canali Slack aziendali si sono riempiti di messaggi pieni di preoccupazione, incertezza e rabbia. Qualcuno ha commentato amaramente che «non c’è niente di più motivante di un martedì in cui scopri che il tuo lavoro sarà sostituito dall’IA». Si contesta la scelta aziendale di usare l’intelligenza artificiale come strumento per tagliare i costi piuttosto che incrementare le possibilità operative dei dipendenti.
Alcuni ricordano che questa dinamica si accompagna ai recenti tagli, alimentando il timore che l’agenda dell’efficienza stia diventando prioritaria rispetto all’innovazione. E non manca la polemica sul fatto che i dirigenti senior difficilmente saranno coinvolti in questi ridimensionamenti poiché i livelli elevati di management restano intatti o addirittura crescono.
La dichiarazione di Jassy rompe un tabù nel mondo tech. Finora, i giganti della tecnologia hanno cercato di non dire chiaramente che l’IA comporta tagli. Si è sempre parlato di “efficienza”, “riqualificazione” e “automazione come supporto”. Ma adesso la maschera è caduta. E non è solo Amazon: Shopify chiede ai dipendenti di giustificare perché non usano l’IA prima di chiedere nuove assunzioni; Klarna ha ridotto del 40% la forza lavoro anche grazie all’adozione dell’intelligenza artificiale; Microsoft ha tagliato centinaia di ingegneri software nel 2024; Meta e Google stanno riorganizzando team interi, spostando funzioni umane verso modelli linguistici sempre più avanzati.
A onor del vero, Jassy non parla solo di licenziamenti, ma anche di transizione. L’IA sostituirà alcune mansioni, ma ne creerà di nuove: prompt designer, formatori di modelli linguistici, analisti di bias, supervisori etici, ingegneri dell’automazione.
Il problema? Non tutti potranno riconvertirsi in tempo. E chi è rimasto indietro sul piano digitale rischia grosso. Per questo il Ceo ha invitato i dipendenti a «diventare curiosi dell’IA», frequentare corsi interni, partecipare a workshop, sperimentare strumenti e prendere parte ai brainstorming sulle nuove soluzioni. Ma non è solo una questione di formazione individuale. È anche una sfida sociale e politica.
Secondo l’Ocse, il 60% dei lavoratori nei Paesi avanzati ha mansioni potenzialmente sostituibili dall’intelligenza artificiale. Per il Fondo monetario internazionale, poi, il rischio non è solo la disoccupazione, ma l’aumento della disuguaglianza: chi ha competenze digitali sarà più richiesto e pagato. Chi non le ha, sarà scavalcato. E in assenza di politiche pubbliche attive, il rischio è che la transizione si trasformi in uno tsunami sociale.
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