No al monopolio Usa, sì all’open source: la Cina traccia la sua via per l’intelligenza artificiale

"L'intelligenza artificiale open source cinese è un catalizzatore di progresso globale". Si tratta di una delle frasi più citate nelle ultime settimane dai media di Pechino. A pronunciarla non è stato un oscuro funzionario del Partito comunista, ma Jensen Huang, amministratore delegato del colosso statunitense Nvidia, durante la sua recente ed ennesima visita in Cina. Sì, perché la potenza asiatica sta cercando di accreditarsi come leader globale dello sviluppo dell'intelligenza artificiale. Non solo dal punto di vista produttivo e tecnologico, ma anche da quello politico e filosofico. Questa ambizione è ben rappresentata dal discorso con cui il premier Li Qiang ha aperto la World Artificial Intelligence Conference (WAIC), che si è svolta a Shanghai dal 26 al 29 luglio con la partecipazione di 800 aziende cinesi e internazionali. Oltre 1200 rappresentanti tra funzionari, leader industriali e scienziati provenienti da 30 Paesi e regioni hanno presenziato all'evento, inclusi esponenti di aziende globali come Siemens, Schneider, e colossi tech cinesi come Alibaba, Tencent, MiniMax, Unitree Robotics e iFlytek. Presente Unitree, produttrice di robot umanoidi che secondo media starebbe vivendo nel suo settore un "momento DeepSeek", con riferimento al modello linguistico di grandi dimensioni cinese lanciato lo scorso gennaio.
Il braccio destro del presidente Xi Jinping ha dichiarato che la comunità internazionale dovrebbe dare maggiore priorità alla governance congiunta dell’intelligenza artificiale, sollecitando la formazione precoce di un quadro e di regole globali condivise per guidarne lo sviluppo e l’utilizzo.
Senza citare direttamente gli Stati Uniti, Li ha sottolineato che il "monopolio tecnologico di pochi Paesi e imprese rischia di rendere l’intelligenza artificiale un privilegio esclusivo, a danno dello sviluppo inclusivo e della cooperazione multilaterale". La Cina si pone dunque in contrapposizione con quella che definisce frammentazione normativa globale. Riconoscendo i rapidi progressi nei modelli linguistici di grandi dimensioni, nei modelli multimodali e nell'intelligenza artificiale incarnata, Li non ha menzionato solo le opportunità, ma ha anche avvertito dell'esistenza di rischi. “È urgente trovare un consenso su come bilanciare sviluppo e sicurezza,” ha affermato, ponendosi implicitamente in contrapposizione all'approccio deregolamentato promosso da Donald Trump. Il discorso di Li è arrivato pochi giorni dopo che l’amministrazione Trump ha presentato un piano d’azione da 28 pagine volto a consolidare il primato statunitense nel settore, promuovendo l’eliminazione di vincoli regolatori. In contrasto, la Cina rilancia con la proposta di una nuova organizzazione globale per la cooperazione sull’IA, con quartier generale a Shanghai. Obiettivo ufficiale: promuovere sviluppo, inclusività e rispetto delle sovranità digitali nazionali.
La Cina ha ambizioni enormi nel settore, valutato circa 84 miliardi di dollari e con oltre 5 mila aziende attive. Questo boom è alimentato da massicci investimenti pubblici e privati: nel decennio tra il 2013 e il 2023, 209 miliardi di dollari sono stati investiti da fondi statali in aziende legate all’intelligenza artificiale. Sebbene gli Stati Uniti restino in vantaggio — con 109 miliardi di dollari investiti solo nel 2024 — Pechino sta recuperando terreno in altri modi. Per esempio sui brevetti, oppure sulle applicazioni pratiche.
Rispetto all'occidente, in Cina l'utilizzo dell'intelligenza artificiale è anche e soprattutto pratico e industriale. Un esempio è quello di Baidu, che ha già annunciato partnership per il suo Ernie con produttori di elettrodomestici e automobili. Applicazioni di intelligenza artificiale e robot sono già impiegate in diversi comparti industriali ma anche e per certi versi soprattutto nel settore sanitario.
C'è poi l'aspetto di governance sociale. Basti pensare allo sviluppo delle smart city, su cui la Cina è forse il paese più convinto al mondo. Xiong'an, ribattezzata "città del futuro", è il fiore all'occhiello del progetto di ammodernamento tecnologico voluto dal governo. Ovviamente non mancano le preoccupazioni per l'utilizzo delle applicazioni di intelligenza artificiale come forma di controllo, per esempio con il riconoscimento facciale o le tecnologie di sorveglianza.
Si realizza dunque un paradosso. La governance cinese dell’intelligenza artificiale è in realtà profondamente centralizzata, regolamentata e pianificata. Ma, a differenza di quanto accade con l'approccio occidentale dominato dagli attori privati e da grandi piattaforme chiuse, ha un orientamento di apertura verso l'esterno. Il messaggio che Pechino manda al mondo — e in particolare ai Paesi emergenti — è chiaro: “non vogliamo solo dominare il settore, vogliamo condividerlo”. C'è anche un fattore strutturale che rende la proposta cinese così attraente: la Cina sta effettivamente offrendo tecnologia funzionante, a basso costo e accessibile. Modelli open-source come DeepSeek-R1 o Kimi K2, sviluppati a una frazione del costo dei concorrenti occidentali, sono rilasciati pubblicamente o attraverso collaborazioni istituzionali. Non si tratta solo di retorica, ma di strumenti reali, spesso accompagnati da piattaforme, dataset e persino infrastrutture hardware.
In molti contesti del cosiddetto Sud Globale, dove il capitale privato è scarso e le risorse tecnologiche sono limitate, avere accesso a modelli performanti senza dover sottostare a licenze onerose o infrastrutture proprietarie può rappresentare un’accelerazione decisiva. A questo si aggiunge una sintonia culturale e ideologica con molti governi che, come Pechino, vedono nella sovranità digitale un valore imprescindibile. L’idea che ogni Paese debba poter regolare e adattare la tecnologia al proprio sistema politico, giuridico e culturale — senza imposizioni esterne — è una visione che si scontra apertamente con il modello di valori occidentale di regolazione “universale”, e che per molti Paesi rappresenta una forma di rispetto e riconoscimento.
La Repubblica