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La Cina lancia un’identità unica digitale. E crea un nuovo modello di controllo di Internet

La Cina lancia un’identità unica digitale. E crea un nuovo modello di controllo di Internet

TAIPEI – Un giubbotto antiproiettile per le informazioni personali, come lo definiscono i media statali. O forse lo strumento definitivo di controllo dell'ecosistema digitale, come pensano altri. La Cina ha lanciato una nuova forma centralizzata di identità virtuale. Il governo sostiene si tratti di una mossa necessaria a tutelare la privacy, ma in molti temono possa diventare un modo per mettere a tacere qualsiasi voce critica.

Come funziona il sistema unico di identità digitale

Sviluppato dal ministero della Pubblica Sicurezza e dalla potente amministrazione del Cyberspazio, il sistema sostituisce il modello decentrato di verifica dell’identità utente con un’infrastruttura unificata e statale.

Basta account sparsi, registrazioni multiple, verifiche ripetute: l’idea è semplice e potente. Ogni utente avrà un unico profilo digitale, verificato tramite documento d'identità, riconoscimento facciale e numero di cellulare cinese.

Una volta autenticato, potrà accedere in automatico a tutte le piattaforme connesse: dalla super app WeChat all'ecommerce di Taobao, da 12306 per i biglietti ferroviari a Douyin, la versione originale di TikTok. Oppure a Xiaohongshu, il "piccolo libretto rosso" conosciuto nel mondo anche come Red Note.

Utilizzo volontario, ma impiego incentivato

Il nuovo sistema entra ufficialmente in vigore il 15 luglio, ma già oltre sei milioni di utenti hanno scaricato l'app di identificazione virtuale centralizzata. A ognuno viene fornito un "numero internet", cioè un identificativo alfanumerico univoco, e un "certificato internet", che collega questo identificativo ai dati biometrici e legali del cittadino (volto, carta d'identità o permesso di soggiorno, indirizzo, numero telefonico).

Al momento, l'utilizzo è volontario, ma il suo impiego è già incentivato: 67 piattaforme hanno integrato il login con identificazione statale. In alcuni casi, è diventato di fatto già quasi obbligatorio. È il caso della piattaforma dei servizi locali della provincia orientale dell'Anhui, che ha rimosso le alternative come l'autenticazione tramite Alipay, il servizio di pagamento del colosso digitale Alibaba. Una mossa che di fatto forza l'adozione del sistema centralizzato statale.

Secondo le autorità, il nuovo sistema semplifica la vita digitale, riduce il rischio di furti d’identità e “rafforza la fiducia nella rete”. Ma, dietro la retorica dell’efficienza, c’è un punto sensibile: la tracciabilità. Fino ad oggi, la gestione dell’identità online in Cina era affidata a ogni singola piattaforma. Il nuovo modello consente invece allo Stato di mappare in tempo reale le attività digitali di ogni utente, senza passare da intermediari.

Per milioni di cinesi, una comodità: niente più codici, meno frodi

Per milioni di cinesi, il nuovo ID virtuale porterà comodità reali. Niente più codici da ricordare, meno frodi, accessi più fluidi. Ma l’altra faccia della medaglia è una riduzione drastica dello spazio privato in rete. Il governo promette che le informazioni personali resteranno criptate, accessibili solo in casi specifici e protette dal principio di “minimizzazione dei dati”.

La concentrazione delle informazioni in una piattaforma statale unica crea però un bersaglio ideale per attacchi hacker, furti di identità, e violazioni su larga scala. L’attacco del 2022 alla banca dati della polizia di Shanghai (con 1 miliardo di profili rubati) dimostra che anche i sistemi governativi non sono inviolabili: un monito che la sicurezza perfetta non esiste.

Quando le autorità possono sospendere ID Internet, e cosa succede

Con l’ID Internet, ogni attività online, dai post social alla prenotazione di un treno, può essere collegata a una singola persona. Oltre a monitorare, il sistema potenzialmente consente di disattivare completamente una persona online con un solo comando. Se una persona viene segnalata per “attività anomale”, le autorità possono teoricamente revocare o sospendere l’ID virtuale, bloccandone l’accesso non solo a Internet, ma a servizi essenziali come banking, trasporti, istruzione, sanità. Secondo diversi ricercatori, il nuovo sistema consente di eliminare in tempo reale i contenuti ritenuti indesiderabili, senza bisogno di collaborazione tra piattaforme o richiesta di rimozione.

L'internet cinese è già controllato. Il progetto Golden Shields, messo a punto nel 1998, ha dato vita a quella che viene chiamata "Grande Muraglia Digitale", che dal 2003 "protegge" la rete da influenze esterne indesiderate e da contenuti interni giudicati potenzialmente sovversivi o dannosi.

Il controllo di Internet in Cina

Negli anni, questo sistema si è evoluto in una rete a più livelli: al controllo tecnico con blocchi e firewall si è aggiunto prima un controllo sociale con segnalazioni tra utenti, poi un controllo legale con una serie di regole su cyber security e protezione dei dati. Norme spesso non dissimili, o persino anticipatorie, da quelle adottate in Occidente.

Con la differenza che in cima alla piramide c'è un'autorità politica che ha gli strumenti per silenziare dibattiti o polemiche considerati rischiosi. Eppure, sin qui i netizens cinesi hanno sempre saputo ritagliarsi una significativa capacità d'azione. Non solo attraverso l'utilizzo delle reti private virtuali (VPN) che aggirano la Muraglia digitale, entro la quale in realtà moltissimi sono lieti di restare, ma anche con varie forme di creatività (tra cui meme, giochi di parole) utili ad aggirare la censura ma soprattutto a influenzare lo spazio digitale.

Il tutto in una continua e implicita negoziazione con le autorità. Tutto questo avviene in un ambiente che non elimina il dibattito, ma lo canalizza. I cittadini possono criticare singoli funzionari, ma non il governo centrale. Possono discutere problemi locali, ma non i fondamenti dell’ordine politico. Il rapporto con lo Stato non è solo coercitivo: è anche contrattuale. In cambio di ordine e stabilità, lo Stato concede spazi controllati di espressione, lasciando margini creativi entro limiti ideologici ben definiti.

I rischi: controllo del dibattito, riduzione drastica del dissenso

C'è chi teme che la nuova identità virtuale centralizzata, se imposta su larga scala, riduca drasticamente non solo lo spazio di dissenso o critica, ma anche quel costante processo di rinegoziazione. La combinazione tra ID statale, riconoscimento facciale e software predittivo ricorda a qualcuno il codice sanitario usato durante la pandemia, ma più sofisticato e permanente. Non sono peraltro mancate le polemiche interne.

Lao Dongyan, professore di diritto alla prestigiosa Università Tsinghua, ha paragonato il sistema alla "installazione di un dispositivo di sorveglianza sulle attività online di ogni individuo” in un post su Weibo, poi rimosso con l'account di Lao rimasto sospeso per tre mesi. Altri hanno evidenziato il rischio di profilazione totale degli utenti e di utilizzo politico del sistema per punire o dissuadere attivisti e minoranze.

Il Partito comunista e la “gelatina inchiodata al muro”

Nel periodo trascorso dall'annuncio della novità e la sua entrata in vigore, il governo ha insistito sull'aumento di efficienza e sicurezza, con una punta di retorica: il sistema centralizzato toglierebbe i dati degli utenti dalla disponibilità esclusiva delle "avide" grandi aziende private. La campagna di rettificazione contro le Big Tech cinesi, avviata nell'autunno 2020 col blocco alla quotazione in borsa di Ant Group e il "silenzio forzato" del super manager Jack Ma, è servita anche a operare una forte centralizzazione del potere sui dati, di cui l'entrata in vigore del nuovo ID statale è l'ultimo e più evidente sintomo.

Cercare di controllare Internet “è come provare ad appendere la gelatina al muro”, diceva Bill Clinton nel marzo 2000. Non solo il Partito comunista c'è riuscito, ma ha saputo anche rimodellare lo spazio digitale a sua immagine e somiglianza, pervadendolo della propria sovranità.

repubblica

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