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Bari, motore spento tra attesa e speranze a mezza strada tra presente e futuro

Bari, motore spento tra attesa e speranze a mezza strada tra presente e futuro

BARI - Ci sarà ancora da aspettare, inutile far finta di niente. Il campionato di serie B è finito da meno di dieci giorni ma non c’è ancora traccia di confronti e valutazioni, a mezza strada tra presente e futuro. Un po’, fisiologica questa pausa di riflessione. A maggior ragione quando c’è da metabolizzare un campionato così avaro di soddisfazioni e, quindi, anche di emozioni. Diciamo anche che vien difficile immaginare che altrove siano già al lavoro. Poco da fare, funziona così. Peccato, però, che a Bari ci sia una «fame» atavica di chiarezza e comunicazione. La gente avrebbe bisogno di capire. Magari anche di porre domande. Sperando di ottenere risposte esaustive. Alla voce fatti.

Il problema è che a Bari l’aria è diventata irrespirabile. Con ogni spiffero che diventa tempesta. Ecco, bene che questo non lo dimentichi nessuno. E che, nel momento del confronto, si scelga un linguaggio ricevibile. Lontanissimo fa fumo e acrobazie dialettiche, come troppo spesso è successo in questi anni. A Bari sbagliare ancora significa «giocare col fuoco». Un fuoco, quello della passione, che sta man mano scemando in un clima surreale. C’è da fare in fretta, anche se la fretta non è mai una credibile base di partenza. La fretta di chi ha il dovere di tendere la mano a una città disullusa, tradita, quasi in ostaggio. A Napoli è tutto pronto per la seconda festa scudetto in tre anni? E chissenefrega. Complimenti ad Aurelio De Laurentiis e alla squadra, ci mancherebbe. Ma qui nessuno ci pensa a sentirsi subalterno. A nessuno interessa che, oggi, il «padrone» è impegnato su altri fronti. Bari può e deve tornare a essere un progetto centrale nella testa di chi lo gestisce. Se davvero si vuol provare a indossare l’abito della credibilità.

Lasciamo, per un attimo, da parte i tempi. E cerchiamo di entrare nel merito della questione Bari. Il primo tema all’ordine del giorno si chiama direttore sportivo. Un ruolo chiave, a trecentosessanta gradi. Giuseppe Magalini ha un contratto fino al 2026. Sembra pronto a ripartire ma a Cittadella è stato chiarissimo: «Tutto voglio tranne che essere un problema per il Bari». Tradotto, resto solo se c’è completa convergenza sulla mia persona. Sacrosanto. Quali sensazioni? Difficile ipotizzare un azzeramento dell’area tecnica. Ad appena un anno dall’avvio di un nuovo percorso. Magalini non ha fatto miracoli ma nemmeno disastri. Scelte azzeccate, altre molto meno. Nel complesso, una sua conferma non sarebbe un cazzotto alla logica. Per valutare un uomo mercato serve almeno un biennio. Il nono posto? Fallimento, vero. Ma non sono quattro-cinque punti in più o in meno a fare la differenza in sede di giudizio nel merito. E poi, detto e ribadito tantissime volte, quella biancorossa era una rosa in grado di centrare l’obiettivo playoff.

Valerio Di Cesare resterebbe, così, al suo posto. Solo con Magalini accetterebbe ancora di fare il «secondo». Ambizioso com’era in campo, uno con le idee chiare e tanta «garra». Fosse per lui accetterebbe anche i gradi di titolare dell’area tecnica. La classica mossa per sparigliare in un deserto da... film dell’orrore. Prestissimo, comunque, per fare certi discorsi. Forse anche azzardato tenendo conto dello stato d’animo della piazza e della delicatezza del momento. Senza che questo suoni come la negazione delle competenze dell’ormai ex capitano.

Esiste anche la possibilità che vada via Magalini e che Di Cesare non venga preso in considerazione. Ecco, così il quadro diventerebbe ancora più «elettrico». Dopo i colloqui di un anno fa non è difficile immaginare che i De Laurentiis tornino a bussare alla porta di Guido Angelozzi, che sta per chiudere il ciclo a Frosinone nonostante altri due anni di contratto. Il dirigente catanese rappresenterebbe una soluzione ideale. Per competenze, conoscenze, esperienza, personalità. Profilo completamente diverso quello che porta a Matteo Lovisa, l’uomo che ha costruito il «miracolo» Juve Stabia. In Campania difficile far meglio. Dicono che aspetti con ansia la chiamata del Bari a cui, nonostante tutto, vien difficile dire «no».

La questione budget, almeno per ora, resta sullo sfondo. Anche se, poi, è tutto tranne che un dettaglio. Ci sarà un cambio di rotta? Quanto decideranno di investire a Bari i De Laurentiis? Voci di corridoio raccontano di un progetto con gli identici investimenti. Al limite, addirittura più contenuti. Ma non un reale cambio di rotta come la tifoseria auspica da tempo. Per costruire un grande Bari non bastano le idee, che restano una risorsa importante. Bisogna decidere di voler puntare a vincere. E di giocare il campionato dell’ambizione. Non di sbandierare un obiettivo, i playoff, che poi, alla resa dei conti, dice tutto e nulla. Pensate che arrivare ottavi possa, davvero, essere un risultato in grado di ricambiare la passione dei baresi?

Le strategie, infine. Quelle tecniche, per intendersi. All’orizzonte un’altra rivoluzione. Basta dare un’occhiata al numero e allo spessore dei calciatori di proprietà per farsi un’idea precisa di cosa c’è da fare. Pare, però, che il restyling possa essere ancora più robusto. Considerando una serie di calciatori non più centrali. Quelli della vecchia guardia, anche. Il vecchio zoccolo duro. Ciclo finito, questa sarebbe la nuova via. Coraggiosa, certo. Ma comprensibile, per mille e un motivo.

Altro indizio, sempre stando ai si dice. Basta con l’ingaggio di calciatori over 30 e con ingaggi pesanti. Mirino sui giovani di qualità e sulle eccellenze della serie C. Da affiancare, evidentemente, a pilastri nel vero senso della parola. Siamo a Bari e qui non possono esistere stagioni di transizione. Investire e patrimonializzare, non male come strategia. Ma guai a dimenticare il dovere della competitività. A Bari si gioca per vincere. Sempre e comunque. Altro che salvezza o playoff!

La Gazzetta del Mezzogiorno

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