Srebrenica, trent’anni fa il genocidio in Europa

Genocidio. Sono passati trent'anni esatti da quando questa parola è tornata d'attualità nell'Europa contemporanea: da quando, l'11 luglio 1995, le milizie serbo-bosniache di Radovan Karadzic e Ratko Mladic cominciarono a radunare i civili di etnia bosgnacca (bosniaco-musulmani, si diceva più comunemente allora) che si erano rifugiati nella cittadina di Srebrenica, sotto l'inutile protezione di un contingente di caschi blu olandesi che non mosse un dito. In pochi giorni i serbi uccisero oltre 8.000 maschi tra i 17 e i 70 anni e scacciarono donne e bambini per realizzare la loro pulizia etnica, altro termine che imparammo allora. Oggi, come ogni anno, la ricorrenza viene celebrata al Memoriale-cimitero inaugurato nel 2003 nei pressi della cittadina, tra la distesa di cippi piantati in memoria delle vittime. E anche quest'anno, come già nel 2021, quando a Srebrenica andò Fabio Tonacci per il Venerdì, verranno ricomposti i resti di qualcuna delle vittime, ancora oggi recuperati in una delle fosse comuni che si continuano a scoprire nelle campagne circostanti.
Sul Venerdì in edicola e online, invece, è il reportage di Chiara Privitera a raccontarci la Bosnia di oggi, a 30 anni da Srebrenica ma anche da quegli accordi di Dayton che posero fine ai combattimenti al prezzo di lasciare un Paese profondamente diviso lungo linee etniche: "Chi ha più di quarant'anni guarda ancora gli sconosciuti chiedendosi se hanno ucciso qualcuno della sua famiglia". Privitera ha incontrato soprattutto i più giovani, quelli che sono nati dopo la guerra: si definiscono "post-bellici" e sentono di "aver ereditato una tregua, non la pace". Ma provano a costruire qualcosa che le somigli.
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