Le spiagge italiane sono la nuova frontiera della guerra tra ricchi e poveri

Le proteste di agosto a Mondello hanno acceso i riflettori su un fenomeno che da anni trasforma silenziosamente il volto delle coste italiane: la progressiva erosione del diritto al mare. Quello che un tempo era considerato un bene comune, patrimonio di tutti i cittadini, sta diventando sempre più spesso una risorsa a pagamento che ridisegna la mappa della stratificazione sociale del Paese.
I tornelli installati dalla società Mondello Italo Belga sulla storica spiaggia palermitana rappresentano il simbolo più eclatante di questa deriva privatistica. Questi dispositivi, che regolano l’accesso come in una metropolitana o in uno stadio, hanno fatto esplodere la rabbia dei cittadini e scatenato controlli della Guardia di Finanza. La questione giuridica è complessa: la normativa siciliana garantisce l’accesso libero alla battigia, ma resta da definire cosa costituisca effettivamente un “ostacolo” illegale.
La vicenda palermitana, con i suoi controlli d’accesso e le recinzioni che delimitano aree private, rappresenta solo la manifestazione più evidente di una tendenza nazionale. I numeri parlano chiaro: nel giro di tre anni, le concessioni balneari in Sicilia sono cresciute del 41%, in Liguria la percentuale di litorale privatizzato supera spesso il 70% e in Toscana ci sono litorali – come quello Apuo-Versiliese – dove arriva al 90%.

Ma dietro le statistiche si cela una trasformazione antropologica profonda. Il mare, storicamente luogo di incontro democratico dove si mescolavano ceti e generazioni, sta diventando uno spazio di segregazione invisibile ma efficace. Da una parte le famiglie benestanti che possono permettersi i 50-80 euro quotidiani per lettini e ombrelloni, dall’altra chi è costretto a rinunciare o a ripiegare su litorali sempre più degradati e affollati.
I tornelli di Mondello sono diventati il catalizzatore di un malcontento più ampio. La loro presenza fisica materializza quello che per anni è rimasto sottotraccia: la trasformazione del mare da diritto a servizio. Non importa che, come sostiene l’amministratore delegato Antonio Gristina, questi dispositivi “non siano digitali” e permettano teoricamente il passaggio. Il messaggio simbolico è inequivocabile: qui si entra solo se autorizzati.
Questa dinamica sta creando quello che i sociologi definiscono “turismo di prossimità differenziato”: mentre le classi medie si spostano verso località più economiche o verso l’entroterra, quelle popolari si trovano escluse dal diritto alle vacanze. Il fenomeno assume contorni ancora più preoccupanti quando si considerano i “nuovi poveri”: famiglie monoreddito, pensionati, giovani precari per cui una giornata al mare può costare quanto la spesa settimanale.

L’effetto sui bambini è particolarmente significativo. Intere generazioni crescono considerando normale pagare per accedere al mare, perdendo il concetto stesso di bene comune. È un condizionamento culturale che rischia di sedimentarsi e diventare irreversibile. L’assessora siciliana Giusi Savarino, che ha vietato nuove autorizzazioni per tornelli e recinzioni, va nella direzione giusta ma rischia di rimanere insufficiente senza un quadro normativo più ampio. La sua decisione di non concedere più autorizzazioni per “apparati che possano ostacolare l’accesso” rappresenta un primo segnale, ma il problema è sistemico e richiede interventi strutturali.
Il paradosso è evidente: in un Paese circondato dal mare, trovare uno spazio libero dove stendere l’asciugamano diventa sempre più difficile. E quando si trova, spesso bisogna fare i conti con l’occupazione abusiva di sdraio e ombrelloni che, di fatto, rendono inutilizzabile anche quello che dovrebbe restare gratuito. È la democratizzazione al contrario: il bene pubblico che diventa privato attraverso mille piccoli espedienti quotidiani.
La questione tocca il cuore del concetto di cittadinanza e coesione sociale. Come può una società considerarsi equa se l’accesso a uno dei suoi beni più preziosi dipende dalla capacità di spesa? Il problema nasce dalla contraddizione tra il principio costituzionale del demanio pubblico e la pratica delle concessioni, spesso rinnovate automaticamente per decenni. Consiglio di Stato e Unione europee hanno fissato limiti e chiesto gare, ma la prassi delle proroghe prolungate è un fatto storico.
La proposta di Legambiente di riservare almeno il 50% delle coste alla fruizione libera non è utopistica, ma rappresenta un compromesso ragionevole tra esigenze economiche e diritti collettivi. Altri Paesi europei hanno saputo conciliare turismo di qualità e accesso democratico al mare: l’Italia può e dovrebbe fare altrettanto.
Luce