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Dazi, l’Europa rischia la spaccatura definitiva sulla risposta a Trump: Meloni muta, Mattarella si rivolge a Macron

Dazi, l’Europa rischia la spaccatura definitiva sulla risposta a Trump: Meloni muta, Mattarella si rivolge a Macron

L'Europa tramortita

Senza l’accordo, porte aperte alla tentazione di trattare ciascuno per sé. L’Italia è il Paese sul quale grava maggiormente il sospetto di essere pronto a rompere l’unità europea

Photo credits: Imagoeconomica via The White House
Photo credits: Imagoeconomica via The White House

La formula invocata da Germania e Italia, “calma e pragmatismo”, esce confermata dalla riunione dei ministri del Commercio della Ue di ieri, come lo era stata dal vertice dei 27 ambasciatori di domenica. “Fino al primo agosto c’è tempo”, assicura il ministro degli Esteri della Danimarca, presidente di turno dell’Unione, Rassmusen.I negoziati sono in corso ma l’accordo deve essere equo ma dobbiamo essere pronti a reagire e prepararci alle contromisure”. Trump, da parte sua, si dice “sempre pronto a discutere”.

È probabile che la sensazione diffusa a Bruxelles e nelle capitali europee ma anche sui mercati sia fondata, e cioè che quelle tariffe al 30% “proibitive per il commercio” secondo commissario europeo incaricato della trattativa Sefcovic siano solo la mossa di apertura della trattativa vera e propria. Mossa d’apertura particolarmente pesante e del tutto imprevista, però. “Ci sembrava di essere vicini a un accordo”, confessa Rassmusen e non esagera di tanto. Di certo una mazzata simile non se la aspettava nessuno. Per la premier italiana in particolare è un colpo politico molto duro. Era lei, come capo di governo europeo più vicino a Washington, che avrebbe dovuto agevolare il dialogo smussando gli angoli e ammorbidendo un po’ il tycoon. Non ce l’ha fatta e sarebbe già un colpo serio alla sua credibilità come medatrice. Ma il fatto che il tycoon non le abbia neppure anticipato il colpo che si accingeva a sferrare cancella di colpo quell’immagine. Di conseguenza diminuisce il peso dell’Italia nel braccio di ferro sotterraneo in corso nell’Unione tra chi come Macron spinge per la reazione muscolare, e anzi avrebbe voluto contrattaccare già nel weekend, e chi, come la stessa Meloni e Merz, ritiene invece più utile la linea conciliante.

In prima battuta era ovvio che la spuntassero il tedesco e l’italiana. Tutti, a partire dalla stessa presidente von der Leyen, pregano e fanno voti nella speranza di evitare in extremis la guerra commerciale. Con una concreta ipotesi di negoziato ancora in piedi era automatico che la partenza delle contromisure europee, prevista per oggi, venisse invece congelata di nuovo fino al primo agosto. Solo che, se è probabile che Trump il mercante miri davvero ad condurre una trattativa a muso duro, non è affatto detto che il punto di caduta che il presidente ha in mente sia per l’Europa accettabile. I dazi al 30%, come hanno concordato tutti i ministri del Commercio nessuno escluso, sono davvero inaccettabili perché equivarrebbero alla paralisi del commercio tra Usa e Ue. Ma non è che il 20%, oltretutto senza reciprocità e senza esenzioni per i settori più nevralgici come l’automotive e l’agroalimentare, sarebbe molto meglio. Senza contare la richiesta, messa praticamente nero su bianco dal tycoon nella lettera di sabato alla presidente Ursula, di eliminare tutte le barriere sui prodotti americani costituite dalla legislazione europea. Insomma, anche considerando non definitivi i termini dettati per ora da Trump, l’ipotesi di un accordo all’ultimo momento resta non solo incerta ma molto difficile e forse almeno improbabile.

Lo scontro in Europa sin qui evitato rischia di innescarsi proprio intorno ai due punti davvero critici, ancora inevasi: quali siano i margini di intesa da considerarsi accettabile e con quale volume di fuoco rispondere nell’eventualità di un mancato accordo. L’Italia e la Germania sono i Paesi più possibilisti, la Francia e la Spagna si collocano all’estremo opposto e chiedono di colpire “dove fa più male”, cioè con la tassazione su Big Tech. Ma alla fine a decidere chi la spunterà dipenderà dalle eterne incognite: cosa farà e cosa voglia davvero Donald Trump. Nella cornice di questa incertezza assoluta era inevitabile che si affacciasse lo spettro più temuto: quello di una spaccatura europea. Senza l’accordo, diventerebbe concreta la tentazione di trattare ciascuno per sé cercando di evitare il peggio per il proprio Paese. Si salvi chi può.

L’Italia è il Paese sul quale grava maggiormente il sospetto di essere pronto a rompere l’unità europea, anche perché è quello che pagherebbe più caro di tutti la guerra commerciale. La Lega non ha perso tempo e già da sabato martella sulla necessità di fare da soli. Forza Italia, sul versante opposto, si profila come la forza di maggioranza può pronta a una reazione comune dura anche se oggi Tajani sarà a Washington proprio col mandato di cercare un’intesa pacifica quasi a tutti i costi. In realtà la defezione dell’Italia non sarebbe così facile: implicherebbe la rottura con Bruxelles ma anche con il Quirinale e forse persino con Fi. Ma se a rompere il patto unitario tra i 27 sarà qualche altro Paese, in un clima da ciascun per sé, l’Italia di Giorgia non perderà tempo a seguire quella corrente.

l'Unità

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