Cottimo digitale, algoritmi, caporali 2.0: la strada in salita dei rider, sfruttati e senza coscienza di classe

La nuova frontiera dello sfruttamento
Enrico Francia, rider e delegato NidiL, racconta la sua lotta contro Glovo e un sistema che sfrutta sotto il volto dell’autonomia, tra algoritmi, caldo estremo e caporalato digitale. Ma ai ciclofattorini manca ancora una coscienza di classe

“Ho iniziato nel 2019 con Glovo, sono il primo rider ad avere avuto la subordinazione con loro. L’ho avuta perché ho fatto causa a Glovo nel 2022, dicendo che il modo in cui mi avevano inquadrato non era corretto”. A parlare è Enrico Francia, rider e delegato NIdiL, la struttura sindacale della CGIL che tutela i lavoratori atipici. Il viaggio nell’eterogeneo e complesso mondo dei ciclofattorini inizia con lui, con la sua storia. Che comincia, come dicevamo, con l’esperienza con Glovo. “Ai tempi c’era ancora l’algoritmo con il calendario, che mi diceva se lavorare, quando lavorare, in che modo farlo. E allora, se mi dai questo genere di paletti, significa che sono un lavoratore subordinato, non autonomo”, spiega Enrico. E nel 2022 il Tribunale di Torino gli ha dato ragione: la possibilità di rifiutare una consegna non è sufficiente a qualificare l’attività dei rider come lavoro autonomo. “Il contratto subordinato con Glovo poi non l’ho accettato, però ho avuto un risarcimento”, continua.
Ma facciamo ordine. Nel 2020 viene siglato il “CCNL Rider”, un accordo tra Assodelivery e UGL Rider per regolamentare l’attività dei rider autonomi. Questo contratto definisce il rapporto di lavoro tra Deliveroo e Glovo e i loro ciclofattorini. Per Just Eat, invece, il discorso è diverso: contesta quell’accordo e – spiega Enrico – in una sorta di “campagna pubblicitaria” lascia Assodelivery e assume i propri rider come subordinati. “Oggi lavoro con Just Eat – continua Enrico – ho un contratto di 20 ore”. Negli ultimi tempi, Glovo ha tolto l’algoritmo con il calendario, non c’è più un “punteggio” visibile a vigilare sulla solerzia, esasperata, dei rider. Ma in realtà, dice Enrico, perfino in piattaforme che hanno abbracciato la subordinazione come Just Eat “l’algoritmo dà ore in più solo a chi è veramente performante”. Quel contesto di cottimo digitale, insomma, non è mai davvero sparito. “Il sistema è sempre uguale: è l’algoritmo che sceglie se devi o non devi lavorare, che tu sia autonomo o subordinato”, aggiunge il rider e delegato NIdiL.
Con l’estate e le temperature proibitive, poi, il discorso tutele si è fatto ancora più complesso. Piemonte e Lazio hanno emanato delle ordinanze che vietano il lavoro all’aperto (rider inclusi) nei giorni da “bollino rosso” durante le ore più calde. Il problema, ha fatto notare subito qualcuno, è che molti ordini vengono fatti all’ora di pranzo. Se il lavoratore autonomo non consegna, non guadagna. E ancora non è previsto nessun sussidio per “rimediare”. “La mancanza della retribuzione per noi è un problema – dice Francia – e stiamo affrontando il tema con la Regione. Non deve però essere la Regione a dare i soldi, ma il datore di lavoro, quindi Glovo o Deliveroo, che dovrebbero intervenire”. E invece il protocollo di Assodelivery, al momento, prevede solo “50 centesimi in più quando fa caldo, 5 euro per una borraccia…tutte cose che per un rider non sono sufficienti, specie se fanno 40 gradi, perché il caldo comunque si continua a sentire”, commenta Enrico.
Ma c’è pure un altro fenomeno che prende vita nel sottobosco delle piattaforme di food delivery. Potremmo definirlo “caporalato digitale” e riguarda soprattutto i lavoratori extracomunitari. “Non solo siamo a conoscenza della cosa – dice il delegato NIdiL – ma come sindacato l’abbiamo anche denunciata alle applicazioni”. E come ci si è mossi? Spiega Francia: “Fino a poco tempo fa, Deliveroo e Glovo utilizzavano il riconoscimento facciale per contrastare il fenomeno del caporalato”. Una misura non sufficiente: “L’abbiamo sempre contestata perché non funziona. Si trattava di fare una foto, che magari non usciva bene, dunque il rider veniva bloccato”. Poi, un’ordinanza sulla privacy ha fermato tutto: per il garante il riconoscimento facciale sui lavoratori non può essere utilizzato. Ma questo ha scatenato nuove storture: “Le persone hanno ricominciato a dare il proprio account a 3/4 persone. Abbiamo le comunicazioni di vari rider che denunciano di persone con più account”.
E spiega il meccanismo: “Non è conveniente stare in bicicletta per 9 ore” e allora molti “lasciano l’account aperto e lo danno, che so, al cugino, a un amico, a qualcuno del paese, poi si fanno dare una percentuale su quello che guadagnano”. “Noi abbiamo chiesto più controlli, anche sui mezzi, che spesso non sono omologati” e quindi “chiediamo che Glovo e Deliveroo, come Just Eat, mettano dei supervisori nei vari starting point per controllare i mezzi e l’identità di chi sta lavorando”, dice Francia. “Stiamo provando a chiedere una subordinazione, che sembra improbabile, e spingiamo anche per un miglioramento sulla forma contrattuale che già c’è, per assicurare più diritti ai rider”, conclude Enrico.
Ma trovare una quadra non è semplice. Perché nella macro-categoria dei rider c’è varietà: c’è chi lo fa come lavoro fisso, dunque auspica alla subordinazione, ma anche chi con quest’occupazione “arrotonda” e ha dunque tutto l’interesse a rimanere autonomo. Ci sono migranti, studenti, adulti, e tutti hanno bisogni diversi. Non ci sono necessità univoche, dunque neanche univoche rivendicazioni. Il punto lo spiega bene la segretaria NIdiL Roberta Turi, che si occupa proprio dei rider non subordinati: “Come NIdiL proponiamo contratti misti. La subordinazione è la migliore delle soluzioni per chi vuole un contratto stabile, che sia full-time, per chi fa questo lavoro tutti i giorni. Ma ad essa vogliamo affiancare una forma tutelata di lavoro autonomo, magari con contratto di collaborazione coordinata e continuativa, che abbia le tutele però di un accordo collettivo. Cioè fissando minimi salariali, diritti collettivi sindacali simili alla subordinazione, ma mantenendo l’autonomia della prestazione”.
Allora le chiediamo se c’è, in questo senso, un canale aperto con Assodelivery. “Loro si sono sempre rifiutati di inquadrare i lavoratori come subordinati – risponde Turi – Sulla seconda ipotesi, si sono detti interessati ma fino ad oggi, oltre alle parole, non ci sono stati fatti. Nessun confronto, nonostante li abbiamo incalzati”. E mobilitarsi, senza una vera coscienza di classe, è più che difficile: “Molti rider non parlano italiano, alcuni sono sotto il giogo del caporalato digitale, ci sono i capi di comunità che organizzano molti dei lavoratori dei loro Paesi di origine, spesso li ricattano, quindi non sono spinti a protestare”. Conclude la segretaria NIdiL: “Anche per il sindacato è difficile avere un rapporto diretto con molti di loro, veniamo rimandati sempre a questi capi di comunità. Ovunque c’è sempre qualcuno che li organizza e che loro ti segnalano come punto di riferimento. E noi non sappiamo mai cosa ci sia dietro tutto questo. E sia loro, sia le aziende, non hanno interesse che le cose cambino”. Sembra chiaro: la strada per i ciclofattorini è ancora molto lunga. E in salita.
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