Taglio delle pensioni incostituzionale, Governo nei guai

Sono due i grattacapi del Governo in materia previdenziale: da una parte si vuole puntare alla riforma delle pensioni integrative.
Dall’altra parte la spada di Damocle, che potrebbe tradursi in mancati incassi per 10 miliardi in 3 anni, riguarda il taglio della rivalutazione automatica delle pensioni più alte all’inflazione.
Ricorso contro il taglio alla rivalutazione delle pensioniA sollevare la questione è il Tribunale di Trento, che con un’ordinanza datata 30 giugno ha rinviato alla Corte Costituzionale la valutazione sulla legittimità del sistema di perequazione introdotto con le leggi di bilancio del 2023 e del 2024.
Il nodo della questione riguarda il passaggio da un meccanismo di rivalutazione a scaglioni, che ricalca il modello dell’Irpef, a un sistema “a blocchi”, in cui l’aliquota di rivalutazione ridotta viene applicata all’intero importo della pensione, e non solo alle singole fasce.
Tutto è nato dal ricorso presentato da un pensionato che contesta la legittimità di questo nuovo metodo di indicizzazione voluto dal Governo Meloni e che viene considerato iniquo e contrario al principio di proporzionalità contributiva.
“Il giudizio in corso non può essere definito indipendentemente dalla soluzione della suddetta questione di legittimità costituzionale”, si legge nell’ordinanza del tribunale. In pratica, i giudici di primo grado non possono decidere se prima non viene stabilito se la norma del Governo è costituzionale o incostituzionale. In particolare, vengono messi in discussione l’articolo 1, comma 309 della legge 197/2022 e l’articolo 1, comma 135 della legge 213/2023, che stabiliscono il ricorso al sistema a “blocchi” in via derogatoria.
La perequazione automatica è uno strumento che ha lo scopo di tutelare il potere d’acquisto dei pensionati in presenza di inflazione. Il meccanismo ordinario a scaglioni prevede un adeguamento proporzionale delle diverse fasce di reddito pensionistico, ma con le modifiche introdotte dal Governo, la rivalutazione è divenuta meno progressiva e più penalizzante per le pensioni medio-alte, cioè quelle superiori a quattro volte il minimo, ovvero circa 1.650 euro netti mensili. La ratio era quella di colpire le pensioni d’oro, ma nel frattempo sono state prese di mira anche le pensioni del ceto medio.
Le critiche dei sindacatiI sindacati, in particolare la Cgil, hanno accolto con favore il rinvio alla Consulta. In una nota congiunta dichiarano:
Accogliamo con grande soddisfazione l’ordinanza del Tribunale di Trento che ha rimesso alla Corte costituzionale la valutazione sulla legittimità del meccanismo di perequazione automatica introdotto dalle leggi di bilancio 2023 e 2024. È una decisione che rappresenta un passaggio fondamentale nella nostra battaglia contro un sistema iniquo e penalizzante, che ha colpito milioni di pensionati e pensionate negli ultimi anni”.
Il danno, lamentano i sindacati, è doppio: economico, perché la perdita si consolida nel tempo, e morale, perché si rompe il patto implicito tra cittadino e Stato “secondo cui alla contribuzione deve corrispondere un trattamento proporzionato e dignitoso”.
Cosa succede adessoLa Corte sarà ora chiamata a stabilire se il sistema adottato nel biennio precedente sia compatibile con i principi costituzionali di proporzionalità, adeguatezza e ragionevolezza. In caso di giudizio negativo, ci sarebbero due effetti: il ritorno alla situazione pre-riforma e la probabile restituzione della parte decurtata dagli assegni previdenziali.
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