La storia non si ripete, ma bisogna ricordarla

Contrariamente a quanto sostenevano gli storici positivisti nel XIX secolo, e in seguito sostenuto dai loro imitatori, la storia – intesa qui come una forma di conoscenza del passato, mantenendo la Storia con la lettera maiuscola per alludere alla successione del tempo – non è mai del tutto oggettiva. Dipende sempre, in larga misura, da chi lo scrive, dal momento in cui viene scritto, dalle condizioni in cui ciò avviene, dalla prospettiva scelta in ogni approccio, dalle molteplici fonti documentarie utilizzate, dalla prospettiva tematica perseguita e anche dal modo in cui viene o meno sottoposto al confronto delle prove e al vaglio della critica, anch'essi costantemente rinnovati. Dipende anche dai suoi diversi utilizzi, dalla possibilità di manipolare ed essere manipolati o, cosa ben diversa, di essere un fattore di comprensione del mondo e di emancipazione. Ciò non significa che la storia sia semplicemente speculativa o un'esperienza di fantasia, come un romanzo o una poesia, poiché si basa su fatti e idee datati e verificabili. In queste condizioni, pur non essendo una “scienza certa”, essa è costruita su una metodologia scientifica, e per questo la riconosciamo come conoscenza, non come mera fantasia. Ora, è proprio questo che ci permette di affermare che oggi viviamo in una realtà con molti punti di contatto con quella che i nostri antenati conoscevano circa cento anni fa. Fu questo periodo, situato tra le due guerre mondiali, che Hannah Arendt definì "i tempi bui". Quando le democrazie videro espandersi le più grandi tirannie, quando i tamburi di guerra si imposero sulle aspirazioni di pace, quando l'ignoranza e il culto dell'odio fecero arretrare la cultura e la libertà, marchiando il mondo con il fuoco e la spada. Contrariamente a quanto sostiene il senso comune, la storia non si ripete, sebbene attraversi cicli che richiamano altri cicli. Ecco perché ci troviamo di fronte, in questo momento, a così tanti segnali che ricordano l'epoca dell'affermarsi del fascismo e degli esperimenti totalitari. Ci sono molti segnali di questo tipo: il ritorno dell'autoritarismo e del nazionalismo (talvolta sotto forma di populismo), l'affermarsi di una cultura di intolleranza e risentimento (ampiamente alimentata dai social media), la diffusione di menzogne e la manipolazione della storia (legate all'erosione dell'istruzione e ai media sensazionalistici), la banalizzazione della guerra come soluzione ai problemi politici (soprattutto con la Palestina e l'Ucraina), la nuova espansione del razzismo e della xenofobia (associata alla ricomparsa dell'estrema destra), la regressione dei diritti umani essenziali (dopo decenni della loro graduale affermazione), il degrado del concetto stesso di libertà (legato alla prevalenza del successo economico e a una nuova standardizzazione degli atteggiamenti) o il disprezzo per la cultura critica (spesso considerata inutile).
Osservando attentamente, e tenendo conto delle ovvie specificità legate a ciascun momento, vedremo come molti di questi segni contemporanei fossero presenti nell'epoca dell'affermazione delle esperienze totalitarie e dei fascismi vissuti nei primi decenni del XX secolo, con la contestazione di questa tendenza che guidò i vasti movimenti di emancipazione emersi dopo la seconda guerra mondiale. Ciò che accade oggi è, oltre al ritorno delle forze che difendono la tirannia, una cancellazione della memoria – la cultura inebriante dell’euforia, nota Pascal Bruckner, la considera un fattore di “tristezza” – che ci ha fatto dimenticare le enormi sofferenze e le ardue battaglie che quell’epoca ha imposto. Parte di questa dimenticanza deriva anche dalla negligenza delle democrazie di fronte ai segnali negativi che si profilano all'orizzonte. Ma per la loro sopravvivenza è fondamentale una memoria attiva e costante della storia.
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