Accordo Nato sul 5% del Pil per le armi, l’Italia deve triplicare la spesa

Il mondo sta attraversando un’accelerazione del riarmo globale, alimentata da paure collettive e strategie geopolitiche che non si vedevano da decenni. Proprio ieri la Nato, riunitasi in questi giorni a l’Aja, ha siglato un’intesa che impegna i 32 membri dell’Alleanza ad alzare la spesa militare fino al 5% del Pil entro il 2035.
Un passaggio che segna uno strappo netto rispetto al 2% fissato nel 2014 e che porterà conseguenze profonde sulle economie e sulla coesione sociale europea. Proposto dagli Stati Uniti, questo piano arriva mentre il Medio Oriente è sull’orlo di un’escalation, perdura l’instabilità in Ucraina e il continente europeo è chiamato a scegliere tra deterrenza armata e un diverso modello di convivenza.
L’Italia, al pari degli altri Paesi Nato, è ora chiamata a rispondere a un impegno che cambierà prima di tutto la priorità di bilancio, i rapporti internazionali e forse anche un’identità democratica dell’Europa a cui non siamo mai stati abituati.
Pressioni da Washington per il riarmo: la posizione di TrumpA guidare la richiesta di riorganizzazione degli sforzi finanziari all’interno di questo vertice Nato è il presidente Usa Donald Trump, da tempo insofferente verso ciò che considera uno squilibrio nei contributi tra Washington e gli altri membri dell’Alleanza. Le nuove direttive prevedono che ogni alleato produca un report annuale sui risultati conseguiti, con un primo esame intermedio previsto per il 2029.
Trump ha colto l’occasione del vertice per intestarsi l’accordo. Nelle sue parole, si tratterebbe di un successo personale e di una conquista di valore per l’Occidente.
In conferenza stampa poi, ha parlato di svolta storica e ha rimarcato come, a suo dire, solo una leadership assertiva avrebbe potuto ottenere un simile risultato. Ha poi insistito sul fatto che i fondi in questione debbano essere impiegati per l’acquisto di tecnologie belliche di ultima generazione, preferibilmente statunitensi. Dunque è evidente che il riarmo dell’Europa per Trump, oltre a levargli problemi, può diventare un moltiplicatore industriale per gli interessi economici americani.
Quanto costa il riarmo all’Italia: le conseguenzeL’Italia, che ha appena centrato l’obiettivo del 2% anche grazie a un ricalcolo contabile che ha incluso voci precedentemente esterne al bilancio della Difesa, dovrebbe quasi triplicare la spesa entro il 2035. Secondo le stime, si tratterebbe di un incremento di circa 100 miliardi l’anno, per un totale di oltre 400 miliardi in più in dieci anni rispetto al mantenimento del livello attuale.
Secondo un’analisi dell’Osservatorio Milex, diffusa subito dopo la conclusione del vertice all’Aia, l’Italia parte da un livello di spesa militare nel 2025 pari a 35,3 miliardi di euro, ovvero circa l’1,57% del Pil. Ma per raggiungere il nuovo traguardo del 5%, e in particolare il 3,5% destinato alla difesa in senso stretto, sarà necessario reperire tra i 6 e i 7 miliardi di euro aggiuntivi ogni anno per un decennio.
Il resto, ovvero l’1,5%, andrà a coprire interventi nel campo della sicurezza in senso lato: reti energetiche, telecomunicazioni, mobilità militare, strutture critiche e cybersicurezza. Il totale a regime supererà i 100 miliardi annui. Si tratta di una cifra superiore all’intero stanziamento per l’istruzione pubblica previsto nel 2024, pari a circa 79 miliardi.
In Italia forse aumenteranno le tasseIl piano Nato non impone una metodologia unica: ciascun Paese potrà scegliere autonomamente come articolare gli aumenti, ma nel caso italiano l’esecutivo ha escluso l’attivazione di clausole di salvaguardia. Questo significa che le spese militari continueranno a essere pienamente contabilizzate nel deficit. E visto che l’Italia è vincolata ai limiti imposti dal Patto di stabilità Ue e non potrà aumentare ulteriormente il debito, le uniche alternative praticabili saranno nuovi tagli o nuove imposte.
Secondo l’Osservatorio Milex, l’Italia dovrà mobilitare quasi mille miliardi di euro nel prossimo decennio per rispettare l’intesa sul 5%. Una cifra che impone una ridefinizione radicale del bilancio pubblico: sanità, scuola, welfare e investimenti interni diventeranno voci secondarie rispetto all’imperativo militare.
E tutto questo senza ottenere alcuna garanzia strategica, se non quella di continuare a ospitare testate e infrastrutture americane sul proprio territorio, rendendosi di fatto bersaglio prioritario in ogni ipotesi di confronto ad alta intensità. Una decisione che rafforza le filiere produttive dell’industria bellica occidentale, mentre riduce drasticamente lo spazio di manovra dell’Italia nel decidere come e dove allocare le proprie risorse pubbliche.
Controversie nazionali: cosa fa la SpagnaLa soglia del 2%, stabilita oltre un decennio fa, non è stata raggiunta da tutti i membri. Alla fine del 2024, solo 22 su 32 avevano soddisfatto quella condizione. Da qui i malumori di Trump. Alcuni governi stanno definendo percorsi autonomi: la Spagna, per esempio, ha annunciato l’intenzione di fermarsi al 2,1%. Madrid ha firmato l’accordo come gli altri, ma secondo il governo di Pedro Sanchez il testo non vincolerebbe tutti in egual misura.
Subito il presidente Usa ha brandito l’arma dei dazi:
“È terribile quello che fa la Spagna, si rifiuta di pagare la sua quota. Le faremo pagare il doppio sui dazi”.
Tra gli oppositori figurano anche esponenti della sinistra, francese, olandese e tedesca. Nomi come Yolanda Díaz, Jeremy Corbyn, Zoe Konstantoupolou e Manon Aubry hanno preso posizione contro il piano, sostenendo un modello europeo fondato su benessere sociale, giustizia ambientale e servizi pubblici.
Il costo sociale della corsa al riarmoL’accordo sul 5% arriva in una fase di moltiplicazione dei fronti: la tregua tra Israele e Iran è appesa a un filo, l’Ucraina resiste all’invasione russa e Pechino intensifica le pressioni su Taiwan. L’aumento delle spese militari appare così come una scelta politica.
Lo sguardo però va subito anche al fattuale, oltre che alla mera urgenza internazionaele. In Italia ogni famiglia potrebbe contribuire con oltre 2.600 euro all’anno, con più tasse e meno servizi. L’Italia ha poco margine: o alza le imposte, o riduce il welfare, oppure gonfia un debito già oltre il 137% del Pil.
Diversi governi europei hanno già modificato le proprie strategie di bilancio: Londra ha tagliato la cooperazione, Berlino ha scavalcato il vincolo sul deficit, Parigi pesca nei risparmi privati.
Meloni difende il riarmo come necessità storica. Schlein al contrario chiede di non farsi trascinare in guerre. Da dieci anni il mondo spende sempre di più in armi, e il 55% del totale è in mano alla Nato. Israele ha aumentato il budget militare del 65%, l’Iran lo ha tagliato. Secondo diversi analisti, la deterrenza non funziona più. Mauro Ceruti e Francesco Bellusci parlano di politica fossilizzata in schemi tribali. Una logica alimenta un paradosso antico: aumentare gli arsenali per sentirsi più sicuri, finendo per alimentare l’instabilità serve davvero? La rincorsa bellica somiglia sempre di più a una profezia che si autoavvera.
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