La legalità sospesa dei Centri per i rimpatri dei migranti: “Un sistema fuori dal diritto e dalla giustizia”

“La libertà personale è inviolabile. Non è ammessa forma alcuna di detenzione, di ispezione o perquisizione personale, né qualsiasi altra restrizione della libertà personale, se non per atto motivato dell'autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge. In casi eccezionali di necessità ed urgenza, indicati tassativamente dalla legge l'autorità di pubblica sicurezza può adottare provvedimenti provvisori, che devono essere comunicati entro quarantotto ore all'autorità giudiziaria e, se questa non li convalida nelle successive quarantotto ore, si intendono revocati e restano privi di ogni effetto. È punita ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà. La legge stabilisce i limiti massimi della carcerazione preventiva”.
Così recita l'articolo 13 della Costituzione italiana, che prevede una “riserva di legge”, ossia la necessità che la detenzione sia definita nelle sue modalità da una legge approvata dal Parlamento e non da ordinanze e regolamenti. Proprio su questo aspetto si è basata la Corte costituzionale che con la sentenza 96/2025 del 3 luglio scorso ha bocciato la disciplina vigente sul trattenimento nei Centri di permanenza per i rimpatri (Cpr), in quanto viola la riserva di legge in materia di libertà personale. Nella sentenza la Consulta ha chiesto al legislatore e quindi al Parlamento, di intervenire, integrandola. La conseguenza diretta è la mancata convalida della detenzione amministrativa di persone straniere senza permesso di soggiorno nei centri di permanenza e rimpatrio (nove in Italia). La materia è complessa, ne parliamo con Cesare Mariani, membro del direttivo dell'associazione Naga (che da sempre si batte per i diritti dei migranti) e operatore allo sportello legale dal 2016.
Che cosa sono i centri di permanenza per il rimpatrio e quando sono stati creati?
“Si tratta di strutture in cui vengono rinchiusi i migranti 'irregolari' sul territorio nazionale, che non hanno commesso alcun reato ma possono essere sottoposti a 'detenzione amministrativa' fino a 18 mesi (con rinnovo ogni tre mesi). A crearli fu nel 1998 un decreto presidenziale attuativo del testo unico immigrazione diventato legge con la 'Turco Napolitano' nel 1998.
In seguito la materia non è mai stata regolamentata con una legge primaria, ma solo con atti amministrativi delle prefetture o direttive ministeriali. Questa è la motivazione della Corte costituzionale, che non può rimediare alla mancanza ma chiede al Parlamento di provvedere a colmarla. La stessa Corte nella sentenza ha dichiarato che l'attuale disciplina amministrativa non è idonea a tutelare le libertà personali, in quanto il trattenimento nei Cpr implica un assoggettamento all'altrui potere non regolato dalla legge”.
Su cosa si è basata la sentenza?
“Sul ricorso di un giudice di pace che ha sottoposto per quattro casi la questione delle modalità della detenzione amministrativa e delle relative tutele sui diritti dei ristretti. La Corte ha ritenuto inammissibile il ricorso in quanto non competente a risolvere il problema, ma nella sostanza lo ha ritenuto fondato, rilevando il vulnus e chiamando il Parlamento a porvi rimedio quanto prima”.

Una novità positiva nella vostra battaglia contro i Cpr?
“Solo in parte, per due motivi. Il primo è che l'organo di garanzia costituzionale non ha (al momento) messo in discussione la legittimità della detenzione amministrativa, come noi chiediamo a gran voce, ma la definizione delle sue modalità che devono essere regolate per legge.
Inoltre, temiamo che il governo bypassi la questione con un decreto legge motivato da inesistente necessità e urgenza e lo faccia convertire dalla sua maggioranza in Parlamento. Poi resterebbe una serie di osservazioni su come dovrebbe essere fatta questa legge, che non può essere equivalente a quella che regola la detenzione in carcere, perché i due istituti non sono uguali, e dovrebbe prevedere tutele legali, sanitarie eccetera oggi inesistenti o molto carenti, ma non riponiamo grandi speranze in tal senso, visto il comportamento fin qui tenuto da questo governo”.
Su cosa si basa la contestazione della legittimità dei Centri di permanenza e rimpatrio sostenuta da Naga e rete “Mai più lager – No ai Cpr”?
“Sul fatto che viene limitata la libertà personale di uomini e donne che non hanno commesso alcun reato, dal momento che la mancata ottemperanza al decreto di espulsione è stata depenalizzata. Si tratta di un illecito amministrativo per il quale nel nostro ordinamento non è prevista la detenzione. Si tenga presente poi che le condizioni dei 'ristretti' sono molto peggiori di quelle dei detenuti, dove sono previste e regolamentate maggiori tutele.
Il migrante, appena sbarcato o fermato in strada per un normale controllo, se non è in regola con i documenti può essere rinchiuso in un Cpr anche lontanissimo dal luogo d'arrivo o da dove abita. Dopo 48 ore si tiene la cosiddetta 'udienza di convalida' davanti al giudice di pace, o alla Corte d'appello in caso di richiedenti asilo. Al migrante viene assegnato sul momento e per quell'unica udienza un 'avvocato d'ufficio' che non sa nulla del suo cliente, collegato online dal Cpr e in qualche caso neppure identificato con certezza.
La durata media dell'udienza è di 5 minuti, spesso non c'è neppure un interprete. Il giudice di pace quasi sempre convalida il trattenimento per tre mesi (rinnovabile con le stesse modalità fino a 6 volte), durante i quali il migrante può essere caricato su un aereo e rimpatriato nel (presunto) Paese d'origine senza neppure poter fare una telefonata”.
Come funziona la richiesta di asilo?
“Può essere presentata all'arrivo o anche in seguito. La possibilità di vedersela accolta è stata molto ridotta da recenti interventi normativi tra i quali l'adozione delle lista dei Paesi (scelti accuratamente tra quelli da cui proviene il maggior numero di persone) considerati 'sicuri' dal governo.
La persona non ha la possibilità né il tempo di raccogliere prove per dimostrare le minacce a cui sarebbe esposto nel Paese d'origine e la conseguente 'incompatibilità' con il rimpatrio, per esempio nel caso sia un omosessuale fuggito da uno Stato che li perseguita, o un oppositore politico. Il richiedente asilo dopo 60 giorni potrebbe in teoria cercare un lavoro, peccato che con le procedure accelerate previste dal Decreto approvato subito la strage di Cutro la risposta alla richiesta (quasi sempre negativa) arrivi dopo 9 giorni.
Queste procedure potenzialmente sono applicabili a quasi tutti i richiedenti asilo. Dopo la decisione negativa, a meno che un giudice non intervenga sospendendone gli effetti, la persona può essere espulsa e, in attesa dell’esecuzione, trattenuta, se non è già successo in precedenza, in un Cpr dove le persone sono lasciate con i rinnovi trimestrali (bimestrali nel caso dei richiedenti asilo) per 18 mesi, puntando probabilmente su un tale sfinimento da indurre il malcapitato a chiedere il rimpatrio volontario”.
In quali condizioni si vive nei Cpr?
“Si tratta di strutture date in gestione a privati, pagati in base al numero dei 'ristretti' e quasi mai sottoposte a controlli da parte delle istituzioni. Le tutele sono quindi molto inferiori rispetto a quelle previste per legge nelle carceri. Il Naga con il suo libro bianco 'Al di là di quella porta – Un anno di osservazione dal buco della serratura del Centro di permanenza per il rimpatrio di Milano', pubblicato a fine 2023, ha denunciato ogni sorta di violazione dei diritti in ogni campo, dall'informazione sulle tutele possibili a un'adeguata alimentazione, dal diritto alle cure ai contatti con familiari o avvocati, fino agli abusi e alle umiliazioni gratuite. Numerosi sono i casi di gesti disperati: suicidio tentato o riuscito, autolesionismo, rivolte.
Con il recente 'Decreto sicurezza', poi, qualsiasi protesta, anche non violenta, è diventata un reato, perfezionando quel quadro di completo 'assoggettamento all'altrui potere' (o diciamo pure arbitrio) di cui parla la Corte costituzionale. Accadrà così che persone innocenti, la cui unica colpa è di aver cercato una vita migliore per sé e i familiari, dopo aver subìto terribili ingiustizie si ritroveranno a essere accusati di reati che non sono tali, dal momento che si tratta della giusta protesta di chi viene maltrattato”.
E cosa mi può dire del ricorso della Corte di cassazione italiana alla Corte di giustizia europea sulla questione dei “Paesi sicuri”?
“La sentenza in proposito è attesa in agosto, ma non siamo molto fiduciosi neanche in questo caso. L'Unione europea ha votato un regolamento (in vigore tra un anno) che prevede un'ulteriore restrizione delle possibilità di protezione e della tutela dei diritti dei migranti. L'aria che tira è pessima. L’Unione Europea creerà un meccanismo che permetterà di definire sicuri moltissimi Paesi, anche quando si tratta di regimi autoritari o illiberali.
Il governo poi, come sappiamo, con il pretesto della 'lotta agli scafisti' ostacola in ogni modo l'attività delle ong che tentano di salvare i migranti in mare. Il rapporto annuale Global trends 2024, elaborato dall’Agenzia Onu per i rifugiati (Unhcr) e pubblicato in occasione della Giornata mondiale del rifugiato il 20 giugno scorso, calcola che 123 milioni di persone nel mondo siano sfollate forzatamente a causa di guerre, violenze, persecuzioni o gravi violazioni dei diritti umani.
È il 12esimo anno consecutivo in cui questa cifra cresce. Si tratta di un aumento di 7 milioni di persone, pari al 6%, rispetto alla fine del 2023. Alla fine del 2024, inoltre, 8,4 milioni di richiedenti asilo erano in attesa di una decisione sulle loro domande individuali, il numero più alto mai registrato, con un aumento del 22% rispetto ai 6,9 milioni dell'anno precedente. Il numero di domande di asilo pendenti è aumentato per otto anni consecutivi dal 2016. Di fronte a una situazione così drammatica, la risposta dell'Europa è di disumana chiusura e insensibilità ai diritti umani”.
Luce