L’intelligenza artificiale porterà via alcuni lavori, ma farà aumentare le retribuzioni di altri

“Nel giro di otto mesi dal lancio di ChatGPT, le offerte di lavoro per attività come scrittura e coding sono diminuite del 21% rispetto a quelle più manuali, come la gestione dati o la revisione video/audio”. Xinrong Zhu, docente e ricercatrice presso l’Imperial College di Londra, è autrice di uno studio che analizza gli effetti dell'introduzione di strumenti come ChatGPT sulle piattaforme di lavoro freelance. “Con le nuove capacità dei modelli, probabilmente oggi l’impatto si estenderebbe anche a quei settori”, osserva. Dell’impatto dell’intelligenza artificiale nel mondo del lavoro, Zhu parlerà il 19 giungo alle 15 nel corso di un panel al settimo Jobless Society Forum, presso la Fondazione Feltrinelli di Milano, in viale Pasubio 5 a Milano. Parteciperanno all’incontro Marco del Tredici, specialista in intelligenza artificiale generativa e agenti, Francesca Lagioia dell’Università Alma Mater Bologna, Antonio Cisternino dell’Università di Pisa, Raffaele Gallo, informatico e fondatore di ia360.academy.
In pericolo"Ci aspettavamo un impatto di ChatGPT, ma non così rapido e marcato. Il fatto che tutto sia avvenuto in pochi mesi è qualcosa che non avevamo osservato con nessun'altra tecnologia, nemmeno con il computer o il telefono". Questa rapidità, secondo la studiosa, deriva da due fattori principali: l'accessibilità e il costo. "A differenza dei computer, che inizialmente erano riservati a pochi esperti, ChatGPT può essere usata da chiunque: studenti, pensionati, professionisti. È accessibile perché adopera un linguaggio naturale, ma anche perché per la maggior parte degli impieghi è gratuita”.
Per le aziende, anche quando non è gratuita, l’intelligenza artificiale è comunque economicamente conveniente: “Non si stanca mai, non si ammala, non sciopera. E per certi compiti, specie quelli ripetitivi e più semplici, è molto più efficiente di un essere umano”. Fin qui, tutto sommato era prevedibile, ma quello che continua a sorprendere è come l’intelligenza artificiale generativa stia minacciando i lavori creativi: scrittori, copywriter, ghostwriter, musicisti, illustratori". In alcuni casi, queste categorie hanno visto ridursi le offerte di impiego anche di un terzo. “Lo stesso succede con il programmatori: scrivere codice ha un aspetto creativo importante”. E tuttavia, anche un lavoro creativo prevede compiti noiosi e ripetitivi: “Come docente, posso usare l’AI per velocizzare le risposte alle email oppure organizzare il calendario, ma per scegliere gli argomenti da trattare nelle lezioni non posso affidarmi all’intelligenza artificiale”. Il lavoro è composto anche da una serie di elementi che potremmo definire “astratti”, spiega Zhu: “La credibilità sociale, la reputazione nel tempo, l’autorità che ci si costruisce, la fiducia dei clienti. Prendiamo un medico: ci si fidiamo più di un’intelligenza artificiale o di qualcuno che ha una specializzazione, che esercita da tempo e che si è affermato nella professione? Ecco un’altra grande differenza tra l’IA e i lavori svolti dagli esseri umani”.
Il primo passoPer questo, nel suo studio, Zhu spiega di aver riflettuto a lungo sull’opportunità di usare la parola “sostituzione”. “È forte. Rimanda a una rimozione totale del lavoro umano. Ma ciò che vediamo è più sfumato: l’IA rimpiazza alcuni compiti, non interi ruoli. E spesso i lavori che restano diventano più complessi, più specialistici e in certi casi meglio pagati”. Il problema è semmai per quelli più semplici: in Europa, ad esempio, le aziende tecnologiche hanno ridotto del 73,4% le assunzioni dal 2024, specie quelle nei ruoli di primo livello. Ma se i lavori più semplici vengono automatizzati, come entreranno i giovani nel mondo del lavoro? "Questo è un vero problema", ammette Zhu. "Io stessa sono preoccupata per i miei studenti. Se non possono iniziare con compiti semplici, non avranno l'opportunità di imparare sul campo. L'IA sta erodendo la base della formazione professionale". E le implicazioni sono gravi: "Assistiamo a una polarizzazione crescente. Da una parte, lavori sempre più complessi e ben retribuiti per chi ha già esperienza. Dall'altra, un numero crescente di persone escluse, che non riescono nemmeno a iniziare".
Le aziende che hanno cambiato ideaIntanto, dalle aziende arrivano segnali contrastanti: Amazon ha appena annunciato nuovi tagli al personale, giustificandoli con l’introduzione dell’intelligenza artificiale, Shopify ha imposto che ogni nuova assunzione fosse giustificata con l’impossibilità di usare l’IA. Klarna ha ridotto il personale per adottare soluzioni basate su intelligenza artificiale, ma è tornata indietro. Duolingo ha provato a sostituire parte del lavoro umano, ma ha incontrato resistenze. IBM ha automatizzato il reparto risorse umane, salvo poi riassumere i dipendenti licenziati. Abbiamo sopravvalutato l’IA o sottovalutato il lavoro umano? “Entrambe le cose”, risponde Zhu. “È in atto un conflitto di interessi strutturale: le aziende cercano efficienza e risparmio, i lavoratori qualità e dignità. In ogni rivoluzione industriale si è verificato uno scontro simile, ma oggi l’IA si evolve molto più velocemente della capacità umana di adattarsi. Le aziende stanno ancora imparando a trovare un equilibrio tra automazione e lavoro umano”. E trova molto seguito anche una narrativa apocalittica guidata dagli stessi protagonisti della rivoluzione IA, in prima fila Sam Altman, Ceo di OpenAI, e Dario Amodei, Ceo di Anthropic, che sono contemporaneamente profeti di sventura e portatori di salvezza. Con le loro aziende, naturalmente.
L’assenza della politicaE la politica, che dovrebbe intervenire per salvaguardare i lavoratori? "Al momento fa molto poco. La velocità con cui l'IA si evolve oggi è superiore alla nostra capacità di adattamento: servirebbero risposte rapide e coordinate, ma manca una visione sistemica e forse non c’è nemmeno la volontà”, risponde Zhu. “Si parla molto di regole, nessuno però le scrive davvero, anche perché le grandi aziende tech hanno rapporti molto stretti con i vari governi. E finché tutto resta nelle mani dei big tech, il rischio è che siano loro a decidere chi lavora e chi no".
La Repubblica