Il nuovo taxi-elicottero di Uber per Capri è il simbolo del turismo idiota: quintali di CO2 per 10 minuti di volo

Avete presente la cura con cui fate la raccolta differenziata o la gioia silenziosa che provate ogni volta che scegliete la bici invece dell’auto? Bene. Ora immaginate che tutto questo venga spazzato via dal rombo di un elicottero che sorvola i Faraglioni, per accompagnare sei turisti a Capri. Una corsa breve, rapida, esclusiva. Una trovata glamour travestita da innovazione. L’ultima idea geniale di Uber: il taxi-elicottero.
Capri, dieci chilometri quadrati, tredicimila residenti, cinquantamila turisti al giorno. Un rapporto disumano, insostenibile, quasi grottesco. Eppure c’è ancora chi pensa che il problema dell’isola sia arrivarci troppo lentamente. Non l’affollamento, non i rifiuti, non la carenza d’acqua, non la pressione sulla mobilità interna o l’impossibilità per i residenti di vivere il proprio territorio. No, il problema è il tempo. Quello che serve per raggiungere un luogo già saturo, già in ginocchio.
Così, come se nulla fosse, invece di ridurre i flussi si spalancano i cieli. Per nove giorni, tra fine luglio e agosto, i voli porteranno sei persone alla volta da Sorrento a Capri. Trenta chilometri. Dieci minuti. Settantacinque chili di CO2. Per ogni corsa. Come un’auto lanciata da Roma a Rimini, ma concentrata in dieci minuti di privilegio ad alta quota.
Non è la prima volta che la tecnologia si piega al lusso anziché al buon senso. Ma ciò che qui fa davvero rumore – oltre al rumore stesso delle pale – è l’assenza totale di visione. Invece di disegnare il futuro di Capri, continuiamo ad aggiungere peso sulle sue spalle fragili. Nessuno sembra porsi la domanda fondamentale: che cos’è davvero il turismo, oggi? E che tipo di turismo vogliamo domani?
Perché la verità è che un luogo non è un set, né un parco giochi. È un organismo vivo, con un equilibrio delicato, una comunità che lo abita, una storia che lo plasma. Continuare a trattare Capri come una tappa da “spuntare” in un carosello di stories è non solo miope, ma anche violento.
Serve un’inversione di rotta. Non un volo. Una visione. Non un gadget di lusso per pochi, ma un progetto condiviso per tutti. Si potrebbe cominciare proprio dal limite, una parola oggi malvista, ma necessaria. Limitare gli sbarchi. Limitare gli accessi giornalieri. Incentivare forme di permanenza più lunghe, più lente, più rispettose. Immaginare un sistema di prenotazione per accedere all’isola, non dissimile da quelli usati per i grandi musei o i parchi naturali.
E poi lavorare con i residenti, veri custodi del territorio, per costruire un nuovo patto tra chi vive e chi visita. Perché il turismo non dovrebbe mai diventare una forma di sfruttamento. E una vacanza, per essere davvero tale, dovrebbe fare bene anche a chi la ospita. Non ci serve un volo. Ci serve un pensiero più alto.
Luce