Il Danubio non fa paura: atleti con e senza disabilità sfidano 300 chilometri di fiume per mostrare che l’inclusione non è una favola

Mentre l'Italia discute ancora di barriere architettoniche e diritti negati, c'è chi ha deciso di buttarsi a capofitto nel Danubio per dimostrare che l'inclusione non è una parola vuota. Dal 24 al 29 luglio, un gruppo di atleti del Circolo Canottieri 3 Ponti di Roma affronterà 300 chilometri di fiume da Vienna a Budapest, in quella che è ormai la settima edizione di un'impresa che ha dell'incredibile.
La vera notizia? Quattro atleti con disabilità – Daniela De Blasis, Marco Carapacchio, Nathalie Podda e Ramona Gelber – remeranno fianco a fianco con i normodotati, negli stessi equipaggi, affrontando le stesse correnti e gli stessi pericoli. Niente gare separate, niente categorie protette, niente pietismo. Solo sport puro, quello che dovrebbe essere sempre ma che troppo spesso si trasforma in charity show.
Il merito di questa rivoluzione silenziosa va alla Fondazione Baroni, che per la prima volta ha deciso di sposare il progetto ideato da Riccardo Dezi e Giulia Benigni. Non solo parole: la Fondazione ha messo sul piatto i soldi veri, permettendo agli atleti disabili e ai loro accompagnatori di partecipare completamente gratis. Una scelta che suona come uno schiaffo a tutte quelle realtà che parlano di inclusione ma poi quando si tratta di tirare fuori il portafoglio spariscono.

"La discesa del Danubio è molto più di un'impresa sportiva: è un simbolo potente di inclusione e coraggio", ha dichiarato Giuseppe Signoriello, presidente della Fondazione. Parole che potrebbero sembrare di circostanza, ma che trovano riscontro nei fatti: da 50 anni la Fondazione Baroni finanzia progetti per la disabilità, non da ieri per cavalcare l'onda mediatica.
L'impresa che attende gli atleti non è una passeggiata. Sei tappe in sei giorni, con la prima da Vienna a Bad Deutsch Altemburg di 50 chilometri, fino all'ultima da Esztergom a Budapest per 65 chilometri. In mezzo, correnti traditrici, traffico di grandi navi, meteo imprevedibile e la sfida più grande: far funzionare equipaggi misti dove la disabilità di alcuni deve diventare forza di tutti.
Quattro barche da otto, due motoscafi d'appoggio e una scommessa: dimostrare che quando si parla di sport vero, le categorie saltano. Che un atleta paralimpico può dare il ritmo a un equipaggio misto. Che l'inclusione non è un favore che si fa ai disabili, ma un arricchimento per tutti.
Il Danubio è un fiume che ha visto la storia passare sulle sue rive e che non fa sconti a nessuno. Le correnti sono traditrici, il traffico intenso, il meteo capriccioso. Ma forse è proprio questo il punto: scegliere la sfida più difficile per dimostrare che l'inclusione non è una favola per anime belle, ma una realtà concreta che si costruisce metro dopo metro, remata dopo remata.
Mentre altrove si discute ancora se le persone con disabilità debbano avere diritto al mare o ai trasporti pubblici, questi atleti si preparano a conquistare uno dei fiumi più importanti d'Europa. Non per compassione, non per beneficenza, ma per puro merito sportivo. Perché hanno dimostrato di valere, di poter stare in squadra, di poter vincere. Il 29 luglio, quando gli equipaggi arriveranno a Budapest, avremo una risposta definitiva: l'inclusione è possibile, basta volerla.
Luce