Così nasce a Bengasi il pazzo respingimento di Piantedosi e Brunner


(foto Ansa)
"trappolone" in cirenaica
Il Team Europe cacciato per avere rifiutato di scattare foto con i ministri di un governo non riconosciuto. “Nessuno si fida dei libici”
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“Incomprensione protocollare”, l’hanno definita ieri dal Viminale. Versione edulcorata che qualcuno negli ambienti diplomatici ha tradotto come “un trappolone” dietro al quale, azzardano fonti del governo sentite dal Foglio, non potrebbe che esserci lo zampino dei francesi. Di certo, quanto è accaduto ieri in Libia è destinato ad avere ripercussioni serie su svariati dossier, non ultimo quello dei migranti. Tutto inizia con il viaggio di una delegazione che includeva un commissario dell’Ue e il nostro ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi. Il Team Europe è stato però respinto alla dogana dell’aeroporto di Bengasi in quanto “persona non grata”. L’odissea inizia intorno alle 15, quando la delegazione proveniente da una prima tappa a Tripoli sbarca a Bengasi, dove si sarebbe dovuto tenere un secondo vertice con Haftar e con alcuni ministri del governo dell’est, sempre per parlare di migranti. Quello che si è consumato è stato invece un epilogo dai contorni grotteschi, con il commissario Ue per gli Affari interni e l’Immigrazione, Magnus Brunner, Piantedosi e i colleghi di Grecia e Malta, Makis Voridis e Byron Camilleri, costretti per oltre un’ora nell’aeroporto di Benina tentando una mediazione. Il nodo sono le foto dell’incontro, che le autorità di Bengasi, non riconosciute ufficialmente a livello internazionale, vogliono che siano scattate per legittimare l’evento. La delegazione europea invece nega la possibilità di photo opportunity.
All’incontro, dicono gli europei, può partecipare chi vuole ma un commissario dell’Ue non può farsi ritrarre mentre stringe la mano di un ministro di un governo non riconosciuto. Inaccettabile, rispondono le autorità di Bengasi, che costringono tutti a ripartire e a lasciare la Libia. “In palese violazione delle norme diplomatiche e delle convenzioni internazionali con azioni che rappresentano una mancanza di rispetto per la sovranità nazionale libica – recita un documento pubblicato dal governo dell’est guidato da Osama Hamad –, in violazione delle leggi libiche e in omissione del rispetto delle procedure che regolano l’ingresso e la circolazione ai diplomatici stranieri, i rappresentanti di Europa, Italia, Grecia e Malta sono stati informati della necessità di lasciare immediatamente il territorio libico”.
Secondo fonti del Viminale, il disguido sarebbe stato di mera natura burocratica e non riguarderebbe il ministro italiano. All’inizio, il motivo dell’incidente era stato ricercato negli attriti tra Grecia e Libia per i confini marittimi e il tema delle esplorazioni degli idrocarburi al largo del paese. In tal caso, il responsabile del “disguido” burocratico sarebbe stato quindi il ministro greco Voridis. Ma il tema è invero tutto politico e fonti del Foglio ridimensionano questa ricostruzione dei fatti, lasciando intendere che il motivo sarebbe piuttosto la grande questione della legittimazione internazionale che gli Haftar chiedono da tempo. Curiosa anche la genesi della circolare che le autorità di Bengasi hanno impugnato per cacciare dal paese la delegazione europea e che limita la circolazione dei diplomatici stranieri nel paese. Emanata lo scorso 6 luglio, era stata concepita come ritorsione nei confronti del rappresentante speciale in Libia dell’Onu, Hanna Tetteh, che alcuni giorni fa al Consiglio di sicurezza aveva rivolto accuse molto dure nei confronti delle autorità dell’est. Alla fine la circolare è stata applicata ieri, ma per cacciare il Team Europe.
La vicenda rischia ora di avere ripercussioni serie perché difficilmente nel prossimo futuro le delegazioni diplomatiche dell’Unione europea metteranno più piede a Bengasi. In un solo giorno si è così compromesso un processo diplomatico di avvicinamento durato anni. E poi c’è il tema che doveva essere al cuore dei due vertici organizzati fra Tripoli e Bengasi: i migranti. Con una ritorsione tanto spregiudicata, è lecito attendersi un incremento ulteriore delle partenze dei barconi dall’est della Libia in direzione delle isole greche. Gli sbarchi lungo la rotta Tobruk-Creta sono già aumentati del 350 per cento nei primi sette mesi del 2025 e sono parte integrante della guerra che Bengasi e Atene si combattono da mesi a margine della questione dei confini marittimi.
All’Italia la questione interessa molto, perché i flussi in partenza dalla Cirenaica arrivano spesso fino alle coste siciliane. A differenza delle rotte provenienti dalla Tripolitania, da dove partono soprattutto barche di piccole dimensioni, Haftar e la sua famiglia, direttamente coinvolti nel traffico di esseri umani, lasciano partire dall’ovest pescherecci grandi, carichi di volta in volta di diverse centinaia di migranti. Giusto il mese scorso, il figlio del generale, Saddam, aveva fatto tappa a Roma per incontrare il ministro della Difesa Guido Crosetto oltre che Piantedosi. L’incontro era culminato con un accordo di massima che avrebbe portato l’Italia a contribuire alla sorveglianza della frontiera tra la Cirenaica, il Sudan e l’Egitto.
In Libia, come al solito, si attende dall’Europa la giusta offerta per ritornare a placare le relazioni turbolente. A Tripoli, ieri mattina, ci aveva provato velatamente il ministro dell’Interno Emad Trabelsi a fare una proposta al commissario Brunner: “Auspichiamo la firma di un trattato ufficiale con l’Unione europea”. Seduto di fronte, l’algido commissario europeo non aveva mosso un muscolo ed era rimasto impassibile pure quando Trabelsi aveva rilanciato, asserendo che “qui in Libia ci sono 4 milioni di immigrati” – una stima già più volte contraddetta dai numeri ufficiali delle Nazioni Unite e che sfiora appena quota 800 mila persone. Nessuno della delegazione europea ha abboccato. Certo, l’Europa continua a dirsi disponibile a collaborare con Tripoli su programmi specifici, ma da qui a spingersi anche solo a prendere in considerazione un trattato più ampio con la Libia sul modello di quello sottoscritto fra Ue e Turchia, con tanti milioni di euro in ballo, ne corre. Parlando al Foglio, un diplomatico è stato tranchant: “Non accadrà mai, nessuno a Bruxelles si fida dei libici”. Ancora di meno dopo quello che è successo ieri a Bengasi.
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