Tour de France 2025 | Simon Yates ha vinto la 10a tappa, Ben Healy in maglia gialla


Simon Yates al comando della decima tappa del Tour de France 2025 (foto Ap, via LaPresse)
Il racconto del Tour de France 2025
Il Tour de France incontra le prime salite e ne esce diverso. L'irlandese è il nuovo leader della generale. La Visma attacca Tadej Pogacar. Lo sloveno sull'ultima salita stacca tutti eccetto Jonas Vingegaard
Visto dall’alto il dipartimento del Puy-de-Dôme è un gioco di chiaroscuri, un inseguirsi di colori. I gialli e verdi pastello dei pascoli cotti dal sole si alternano alle tonalità scure dei boschi e dei laghi, macchiati qua e là dai grigi delle rocce e dei calanchi. Un territorio complesso tanto quanto i sapori che offre al palato il Saint-Nectaire, formaggio che riesce a trasformarsi in bocca innumerevoli volte, che è capace di creare aspettative, farle cadere, prima di rivoltarle e stupire il palato per poi assestarsi dando un senso di soddisfazione piacevole, del tutto diversa però da quella che si era immaginata.
Qualcosa di simile alla decima tappa del Tour de France 2025, che ha portato i corridori da Ennezat al Puy de Sancy, circa quattro chilometri a sud di Le Mont-Dore, lì dove il Saint-Nectaire è stato creato.
Dopo aver vissuto giorni complessi, ma tutto sommato lineari, fatti di pianura e collinette, su percorsi con luoghi designati allo scatto dei migliori, o quanto meno di chi aveva intenzione di sfruttare l’occasione per togliersi qualche soddisfazione, il Massiccio Centrale offriva i primi dubbi. Certo c’era la sicurezza che qualcuno sarebbe evaso dal gruppo per farsi inseguire, ma cosa sarebbe successo era difficile da immaginare.
Anche perché risuonavano in testa le dichiarazioni di troppi e le sicumere di tanti. Soprattutto il fare guerrigliero di una Visma | Lease a bike capace nella prima settimana di mantener fede alla promessa data di rendere la vita difficile a Tadej Pogacar.
E sono stati giorni non semplici per la maglia gialla. Un po’ perché ancora non è riuscito a togliersi di ruota Jonas Vingegaard, ma non si cruccia certo di questo il campione del mondo visto che di salite non ne ha trovate. Soprattutto perché Tadej Pogacar ha dovuto salutare João Almeida (ritiratosi ieri per troppi dolori) e ha capito che dovrà fare i conti con i problemi fisici di Pavel Sivakov. E perdere il proprio miglior gregario e l’uomo che doveva fare gran parte del lavoro sporco in salita è qualcosa di estremamente spiacevole soprattutto in una tappa che era un continuo salire e scendere, piena zeppa di trappoloni nei quali cadere.
La squadra di Jonas Vingegaard però ha deciso di non forzare la mano troppo presto, di non sconvolgere troppo il tradizionale copione delle tappe che si muovono nel Massiccio Centrale.
E così, visto che Puy de Sancy è luogo di acque frizzante e bizzarre ed imprevedibili piccole esplosioni di gas, ecco che la fuga si è formata presto e altrettanto presto ha iniziato a scoppiettare. Perché in un percorso con troppe salite, troppi corridori assieme non ci possono stare. Erano ventinove all’inizio, si sono separati e sparpagliati in decine e decine di gruppetti lungo la strada.
Servivano, d’altra parte, gambe buone e motivazioni ferree per rimanere davanti.
Tipo quelle e quella di Ben Healy. L'irlandese era partito con l’obbiettivo di una nuova vittoria di tappa, si è ritrovato cammin facendo a fare i conti con la possibilità di indossare la maglia gialla. E così si è messo davanti a tirare, senza più pensare a superare per primo la linea d’arrivo.
Tipo quelle e quella di Simon Yates. Il britannico si era avventurato in fuga con la speranza di una giornata di assoluta libertà, ma con chiaro in mente che sarebbe potuto andare diversamente. E che tutto questo non sarebbe dipeso solo dalle sue gambe. Ha aspettato a lungo un segnale dai suoi compagni.
Quel segnale è arrivato troppo tardi. Solo a ventisei chilometri dall’arrivo Tiesj Benoot ha provato a imporre un ritmo elevato. Era il segnale. Seep Kuss e Matteo Jorgenson hanno provato a dar fastidio alla maglia gialla, Tadej Pogacar però non si è fatto infastidire.
Quando ha ritenuto che i Visma stessero esagerando è stato lui stesso a scattare. Jonas Vingegaard gli si è piazzato a ruota, si è mosso nella sua ombra, facendo la parte della zecca che si attacca e non c’è verso di toglierla. A volte fa più danni una ruota non mollata che uno scatto.
Ben Healy ha guardato tutto questo sul grande schermo dopo la linea d’arrivo. L’aveva superata da qualche minuto dopo aver visto la schiena di Simon Yates oltrepassare per primo il traguardo. Ha contato i secondi sperando che nessuno di quei due, dei soliti due, accelerasse. Non lo hanno fatto. Ha sorriso al pensiero di vestire la maglia gialla. Sul palco delle premiazioni con la maglia gialla addosso quel sorriso è esploso alla maniera di certe risacche di gas sui pendii del Puy de Sancy.

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