Bari non è più un’isola felice: il dopo Longo un tormentone

BARI - L’impressione è che Bari non abbia più nemmeno le energie per alzare la voce. Anche i silenzi del club cadono in un vuoto chiamato indifferenza. A quasi un mese dall’ultima partita ufficiale non si hanno notize alla voce allenatore. Si sa, con ragionevole certezza, che il rapporto con Longo verrà interrotto nonostante un contratto in scadenza tra un anno, a cifre anche abbastanza importanti. E si sa anche che finora non ci sono stati contatti con il tecnico piemontese a cui non è stata comunicata la volontà di divorzio. Qualcuno non se la sente di escludere una retromarcia che avrebbe del clamoroso, sì. Andrebbe in scena in caso di conclamata difficoltà nell’individuare una figura giusta alla quale affidare un percorso di ripartenza. Difficile, molto difficile comunque. Vorrebbe dire cominciare la stagione col piede sbagliato, in tutti i sensi. Un autogol, o giù di lì.
C’era la stagione in cui quando un dirigente del Bari alzava il telefono... dall’altra parte era pressoché impossibile dire «no». Oggi va diversamente. Oggi gli allenatori prendono tempo. Idem, i calciatori. Aspettano chiamate migliori, come se Bari fosse ridotta al rango di provinciale di lusso. Sembra un’assurdità ma, a ben guardare, esiste un filo di logica. Piazza importante, sì. Pubblico da serie A, vero. E poi? Ormai è notizia conclamata, qui non si gioca per vincere. Meglio, ci si presenta al via... sperando ci scappi un piccolo miracolo sportivo, come quello che due anni fa stava per mandare un’intera città in Paradiso. D’altronde, nessuno si nasconde d’estate. Massima chiarezza: «Obiettivo playoff». Che, poi, cosa vuol dire questo maledetto obiettivo playoff? Arrivare ottavi significa che ti sei salvato e che, rispetto alle altre, puoi gettare un po’ di fumo negli occhi ai tifosi.
Alcune volte, ai tifosi, va addirittura peggio. Succede quando capita di ascoltare, Longo l’ultimo della serie, che «bisogna pensare soprattutto alla salvezza». Che, poi, fa il paio con l’esternazione di Luigi De Laurentiis («La serie B è un vanto») che ancora oggi mette i brividi al solo pensiero. In un contesto del genere volete che ci sia la coda per vestire la maglia biancorossa? No, le cose stanno diversamente. E il futuro non promette nulla di diverso. Con una tifoseria che ha, praticamente, alzato bandiera bianca. Bandiera bianca di fronte alla mancanza di investimenti e, quindi, ambizione. Bandiera bianca di fronte a una proprietà, la Filmauro, che viaggia a due velocità. La grandeur, a Napoli. Mentre qui a Bari si vivacchia, una barca senza meta che naviga in un mare, ormai, in tempesta. Qui non c’è spazio per l’ambizione. Almeno fino a quando si sceglierà di non giocare per vincere.
Massimo Cellino ha deciso di non rispettare le scadenze federali, di non versare tre milioni di euro tra stipendi e contributi, e di spingere il Brescia calcio verso il fallimento. Solo martedì lo stesso imprenditore sardo aveva dato mandato ai suoi legali di depositare il ricorso in appello contro la sentenza del tribunale federale che il 29 maggio aveva condannato il club a otto punti di penalizzazione, di cui quattro da scontare in questa stagione, facendo retrocedere in Serie C le rondinelle. Inoltre ieri Cellino aveva pagato gli stipendi di 13 dipendenti trovando anche l’accordo con l’Agenzia delle Entrate per rateizzare il debito accumulato dopo il caso dei crediti di imposta comprati per saldare le scadenze di febbraio e aprile e risultati inesistenti. E invece Cellino ha scelto di abbandonare il club al proprio destino. Che ora appare segnato. Con i libri contabili che potrebbero essere già portati settimana prossima in tribunale.
La Gazzetta del Mezzogiorno