minacce europee

La settimana scorsa abbiamo detto che il postino suona sempre due volte. E in effetti, la mail di Donald Trump è tornata a Bruxelles: se non si raggiunge un accordo, i dazi aumenteranno dal 10% al 30% il 1° agosto, senza contare il 25% sui veicoli a motore e il 50% su acciaio e alluminio, né quelli che potrebbero essere imposti sui prodotti farmaceutici europei.
È vero che si tratta di un negoziato che l'Europa sta cercando di esaurire. Ciò significa che la ritorsione dell'UE contro i dazi di aprile (21 miliardi di euro su prodotti avicoli, motociclette e tessili), che avrebbero dovuto entrare in vigore il 15 luglio, è rinviata al 6 agosto. A questo elenco si dovrebbe aggiungere un nuovo dazio, per altri 72 miliardi di euro (che include aviazione, alcolici e prodotti alimentari), che richiede ancora l'accordo dei vari Paesi.
L’UE si trova ad affrontare un doppio problema: il consenso e la portata delle misureMa una minaccia credibile da parte dell'UE si trova ad affrontare un doppio problema. In primo luogo, raggiungere il consenso necessario. Per quanto riguarda i dazi, il primo pacchetto, ancora inutilizzato, ha già provocato reazioni rabbiose da parte di Irlanda, Italia e altri Paesi, costringendone alla riduzione; e per quanto riguarda il secondo pacchetto, non è ancora chiaro chi sostenga cosa, sebbene inizino a emergere critiche, ad esempio da parte di Matteo Salvini della Lega, riguardo a negoziati che appaiono eccessivamente sbilanciati a favore degli interessi industriali tedeschi. Il Cancelliere Merz si aspetta un accordo ragionevole poiché, a suo avviso, un accordo del 30% sarebbe un disastro per l'industria tedesca. E conoscete il detto che circola a Bruxelles: la politica commerciale comune è il marchio della Germania; quella della Germania è determinata dalla sua industria; quella della Germania è determinata dagli interessi dell'industria automobilistica, e questi sono definiti da un noto marchio automobilistico tedesco. In ogni caso, se la risposta europea si applica a quasi 100 miliardi di euro, tale cifra è ben al di sotto dei 380 miliardi di euro di esportazioni UE tassate dagli Stati Uniti.

Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump
A. Leyden/Zuma Press Wire/ DPA / EPIn secondo luogo, alcuni ambienti dell'UE sollevano preoccupazioni circa la possibile attivazione del cosiddetto strumento anticoercitivo, approvato nel 2018 ma mai entrato in vigore, che la Francia ora afferma di voler utilizzare, nonostante l'opposizione della Germania. La sua attuazione penalizzerebbe le esportazioni americane di servizi, imporrebbe tasse ai suoi giganti tecnologici e limiterebbe gli investimenti nelle aziende americane o il loro accesso al mercato interno (impedendo loro di partecipare alle gare d'appalto pubbliche). Ma, come dice il proverbio, se non si intende andare in guerra, non si deve minacciarla. E non crediamo di far tremare troppo gli Stati Uniti, perché i segnali che abbiamo inviato sono opposti: accettare le richieste di Donald Trump alla NATO, escludere le tasse alle aziende tecnologiche, sospendere il fascicolo sulla Piattaforma X e discutere chi paga e cosa degli aiuti americani a Kiev. Un cattivo affare per l'UE: ecco cosa significa affrontare un Paese reale da una teorica unione di Stati.
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