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Le riflessioni di Sandra Malatesta. Le feste per il diploma

Le riflessioni di Sandra Malatesta. Le feste per il diploma

Sandra Malatesta | I tempi cambiano: cambiano le mode, le abitudini, tante cose. E io amo seguire il tempo che cambia, non resto ancorata a ciò che facevo “ai miei tempi”, anche se amo raccontare — e raccontare ancora — di quei giorni in cui bastava poco per essere felici.

Ricordo che negli anni Sessanta andavano di moda le minigonne, e in tanti desideravamo il cappello dei Beatles. Alcuni riuscirono ad averlo, altri no, ma faceva parte di quel tempo, e non c’era nulla di male.

Oggi i ragazzi vanno a sostenere l’orale della maturità sapendo che, una volta usciti, troveranno genitori o amici ad aspettarli con fiori, spumante e tanti abbracci.

E va bene così. Noi non avevamo niente di tutto questo, ma nemmeno ci sentivamo diversi, perché nessuno di noi aveva niente — e quel sentirci tutti uguali ci faceva stare sereni.

Le cose sono cambiate.

Ma ci avete pensato se, per caso, un ragazzo o una ragazza esce da scuola e non trova nessuno ad aspettarlo? Se è stata una sua scelta, va benissimo. Ma se invece avrebbe voluto anche lui o lei dei fiori, lo spumante, un abbraccio… e se ne torna a casa facendo finta di niente, io non credo che sia una bella cosa.

E allora, che senso hanno il cellulare nuovo, i soldi in tasca, le scarpe firmate?

Io sono convinta che molti di questi giovani abbiano basi forti: famiglie che li seguono, che li ascoltano, che li guidano. E allora sì, per loro una corona d’alloro o un mazzo di fiori non cambia il valore del loro essere.

Ma se anche all’asilo danno il tocco nero, o alla fine delle elementari si organizza una piccola cerimonia — forse non ovunque, ma accade — io ci vedo solo un momento dolce, una conclusione simbolica, con bambini felici che si abbracciano.

Perché no? La felicità fa bene, da sempre. Rende migliori. Chi è felice non ha bisogno di aggredire, di fare del male.

E qui, sicuramente, qualcuno mi attaccherà, dicendo che questi non sono momenti di felicità “vera”, “duratura”.

Ma tanti piccoli momenti di felicità, sommati, fanno una vita più serena.

Sento anche persone preparate in campo psicologico criticare questi riti festosi. “Lo studio non va premiato”, dicono. “Si studia per sé stessi, non per avere regali o feste”.

Eh, mamma mia, quante volte l’ho sentito questo ritornello. Anche la mia generazione.

Io ho studiato per me stessa, non ho avuto regali. Ma non credo, per questo, di essere migliore di chi riceve gioia, abbracci e affetto alla fine di un percorso.

Questi giovani, io li vedo pieni di sogni, di obiettivi. Parlano almeno due lingue, viaggiano, studiano, si laureano. Il loro mondo non ha confini.

Li ho visti crescere. Li vedo uscire felici da scuola, e io stessa sono felice. Li vedo laurearsi, circondati da affetto e da cose belle.

Posso dire una cosa personale? Quando mi sono laureata, giovanissima, appena proclamata dottoressa in Scienze, io e mio marito siamo corsi al porto per prendere l’ultimo traghetto: nostro figlio, neonato, aveva la febbre alta.

Lì per lì non ci ho pensato, ma poi… mi è mancata quella corona d’alloro, lo spumante, i fiori.

Come quando mi sono sposata: ho pianto tanto per non avere più mio padre che mi accompagnasse all’altare.

Sono sempre più convinta che chi ama studiare lo farà, con o senza premi. Ma sono altrettanto convinta che è bello, è giusto, festeggiare i traguardi della vita.

Soprattutto oggi, quando tanti giovani sembrano disorientati, si chiudono in sé stessi, vivono ai margini, spesso a causa di un disagio profondo, anche legato al bullismo, di cui magari non parlano a casa per non preoccupare i genitori.

Ci sono già abbastanza problemi in giro. Criticare queste piccole grandi feste, secondo me, lascia davvero il tempo che trova.

Il Dispari

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