Corte Costituzionale paurosa sui migranti: perché non ha dichiarato incostituzionali i Cpr

L'occasione perduta
Nonostante le dure critiche al trattenimento dei migranti, e la denunciata violazione dell’art.13 della Carta che tutela la libertà personale, gli ermellini non sono stati conseguenti: lasciare all’Aula la possibilità di elaborare una legge primaria, senza neppure indicare un termine ultimo per vararla, è stato sin troppo generoso

Lascia francamente delusi la sentenza depositata ieri (n. 96/2025) con cui la Corte costituzionale ha dichiarato inammissibili le questioni di legittimità costituzionale sollevate dal Giudice di pace di Roma in ordine alle modalità di trattenimento dei migranti all’interno dei Centri di permanenza per i rimpatri (CPR). Certo, vi sono – ed anzi sono prevalenti – le aspre e serrate critiche all’attuale disciplina in materia, bene evidenziate su queste colonne ieri dal direttore Sansonetti e da Gianfranco Schiavone. Eppure, nonostante tali solide premesse, la Corte ha rinunciato a percorrere “l’ultimo miglio” che l’avrebbe portata a dichiarare incostituzionale l’attuale normativa. Un po’ come quando, se ci è consentito il paragone, arrivati alle ultime pagine di un giallo, l’autore ci sorprende perché non arriva alle dovute conseguenze rispetto agli indizi disseminati in precedenza.
Provo a spiegare. Quando – e sono la maggior parte dei casi! – lo straniero non può essere immediatamente respinto o espulso mediante accompagnamento coattivo alla frontiera per cause transitorie (ad es. identificazione, acquisizione dei documenti di viaggio o indisponibilità di un mezzo di trasporto idoneo), il questore ne dispone il trattenimento per il tempo strettamente necessario nel CPR più vicino. Come da tempo chiarito dalla stessa Corte, tale trattenimento costituisce una vera e propria detenzione, che incide quindi sulla libertà personale dello straniero, anziché semplicemente sulla sua libertà di circolazione, perché comporta il suo “assoggettamento fisico all’altrui potere” (sentenza n. 105/2001) in luoghi – come i CPR – che, per struttura e organizzazione interna, sono di fatto simili al carcere. Libertà personale che l’art. 13 della nostra Costituzione garantisce a tutti perché “inviolabile” e dunque spettante a ciascuno non perché si è cittadini, cioè “partecipi di una determinata comunità politica, ma in quanto essere umani” (§ 9). Siamo dunque nell’ambito delle “altr[e] restrizion[i] della libertà personale” cui – in aggiunta alla detenzione, ispezione e perquisizione personale – fa riferimento l’art. 13 Cost. A tutela di tale libertà l’art. 13 Cost. pone due garanzie.
La prima è la c.d. riserva di giurisdizione per cui essa può essere limitata solo per provvedimento non dell’autorità amministrativa ma del giudice, in quanto soggetto terzo e imparziale. Per questo motivo il questore entro 48 ore deve sottoporre il provvedimento di trattenimento al giudice di pace il quale, sentito l’interessato, entro le successive 48 eventualmente lo convalida dopo aver svolto un controllo non meramente formale sulla effettiva sussistenza dei presupposti sia del trattenimento sia della successiva espulsione o respingimento.
La seconda garanzia è la c.d. riserva di legge assoluta per cui non spetta al Governo ma esclusivamente al Parlamento – e dunque a seguito di una pubblica discussione e non nelle segrete stanze di Palazzo Chigi – disciplinare i “casi” e i “modi” in cui la libertà personale può essere limitata. Ed è proprio sui “modi” che l’attuale disciplina legislativa è “del tutto inidonea” sotto il profilo costituzionale. Essa, infatti, si limita a garantire allo straniero alcuni diritti: adeguati standard igienico-sanitari e abitativi, la necessaria informazione sul suo status, l’assistenza e il pieno rispetto della sua dignità, la libertà di corrispondenza anche telefonica con l’esterno, la possibilità di rivolgere reclami ai garanti nazionale, regionali o locali delle persone private della libertà personale. Per il resto essa è colpevolmente omissiva nel definire in modo sufficientemente preciso gli altri diritti, lasciando dunque di fatto carta bianca ad un regolamento dell’esecutivo il quale, per di più, per la sua attuazione rinvia agli atti adottati localmente dai prefetti. Il risultato di questa lunga catena normativa è il rischio che le modalità di trattenimento degli stranieri differiscano da CPR a CPR, in evidente spregio di un diritto inviolabile che, in quanto tale, va uniformemente garantito su tutto il territorio nazionale. In definitiva, per la Corte l’attuale quadro normativo circa le modalità di trattenimento degli stranieri nei CPR è incostituzionale perché disciplinato prevalentemente non per legge – come richiede il rispetto della relativa riserva prevista dall’art. 13 Cost. – ma tramite norme regolamentari e provvedimenti amministrativi discrezionali e che, per di più, possono essere tra loro diversi.
A questo punto, sulla base di cotante premesse, il lettore si aspetterebbe una sentenza d’incostituzionalità della legge perché troppo blanda nel garantire i diritti dello straniero. Invece, la Corte rigetta la questione sollevata dal giudice, dichiarandola inammissibile (non, dunque, infondata) perché, in buona sostanza, ritiene di non avere gli strumenti per supplire al legislatore al fine di rimediare alle carenze evidenziate, ad esempio tramite un intervento additivo che estenda ai CPR l’attuale disciplina prevista dall’ordinamento penitenziario, dato che la detenzione amministrativa nei CPR non ha carattere sanzionatorio. In definitiva, per la Corte la materia è troppo complessa e articolata per poter intervenire direttamente. Da qui, il rinvio al legislatore perché approvi con urgenza una disciplina che, in relazione alle modalità di trattenimento dello straniero nei CPR, assicuri maggiore tutela ai suoi diritti fondamentali, ad esempio circa caratteristiche degli edifici e dei locali di soggiorno e pernottamento, cura dell’igiene personale, alimentazione, permanenza all’aperto, erogazione del servizio sanitario, colloqui con difensore e parenti, attività di socializzazione. Tutto questo perché – non è mai inutile ripeterlo vista l’aria che tira – lo straniero è e rimane comunque una persona cui vanno garantiti i diritti inviolabili dell’uomo (art. 2 Cost.).
Dunque – sembra sottintendere la Corte – “vorrei, ma non posso”. Con tutto il rispetto, invece, a me sembra un “potrei, ma non voglio” perché la Corte avrebbe potuto fare di più e meglio. A mio avviso, infatti, la Corte avrebbe potuto dichiarare seccamente incostituzionale l’art. 14.2 del testo unico sull’immigrazione che il giudice di pace aveva impugnato proprio perché non indica in modo esteso e compiuto le modalità di trattenimento nei CPR. Così facendo, la Corte avrebbe costretto il legislatore ad intervenire subito per rimediare alla denunciata incostituzionalità. Ad esempio, il Governo avrebbe potuto approvare un decreto legge – almeno stavolta – corrispondente ai presupposti di necessità e urgenza sanciti dall’art. 77.2 Cost.; del resto, è proprio per questo motivo che le sentenze della Corte costituzionali vengono comunicate alle Camere. Oppure, come in altre occasioni, la Corte avrebbe potuto emettere un’ordinanza in cui fissare un termine certo entro cui il legislatore deve intervenire, a pena di declaratoria d’incostituzionalità, come accaduto in altri casi (pena carceraria ai giornalisti in caso di diffamazione, aiuto al suicidio e revisione dell’ergastolo ostativo).
Un intervento censorio che sarebbe stato tanto più auspicabile sia in ragione dell’estrema rilevanza della materia – la libertà personale giustappunto – sia delle gravi lesioni che gli stranieri subiscono in tali CPR, essendo per lo più rinchiusi in luoghi sovraffollati, senza privacy, in condizioni insalubri, subendo violenze, come denunciato dalla Corte EDU e da inchieste giornalistiche. Invece, la Corte si è limitata a rivolgere un semplice monito al legislatore perché intervenga; monito dinanzi al quale il Viminale si è prontamente dichiarato consapevole della criticità della normativa vigente e si è detto già «impegnato nella redazione di una norma di rango primario» per risolvere il problema. Un parto evidentemente molto laborioso e di cui, ci sia consentito, non abbiamo né probabilmente avremmo avuto notizia se non fosse intervenuta la Corte.
l'Unità