Il sistema immunitario si nutre del nemico: i macrofagi trasformano i patogeni in nutrienti


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Cattivi scienziati
Un nuovo studio mostra che i macrofagi non si limitano a eliminare i batteri fagocitati: li assimilano come fonte di energia. Un cambio di paradigma che sfuma il confine tra difesa immunitaria e nutrizione
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Che fine fanno i patogeni dopo essere stati fagocitati dai macrofagi? La risposta tradizionale è semplice: vengono eliminati. Ma questa visione appare oggi incompleta. Un nuovo studio pubblicato su Nature nel febbraio 2025 ha mostrato che i batteri fagocitati non sono soltanto distrutti: vengono anche assimilati. Vengono letteralmente digeriti come una fonte di nutrienti, e le loro componenti – carbonio, azoto, amminoacidi – vengono incorporate nelle vie metaboliche del macrofago. In altre parole, il sistema immunitario non si limita a combattere: si nutre del nemico.
Questo capovolge una delle dicotomie fondamentali che la biologia aveva dato per scontate: quella tra ciò che è “minaccia” e ciò che è “nutrimento”. I macrofagi non si pongono il problema di scegliere fra queste due opzioni. Semmai, convertono la prima nella seconda. Una volta che un batterio entra nella cellula immune, viene riconfezionato in forma utile: diventa materia prima per l’energia, per la biosintesi, per la sopravvivenza stessa del macrofago. Non è solo neutralizzato: è trasformato.
E questo vale sia per i batteri vivi che per quelli uccisi. In entrambi i casi, i macrofagi riciclano le stesse molecole, ne estraggono sostanze utili, le utilizzano per sostenere le proprie funzioni. La differenza, come ha mostrato questo studio, non è nella qualità del nutrimento ma nella risposta immunitaria che si attiva in parallelo. Se il batterio è vivo, vengono accesi i segnali di allarme: l’infiammazione si innesca, si produce una risposta aggressiva, si mobilitano difese più ampie. Se il batterio è morto, al contrario, prevale una risposta di tipo rigenerativo e antiossidante. In altre parole: la stessa materia viene trattata in modo diverso a seconda del contesto vitale da cui proviene.
È un cambio di paradigma profondo. L’idea che il sistema immunitario sia un sistema binario, che separa il self dal non-self, il buono dal cattivo, l’alimento dal patogeno, viene scalzata da una visione più sfumata e integrata. Il macrofago non è solo un soldato che elimina, ma anche un riciclatore che assimila. E questa funzione è essenziale per la sua stessa sopravvivenza, soprattutto in ambienti dove le risorse sono scarse. Se non arriva abbastanza nutrimento dall’esterno, il sistema immunitario lo ricava da ciò che ha già inglobato.
Questa nuova funzione dimostrata non è inattesa da un punto di vista evoluzionistico, perché i macrofagi derivano da antichi organismi unicellulari, come le amebe, che utilizzavano la fagocitosi non per difendersi, ma per nutrirsi. La capacità di inglobare e digerire particelle esterne era, in origine, una strategia alimentare. Con l'evoluzione degli organismi multicellulari, questa funzione è stata cooptata per la difesa immunitaria, ma ha mantenuto la sua essenza nutritiva. In questo senso, la fagocitosi rappresenta un ponte tra nutrizione e immunità, un meccanismo ancestrale che ha permesso agli organismi di sopravvivere e adattarsi in ambienti ostili.
Le implicazioni sono molteplici. Innanzitutto, si apre una nuova prospettiva sull’immunometabolismo: quella branca della biologia che studia come metabolismo e risposta immunitaria si influenzino a vicenda. Oggi abbiamo una ragione in più per considerare che il metabolismo non è solo un sottofondo passivo della risposta immunitaria, ma una sua componente attiva, regolata in funzione del tipo di materiale ingerito.
In secondo luogo, questa scoperta cambia anche il modo in cui vediamo il nostro rapporto con il microbioma. I nostri macrofagi non si limitano a tollerare la presenza dei microbi che convivono con noi: li inglobano, li digeriscono, li trasformano in nutrienti. È un processo continuo, silenzioso, eppure fondamentale: una forma di simbiosi dinamica, in cui anche il partner più pacifico può essere riciclato per nutrire il sistema che lo ospita. In questo senso, il confine fra immunità e nutrizione diventa più poroso. Ci nutriamo letteralmente di ciò che combattiamo. E anche di ciò con cui conviviamo. La modulazione del nostro microbioma diventa quindi un approccio ancora più al crocevia tra nutrizione e infiammazione.
Infine, questa scoperta offre nuove chiavi per affrontare patologie in cui il metabolismo immunitario è alterato – dalle infezioni croniche, ai tumori, alle malattie infiammatorie. Se siamo in grado di modulare la capacità dei macrofagi di distinguere fra batteri vivi e morti, o di regolare il modo in cui assimilano i loro componenti, potremmo intervenire in modo più raffinato sull’equilibrio tra difesa e tolleranza. Potremmo, ad esempio, aiutare il sistema immunitario a sopravvivere in ambienti poveri di nutrienti senza innescare risposte dannose; o al contrario, potenziare l’allarme quando serve davvero.
Il sistema immunitario, in quest’ottica, non è più soltanto un vigile o un guerriero: è anche un metabolizzatore intelligente. Trasforma ciò che incontra, ne valuta la vitalità, adatta la risposta e ne trae nutrimento. Il corpo non si limita a espellere il mondo esterno: in parte, lo assimila. È una lezione di biologia e, forse, anche di filosofia naturale. Non tutto ciò che è estraneo va respinto. Talvolta, è meglio digerirlo.
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