UE: da progetto di pace a macchina bellica

Nata dalle ceneri della Seconda Guerra Mondiale, l’Unione Europea ha sempre presentato se stessa come un esperimento politico unico, fondato sul superamento dei conflitti armati attraverso la cooperazione economica e culturale. La Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio (CECA), firmata nel 1951, aveva come obiettivo esplicito quello di legare le economie degli Stati europei in modo da rendere la guerra “non solo impensabile, ma materialmente impossibile”.
Per decenni, il racconto europeo si è costruito attorno a questa identità: un continente che, dopo aver conosciuto la devastazione, sceglieva di ripudiare la guerra per affidarsi al diritto, alla diplomazia e alla solidarietà economica.
Oggi, però, lo scenario appare rovesciato. Alla vigilia del terzo decennio del XXI secolo, l’Unione sembra aver abbandonato la sua vocazione originaria, trasformandosi in piattaforma geopolitica militarizzata. Un processo accelerato dalla guerra in Ucraina ma radicato in una più profonda crisi identitaria.
Dal linguaggio della coesione a quello delle armiLa svolta è avvenuta in pochi anni. Dal 2014, con l’annessione russa della Crimea e la crisi del Donbass, Bruxelles ha iniziato a rivedere le proprie priorità. Ma è stato il conflitto scoppiato nel febbraio 2022 a fungere da catalizzatore.
In pochi mesi:
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il bilancio europeo, storicamente destinato a infrastrutture, agricoltura e welfare, è stato riorientato verso forniture militari;
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sono nati strumenti specifici come ASAP (Act to Support Ammunition Production), EDIRPA (European Defence Industry Reinforcement through common Procurement Act) e EDIS/EDIP (European Defence Industrial Strategy/Programme);
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si è iniziato a parlare apertamente di “economia di guerra” come nuova condizione strutturale.
Lo stesso Josep Borrell, Alto Rappresentante per la politica estera, lo disse senza mezzi termini nell’aprile 2023:
“La nostra industria della difesa deve passare da un approccio da tempo di pace a un approccio da tempo di guerra. È un cambiamento epocale, ma necessario.”
Parole che segnalano il cambio di rotta: non più un’Europa mediatore, ma un’Europa che si autodefinisce in base alla propria capacità di produrre armamenti.
E le cifre parlano chiaro.
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ASAP ha messo sul tavolo 500 milioni di euro per aumentare la produzione di munizioni da 155mm, con l’obiettivo dichiarato di fornire all’Ucraina un milione di proiettili entro il 2025.
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EDIRPA, varato nel 2023, dispone di 300 milioni per incentivare gli acquisti congiunti di armamenti tra Stati membri.
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Con EDIS/EDIP, presentato nel marzo 2024, la Commissione ha annunciato la prima vera strategia industriale della difesa europea, con una dotazione iniziale di 1,5 miliardi di euro.
Non a caso, Ursula von der Leyen nel discorso sullo Stato dell’Unione 2023 ha rivendicato con enfasi:
“Per la prima volta nella nostra storia, stiamo finanziando forniture militari con fondi comuni europei. È un passo storico verso una difesa europea più forte.”
Dichiarazione che avrebbe fatto sobbalzare i padri fondatori della Comunità europea, per i quali l’integrazione economica serviva proprio a esorcizzare la tentazione della guerra.
La pace ridotta a deterrenzaParallelamente, anche il concetto di “pace” è stato ridefinito. Non si parla più di compromesso o di diplomazia, ma di deterrenza.
La stessa von der Leyen lo ha detto chiaramente al Parlamento europeo:
“Abbiamo dimostrato che quando l’Europa agisce insieme, possiamo garantire la pace con la forza della nostra deterrenza.”
Una frase che rovescia completamente il significato originario dell’integrazione europea. La pace non è più frutto di mediazioni, ma risultato della capacità di intimidire l’avversario.
E Kaja Kallas, nuova figura simbolo della politica estera europea, lo ha ribadito con un linguaggio ancora più netto nel 2024:
L’UE come retrovia della NATO“Parlare di cessate il fuoco senza garanzie concrete significa aiutare la Russia. La vera pace si costruisce rafforzando la nostra capacità militare.”
Se un tempo si sottolineava la distinzione tra l’alleanza militare guidata dagli Stati Uniti e l’Unione come attore politico ed economico, oggi le due strutture appaiono quasi sovrapposte.
La standardizzazione delle forze ucraine in chiave NATO, finanziata anche dall’UE, trasforma di fatto Kiev in una forza di spedizione europea.
La narrativa ufficiale parla di “difesa europea”, ma nella pratica l’Unione diventa subfornitore militare della strategia statunitense, sacrificando la sua autonomia.
Mosca resta ancorata alla cultura europeaUno dei grandi paradossi della nuova postura bellica europea è l’esclusione della Russia dal consesso politico-culturale del continente. La retorica ufficiale la presenta come un corpo estraneo, un “altro” radicalmente incompatibile con l’Europa.
Eppure la storia e la cultura smentiscono questa lettura.
La Russia ha dato contributi decisivi alla musica classica (Čajkovskij, Rachmaninov, Stravinskij), alla letteratura (Tolstoj, Dostoevskij, Bulgakov), alla filosofia (Solov’ëv, Berdjaev) e persino alla scienza e all’esplorazione spaziale (Korolev e Gagarin).
Persino nei momenti più duri della Guerra Fredda, la Russia restava parte integrante dell’immaginario europeo. Non è un caso che negli anni ’70, in pieno confronto Est-Ovest, l’Europa occidentale scelse la via della distensione, dando vita all’Ostpolitik di Willy Brandt e ad accordi energetici duraturi che permisero decenni di crescita industriale.
L’ex cancelliere Helmut Schmidt lo ripeteva spesso:
“La Russia non potrà mai essere esclusa dall’Europa, perché ne è parte integrante per geografia, cultura e storia.”
Oggi invece si costruisce una frattura artificiale, che priva l’Europa della possibilità di essere ponte tra Occidente e Oriente e la costringe in una logica di contrapposizione permanente.
L’economia soffocata: il nodo energeticoLa militarizzazione ha anche un effetto diretto sulle economie europee. La rottura con Mosca ha significato la fine di decenni di relazioni energetiche che avevano reso l’Europa competitiva sul piano industriale.
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La Germania, locomotiva del continente, basava la sua forza sull’energia a basso costo proveniente dalla Russia. Secondo l’IFO Institute di Monaco, nel 2024 l’industria tedesca ha registrato il peggior crollo di competitività dal dopoguerra, con un calo del 20% nella produzione chimica e metallurgica.
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Anche il Belgio, hub industriale e logistico, ha visto un’impennata dei costi energetici, con conseguenze sui porti e sulle catene di fornitura.
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In generale, l’UE ha dovuto sostituire il gas russo con forniture di GNL dagli Stati Uniti a prezzi fino a quattro volte superiori.
Il risultato è un progressivo impoverimento competitivo dell’Europa rispetto a Stati Uniti e Asia.
Conclusione: un bivio per l’EuropaL’Europa si trova a un bivio: continuare a seguire la strada della militarizzazione e della rottura con Mosca, accettando un declino competitivo e un’erosione del consenso interno, oppure recuperare la propria vocazione originaria, fondata sulla cooperazione e sul dialogo.
La domanda rimane aperta: vuole davvero l’Unione Europea diventare un attore bellico permanente, sacrificando la sua anima di progetto di pace?
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