Saremo ricordati come la generazione che ha ucciso l’amicizia?

“Nella mia classe non c’era nessuno che potesse rispondere all’idea romantica che avevo dell’amicizia, nessuno che ammirassi davvero o che fosse in grado di comprendere il mio bisogno di fiducia, di lealtà e di abnegazione, nessuno per cui avrei dato volentieri la vita”. Le parole sono di Hans, protagonista de L’amico ritrovato di Fred Uhlman. E il 30 luglio, Giornata mondiale dell’amicizia, suonano quasi anacronistiche. Quasi: perché tengono insieme due concetti – “amore” e “amicizia” – che oggi sembrano escludersi. Mentre, un tempo, le due “a” convivevano e si tenevano per mano. Non è passato molto da allora, eppure sembra un'epoca lontana. Non solo per il tempo che manca – o che viene occupato da altro – ma per l’idea stessa di legame che abbiamo interiorizzato.
Amore e amicizia: perché oggi non convivono piùForse il punto non è che l’amicizia sia scomparsa, ma che ci appare meno interessante, meno degna di racconto, perché non produce narrazioni epiche, non occupa gli schermi.
L’amore romantico, invece, è ovunque: nei film, nei libri, nelle serie, nei talk show. Ha il monopolio del dramma e della felicità. È un progetto di vita, un destino, una forma di completamento. All’amico, invece, si chiede silenzio, supporto, disponibilità. Più sostegno che centro. Dimentichiamo, però, che spesso è proprio l’amico o l'amica a reggere le rovine lasciate dagli amori romantici.

La perdita del valore culturale e sociale dell’amicizia – un tempo centrale anche in termini politici e morali – racconta un vuoto più profondo: abbiamo imparato a declinare l’intimità solo nella coppia, convenzionale o meno. A riservare la vulnerabilità al partner. E a dimenticare che l’amicizia, in fondo, è forse la forma più duratura – e radicale – d’amore.
Così la pensava bell hooks – attivista, scrittrice e femminista afroamericana – che vedeva nei legami amicali profondi la via con cui “molte donne conoscono l’amore eterno”. E, insieme, la stessa capacità di amare, appresa non nell’ambito familiare o sentimentale, ma proprio dentro l’amicizia.
Soli tra mille connessioni: la previsione di Bauman e la realtà dei socialViviamo in una stagione di connessioni continue ma frammentarie, che scorrono sotto il dito e si dissolvono con un click. E nella realtà, fuori dallo schermo, la solitudine cresce. Zygmunt Bauman lo aveva previsto nel 2007: “rapporto” non vuol dire più “relazione”, ma “monologo”. E “amico” è una parola che Internet ha svuotato, rendendola istantanea, senza corpo, senza storia.
Amiche e amici che, se non ci piacciono, cancelliamo. Ridotti a transazioni – in entrata o in uscita, mai sotto il segno dell’uguaglianza e della reciprocità – diventano “assoluti”, nel senso latino: sciolti, privi di responsabilità, cura, amore. Volti al profitto, in poche parole. Una modernità liquida, fatta di legami liquidi che, a forza di sciogliersi, evaporano.
I dati lo confermano: amicizie sempre più rare, soprattutto tra i giovaniAll’inizio del Novecento, Siegfried Kracauer riconosceva nell’amicizia una forma di prossimità radicale: un’esperienza così centrale da meritare, per lui, un intero trattato. Un incontro che chiede tempo, ascolto, dialogo: un corpo a corpo dell’anima, potremmo dire. È dal dialogo che nasce la possibilità di una “unione esistenziale”.
Parole grandi? Forse. Ma i dati dicono che la fame di relazione c’è – e che Bauman aveva ragione. Secondo uno studio europeo su oltre 27mila persone, la metà degli intervistati soffre regolarmente di solitudine. C’entra la qualità dei rapporti, certo. Ma anche la quantità di tempo condiviso.

E i social media, lungi dal risolvere il problema, lo acuiscono: interazioni superficiali, impersonali, ripetitive. Un ping-pong di notifiche che pompano adrenalina e svuotano senso. Una questione emotiva, sì, ma anche di salute. Uno degli studi più longevi mai condotti – l’Harvard Study of Adult Development – lo dimostra con chiarezza: chi coltiva relazioni affettive solide e incontra gli amici almeno due volte a settimana ha più probabilità di godere di buona salute e vivere più a lungo.
In Italia, però, gli amici si vedono sempre meno. I dati Istat del 1993 – l’anno in cui il web divenne accessibile a tutti – rivelavano che quasi un italiano su tre incontrava gli amici ogni giorno.
Oggi lo fa solo il 10,9 per cento. E tra i giovani la situazione è ancora più netta: nella fascia 15-17 anni, si è passati dal 72 per cento di incontri quotidiani nel 2000 al 31 per cento nel 2022. Nello stesso periodo, l’uso quotidiano di Internet tra gli adolescenti è salito dal 10 per cento al 91 per cento.

Un’indagine del gruppo di studio multidisciplinare Musa conferma: due adolescenti su cinque dichiarano di non avere contatti con i coetanei nel tempo libero. E non è solo una questione generazionale: la solitudine colpisce trasversalmente, soprattutto in estate.
Compagni virtuali e legami simulati: le ombre dell’amicizia artificialeMa siamo sicuri che sia tutta colpa degli smartphone, o della tecnologia? Il fenomeno delle “AI companion”, le compagnie virtuali, racconta anche un’altra storia: si costruisce un’amicizia artificiale, a tavolino.
Trenta su mille studenti intervistati dall’Università di Stanford hanno detto che l’utilizzo di Replika – app specializzata nel servizio, con 25 milioni di utenti – li ha distolti da volontà suicide. Ma i rischi, sottolineati dall’ente australiano eSafety (esperto di sicurezza online), non sono da meno. Soprattutto nel lungo periodo.
In alcuni casi, i chatbot hanno addirittura rafforzato l’idea suicidaria, proprio per la loro modalità di risposta, sempre conciliativa e incoraggiante. Così, le interazioni digitali si moltiplicano. E quelle fisiche, quando non scompaiono del tutto, si diradano. La connessione, che dovrebbe avvicinare, finisce per isolare.
Più tempo, più cura: la domanda che dovremmo farciAttribuire tutta la colpa alla rete, però, rischia di farci perdere il punto. Forse la domanda da farci è un’altra: quanto tempo dedichiamo davvero all’amicizia? In termini pratici – “quando la vedo?” – e anche emotivi: quanto spazio lasciamo a un’amica o a un amico nei nostri pensieri, nella nostra attenzione, nella nostra cura, nel nostro amore? Si potrebbe pur dire che ciò che rende un'amicizia tale è la capacità di aspettarsi, comprendersi, anticipare bisogni e richieste.
Ma nello sfibramento generale, anche gli atomi primari di legame finiscono per dissolversi: tra vuoti digitali – messaggi senza risposta, appuntamenti rimandati, interazioni fittizie – e analogici – dentro rapporti affettivi totalizzanti. E allora, in questa Giornata mondiale dell’amicizia, vale la pena fermarsi e chiedersi: dov’è finito il tempo per gli amici?
Luce