La forza della reazione

Una comunità può essere giustamente definita "civilizzata" quando i suoi valori morali sono così profondamente radicati nei suoi membri che i comportamenti non solo corrispondono a tali valori, ma ne derivano anche in modo naturale. Pertanto, l'idea di modificare i comportamenti sociali attraverso lo Stato, una novità che la sinistra ha introdotto sul piano politico in nome di presunti principi di civiltà superiori, rivela solo la necessità, reale o presunta, di imporre comportamenti che non sono naturalmente e spontaneamente instillati nella mente dei cittadini – se lo fossero, non ci sarebbe bisogno di imporli attraverso la regolamentazione e l'indottrinamento statale.
Pertanto, quanto più lo Stato avverte il bisogno di regolamentare, controllare e regolamentare la società, accadrà una delle due cose: o questo bisogno è reale e attesta una mancanza di valori condivisi al centro di una comunità, oppure, in alternativa, rappresenta un divorzio tra la naturalezza del comportamento sociale e l'artificialità delle leggi che si intendono imporre per limitare questi stessi comportamenti. Ora, ciò che uno Stato socialmente regolatore non potrà mai affermare per definizione, contrariamente a quanto la sinistra contemporanea cerca sempre di farci credere con ogni proposta di nuova conquista morale, o con qualsiasi regolamentazione spacciata per essenziale, è che la nuova legge rappresenti l'apice del "progresso" della civiltà. Al contrario, non potrà mai: la presunta necessità di educare, plasmare e influenzare il comportamento può solo attestare il desiderio di imporre una moralità che, per qualsiasi motivo, differisce necessariamente dalla realtà sociale. In effetti, l'idea che "civismo", "cittadinanza" e valori sociali dipendano, al massimo, dallo Stato riflette un caso di bancarotta morale: sia quella dello Stato, che cerca di regolamentare contro la moralità della società, sia quella della società, che, in assenza di una propria moralità che giustifichi la propria organizzazione, necessita di una regolamentazione imposta dalla forza e dall'autorità dello Stato. In Occidente, negli ultimi decenni, entrambi i cambiamenti sembrano veri.
Ciononostante, questa breve nota attesta l'enorme paradosso della sinistra moralista contemporanea: in nome dei valori di civiltà che pretende di rappresentare, costringe costantemente la società a essere qualcosa che, per qualsiasi motivo, non è e non è mai stata. Di fatto, è proprio questa contraddizione ad essere culminata in una battaglia culturale che, nel corso degli ultimi decenni, ha progressivamente imposto, da un lato, un'agenda di valori e costumi che sono, per il motivo addotto, evidentemente estranei alle nostre abitudini culturali e di civiltà. Dall'altro, questa imposizione è riuscita ad alimentare, e ad alimentare, un processo in cui la società ha progressivamente perso responsabilità nei confronti di uno Stato che sempre più la regola e la controlla. Questo processo, come abbiamo visto, basato su una contraddizione, è il vero cambiamento fondamentale che ha interessato l'Occidente negli ultimi decenni, e sarà anche una delle cause principali dei cambiamenti politici e sociali che stiamo vivendo, ovvero la crescente polarizzazione sociale e il rifiuto dell'agenda politica e sociale del potere politico da parte di una crescente maggioranza della popolazione.
Le leggi, così come gli enti pubblici, devono riflettere i principi della società, portando a una conseguente armonia tra i valori dei singoli – generati organicamente, nella famiglia, nella comunità, e da lì vissuti naturalmente dalle persone come parte della loro identità – e le regole, i limiti, le coercizioni e le sanzioni imposte dall'ordine pubblico – che riflettono i valori pubblici, comunitari. Questa armonia tra i valori dei singoli e quelli della comunità, contrariamente alle diverse impostazioni filosofiche e teoriche immaginate da menti illuminate dall'astrazione metafisica, è ciò che rappresenta il fondamento sociale della libertà "civilizzata", perché, per quanto massimizzate possano essere le libertà individuali, esse saranno sempre necessariamente limitate per tutti, in egual misura, dalla società stessa. Ne consegue che il cittadino si considera libero quando crede che i limiti imposti alla sua libertà siano giusti e buoni, e lo crede solo quando quei limiti riflettono i valori, i principi e gli impegni culturali che sono anche suoi. È vero anche il contrario. Se non c'è armonia tra i valori che vengono imposti politicamente e quelli che vengono vissuti come identità individuale, la sensazione che i cittadini proveranno sarà di mancanza di libertà, nella misura in cui vengono imposti limiti alle loro libertà individuali, nonché doveri di azione personale, per ragioni che sfuggono al loro controllo, con le quali non sono d'accordo o addirittura disprezzano o rinnegano.
La necessità di questa armonia culturale di valori è stata, in verità, ampiamente dimenticata in Occidente. In primo luogo, non è stata notata perché era così naturale, un fatto acquisito, organico, empiricamente evidente, poiché sia il sistema giuridico che quello sociale derivavano dallo stesso ordine morale: quello cristiano. In secondo luogo, si credeva, come molti credono ancora, che la ragione, la scienza e la tecnologia avrebbero risposto a qualsiasi sfida culturale posta alle società. Burke fu forse il primo a mettere in guardia da questa necessità di armonia tra i valori tradizionali dei popoli e quelli che guidano l'azione politica, perché, dopo la Rivoluzione del 1789, quando il concetto di sovranità fu ribaltato e basato dal basso, sul popolo, così come quando furono attuati la separazione dei poteri e l'approfondimento della secolarizzazione, si aprì la gamma di possibilità per quella che oggi chiameremmo ingegneria sociale. Burke predisse giustamente che dove i valori morali tradizionali della società continuavano a essere difesi, lì le persone avrebbero vissuto in libertà. Laddove, al contrario, i valori morali tradizionali venivano, normalmente in nome di grandi assetti teorici e razionali, sostituiti da nuove regole, anche se dedotte “scientificamente” dall’astrazione “speculativa” e “metafisica”, allora la disarmonia generata tra la natura morale dei cittadini e l’artificialità delle regole che venivano imposte generava le più grandi iniquità — cosa che è stata dimostrata storicamente, fin dal tempo del Terrore della Rivoluzione francese, ma poi ripetuta in un ciclo costante, ad ogni rivoluzione dove si è tentato di sostituire la morale tradizionale con una morale “nuova”, “migliore”, “superiore”, dove cioè si regolava, si regolamentava e si cercava di creare una nuova morale sociale e, perché con la forza, chiunque si rifiutasse di aderirvi veniva giudicato, condannato, ucciso e mutilato, invariabilmente sempre in nome della libertà.
Non è quindi controverso dedurre che maggiore è la disarmonia tra i valori tradizionali e quelli nuovi che vengono imposti, maggiore è la violenza di tale imposizione e minore è l'effettiva libertà dei cittadini. Allo stesso modo, la polarizzazione che stiamo vivendo e il crescente rifiuto dell'ordine politico possono essere perfettamente spiegati dalle stesse ragioni. La prima è il crescente divario tra l'esperienza, non solo morale, ma anche sociale e politica, di gran parte della popolazione – la vecchia normalità, il buon senso, il tradizionale – e una nuova articolazione degli obblighi politici, sociali e in alcuni casi anche morali, che è stata progressivamente, esponenzialmente, imposta negli ultimi anni dalla forza del potere politico, nel frattempo opportunamente alleata con il potere dei media. In altre parole, man mano che ciò che veniva imposto con la forza della legge alla società diventava più aggressivo, perché in disaccordo con le sue basi morali e culturali tradizionali, il disaccordo tra il partito politico che cercava di imporre nuovi valori, o la "nuova normalità", e la controparte sociale a cui i nuovi valori venivano imposti aumentava. Allo stesso modo, il potere politico divenne più autoritario e la libertà sociale fu progressivamente attaccata. L'unica novità, tuttavia, fu la velocità. Mentre nel 1789 la rivoluzione culminò con la ghigliottina come metodo "moderno", "umanista", "indolore", "efficiente" e quindi "scientifico" per risolvere il conflitto morale, alla fine del XX secolo, dopo successivi fallimenti, la rivoluzione giacobina affinò la sua strategia per cercare di bollire la rana che le era sempre sfuggita, questa volta iniziando a bollirla con acqua fredda – nelle accademie, nelle redazioni, nelle organizzazioni non governative di lobbying, nelle istituzioni di sostegno sociale, nei dipartimenti governativi.
In verità, la sovversione morale della società, e di conseguenza l'attacco alla sua libertà, è in atto da tempo. Già nel 1978, ad Harvard, Solženicyn metteva in guardia dal pericoloso monoteismo che si stava formando tra il mondo accademico, le strutture politiche e i media, un processo di natura castrante, unanime, proto-autoritaria, che stava pervertendo socialmente e politicamente l'ideale di libertà occidentale. Se Burke aveva precedentemente indicato la libertà come sostituto dell'armonia tra la tradizione morale di una società e la sua regolamentazione, Solženicyn spiegò lì come il vuoto morale di una società porti alla sua scomparsa, delegandone la responsabilità – e con essa la libertà – a un legalismo amorale e burocratico, progressivamente più autoritario, che regola una società che, disorientata nel suo senso morale, cede il passo all'apatia, all'immediatezza e alla codardia. Mettendo insieme questi due punti, possiamo comprendere non solo il progetto politico della sinistra negli ultimi decenni, ma, cosa più importante, le ragioni del suo successo: in primo luogo, si sono concentrati, attraverso l'abitudine e la dottrina, sul tentativo di sostituire la base morale della società affinché accettasse la soluzione politica che la sinistra ha sempre avuto da offrire: collettivismo, centralismo, autoritarismo – dove il potere della forza aveva precedentemente fallito, ora avrebbe avuto effetto il potere della persuasione e della propaganda. In secondo luogo, il crescente materialismo sociale prevalente in Occidente ha creato un vuoto morale all'interno della società stessa che ha spalancato le porte a un progetto politico, ora anche culturale e morale, che essenzialmente si concentra sul fatto che uno Stato plasmi, controlli e manipoli l'intera società.
Nel frattempo, la rana fermentava. La domanda ora, naturalmente, può essere riassunta in una sola: cosa sarà più forte, il canto delle sirene del materialismo, della sicurezza, dell'iperprotezione, del positivismo, del legalismo incarnato in uno stato culturalmente e mentalmente colonizzato dalla sinistra; o la reminiscenza morale della tradizione occidentale fondata sulla fede incrollabile nella libertà individuale degli esseri umani? La recente polarizzazione, così come la sua crescente violenza, rivela chiaramente il fatto che il conflitto è eminentemente morale, e quindi assoluto e incapace di compromessi. Il progressivo rifiuto del compromesso politico istituzionale, inclusa la narrazione mediatica "mainstream", a cui abbiamo assistito negli ultimi anni, rivela che la società occidentale intende resistere e reagire a questo attacco subito negli ultimi decenni. Oggi, poiché viviamo ancora in una democrazia, questa resistenza si incarna nell'ascesa fulminea dei partiti di protesta che, in fin dei conti, sognano solo un ritorno all'ordine morale che esisteva prima del processo di imposizione di un nuovo mondo portato avanti dalla sinistra, in collusione con la destra, da loro culturalmente colonizzata. Non sorprende, quindi, che sia proprio il ritorno a quel passato a dettare i loro slogan principali — no all'immigrazione, no all'erosione dell'identità culturale, no all'internazionalizzazione politica, no al revisionismo storico, no al centralismo economico di Bruxelles, ecc., ecc. — rivelandosi, in sostanza, un movimento transnazionale di natura conservatrice che cerca di ripristinare l'ordine precedente, un ordine di valori e principi che la maggioranza della società considera ancora normali, naturali e propri, e così, alleato a questo movimento politico, si leva anche il corrispondente grido di libertà, cioè del diritto a vivere e morire secondo i valori che la società considera propri, e non secondo altri valori inventati artificialmente da una presunta élite intellettuale in sfida alla realtà sociale e morale della nostra civiltà.
Decenni di allineamento culturale, morale e sociale con la sinistra hanno così creato una disarmonia artificiale in tutti gli aspetti della vita delle persone, un'artificialità che costa moltissimo e che la società, ferita, intende ora scrollarsi di dosso e rifiutare: moralmente, difendendo i valori tradizionali, quelli che le sono propri e che la sinistra ha cercato di pervertire; politicamente, difendendo i diritti che l'arroganza ideologica ha cercato di usurpare a vantaggio del potere politico centrale; culturalmente, affermando le proprie identità, prima di tutto quella storica, così "riveduta", macchiata e messa in discussione; e, infine, economicamente, nei propri portafogli che, come in tutti i progetti centralizzati della storia, siano essi conseguenza di un immorale saccheggio fiscale, di una burocrazia inutile o di semplici fantasticherie ideologiche, finiscono invariabilmente per svuotarsi.
In definitiva, ciò che alimenta questo enorme cambiamento politico è quindi il desiderio ardente di recuperare la civiltà, la cultura, i valori e la libertà che un vago, seppur lento, surrettizio, ma non per questo meno rivoluzionario, tentativo si è tentato di pervertire, se non addirittura distruggere, negli ultimi decenni. Ecco, in breve, perché la reazione politica che si sta avvertendo in tutto l'Occidente è così forte: molto più di un mero movimento politico, essa rappresenta la potenza bruta di una controrivoluzione culturale e di civiltà, un movimento gravitazionale dell'intero Occidente dal punto in cui era stato artificialmente riportato al suo posto naturale.
observador