Trump cala la scure dei dazi sull’Europa: e menomale che era amico di Meloni

La fida del tycoon
L’unità ritrovata tra le due sponde dell’Atlantico aveva illuso tutti dopo la conferenza sull’Ucraina. Ma la guerra commerciale è iniziata. Come risponderà l’Ue?

Sul nodo dell’Ucraina tra Europa e Usa è scoppiata la pace ed è una pace che va a tutto vantaggio di Giorgia Meloni. Poco importa sapere se e in quale misura il merito dell’appeasement sia suo e probabilmente non lo è affatto. Resta il fatto che l’Occidente si è ricompattato sul sostegno all’Ucraina in contemporanea con la Conferenza sulla ricostruzione di Roma e che il compito di ricucire rapporti molto sfilacciati tra Washington e le capitali europee se lo era assunto lei. Per merito o per fortuna esce comunque premiata da un quadro che vede per la prima volta dall’insediamento di Trump l’America schierata apertamente dalla parte di Kiev, al punto di partecipare, di nuovo per la prima volta, al vertice in call tra i leader presenti a Roma, i Volenterosi all’opera in una base militare inglese e gli Usa.
La pace però è fragile e su un fronte ancor più nevralgico di quello ucraino, la guerra dei dazi, pare lontana. Va da sé che una guerra commerciale feroce tra Usa e Ue sui dazi si rifletterebbe inevitabilmente anche sull’atteggiamento degli Usa in merito alla guerra di Putin. A maggior ragione data la tendenza di Trump a mutare d’umore e d’opinione con una certa frequenza, i rapporti tra le due sponde dell’Atlantico restano a massimo rischio. L’accordo quadro ha il suo peso. Per l’Europa le tariffe di Trump sono troppo esose, soprattutto perché vanno sommate alle conseguenze del deprezzamento del dollaro rispetto all’euro. Germania e Italia insistono però per tenere a freno la reazione. Sanno perfettamente che l’accordo quadro è meno importante della definizione dei particolari, cioè dei tassi specifici sui vari comparti merceologici. Non che l’orizzonte da quel punto di vista sia più luminoso. Per l’Italia, come per la Francia, è essenziale il settore alimentare ed è uno di quelli sui quali Trump mira non ad abbassare ma ad alzare la tariffa rispetto all’accordo quadro. Sull’automotive, il settore più nevralgico per la Germania ma anche per l’Italia, va peggio. Lì il tycoon vuole mantenere la tariffa vertiginosa del 25% e dal suo punto di vista lo si può capire: riportare negli Usa, anzi a Detroit, l’industria dell’auto è obiettivo politico e persino identitario, non solo economico.
Il governo di Merz e quello di Giorgia Meloni ritengono che sia controproducente ingaggiare un braccio di ferro sull’accordo generale che renderebbe poi di fatto impossibile trattare con qualche probabilità di successo sui “particolari” che tali non sono affatto: insomma sulle merci di maggior impatto sulle loro economie. Trattandosi del primo e terzo Paese dell’Unione in ordine di importanza e dei due Paesi più industrializzati d’Europa il peso della Germania e dell’Italia coalizzate è tutt’altro che trascurabile. Però Ursula von der Leyen, in questo caso, sembra invece schierata con i duri che, come Macron, vogliono rispondere colpo su colpo, anzi dazio su dazio e se del caso anche con la mazzata fiscale sulle importazioni tecnologiche dagli Usa. Non subito, probabilmente. La sospensione dei controdazi fissata dalla Ue scade lunedì prossimo e una decisione sul prorogarla o no deve ancora essere presa. Però anche a fronte di un “accordo di principio” insoddisfacente ma aperto a revisioni e modifiche di qui al primo agosto, termine stabilito da Trump per l’entrata in vigore dei dazi, è molto difficile che Bruxelles si bruci i ponti alle spalle evitando la proroga. Lo spazio per una trattativa per quanto meno ampio di quanto le dichiarazioni ottimiste facciano apparire c’è. Molto però dipenderà dalla disposizione con la quale le parti in causa affronteranno un negoziato comunque non facile.
Il ruolo della premier italiana acquisterà dunque rilievo. Pur senza esagerare, è vero che ha con Trump un rapporto migliore di quanto non possano dire gli altri leader europei. Inoltre è una delle principali parti in causa perché, come ha chiarito ieri Bankitalia l’impatto sarà comunque pesante e, ha aggiunto il presidente di Confindustria Orsini, oltre la soglia del 10% sono necessarie compensazioni. Pur non potendo trattare, o almeno non ufficialmente, l’italiana dovrà dimostrare di essere davvero in grado di rendere il tycoon più ragionevole e, sia pur non ufficialmente, anche di strappargli concessioni che impediscano all’Italia di ritrovarsi in un vicolo cieco. Missione difficile ma con posta in gioco altissima: se ce la dovesse fare Giorgia Meloni diventerà la stella ascendente dell’intera Europa.
l'Unità