Il Parlamento sempre più passacarte: tra decreti e fiducie le Camere ridotte a organo formale

Il record di decreti
Le fiducie sono impiegate dall’esecutivo con intensità tale da rendere le Camere un organo formale, incapace di incidere sulle leggi

Nella legislatura in corso, il Parlamento italiano ha perso progressivamente la propria centralità istituzionale, venendo relegato a mero esecutore delle decisioni adottate dal Governo. Da ottobre 2022 a giugno 2025, l’esecutivo guidato da Giorgia Meloni ha emanato 100 decreti-legge, un record assoluto nel confronto con le ultime quattro legislature. Nello stesso periodo, si è registrata una media di tre decreti-legge al mese, una frequenza paragonabile soltanto ai governi Conte II e Draghi, nel pieno dell’emergenza pandemica. Il dato più alto dal 1996 ad oggi.
Parallelamente, sono state poste decine e decine di questioni di fiducia tra Camera e Senato, una media di quasi 3 al mese, che hanno costretto il Parlamento ad approvare testi senza emendamenti. Al Senato il regolamento prevede che l’apposizione della fiducia comporti la cancellazione della discussione sugli ordini del giorno. Le fiducie, già strumenti poco compatibili con il Parlamento rappresentativo, sono qui impiegate con intensità tale da rendere le Camere un organo formale, incapace di incidere sul contenuto delle leggi. Peraltro i temi più rilevanti sul piano politico ed istituzionale sono trattati con i decreti. Le leggi di iniziativa parlamentare affrontano questioni più tecniche e marginali.
La Costituzione attribuisce al Parlamento la funzione esclusiva di esercizio del potere legislativo (art. 70 Cost.) e di controllo politico sull’Esecutivo. I decreti-legge, poteri attribuiti al Governo “in casi straordinari” (art. 77 Cost.), sono concessi solo in presenza di una necessità e urgenza inderogabili, e richiedono la conversione parlamentare entro 60 giorni. Quando questo meccanismo si trasforma in prassi ordinaria, con fiducie sistematiche, il procedimento si svuota della sua natura costituzionale, limitando la discussione, la trasparenza e l’autonomia dell’assemblea legislativa. Il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha più volte richiamato il Governo ad evitare l’uso eccessivo dei decreti-legge — ad esempio sollevando dubbi sui “decreti omnibus” – e accentuando la necessità di rispetto del bilanciamento dei poteri e del ruolo del Parlamento . Eppure, tali richiami sono rimasti inascoltati, e l’abuso dell’istituto continua in maniera sistematica. Con queste modalità, il Parlamento subisce un progressivo svilimento: da organo di rappresentanza delle istanze politiche e dei cittadini, si trasforma in una “stampella” dell’Esecutivo, incapace di proporre o modificare davvero le leggi, soprattutto quando il principio della fiducia impone l’approvazione immediata dei testi governativi.
Alla fine della Seconda guerra mondiale, l’Italia uscì da un ventennio in cui il Parlamento era stato praticamente reso inerte dalla dittatura nazifascista. Le Camere avevano smesso di rappresentare il popolo sovrano, annichilite da un regime totalitario che annullò diritti e libertà. Fu solo grazie alla Guerra di Liberazione e alla lotta partigiana che il popolo italiano riuscì a ribaltare quel regime orrendo, riappropriandosi della propria sovranità e spianando la strada alla Costituzione repubblicana del 1948. I costituenti, consapevoli del rischio di un eccesso di potere concentrato nell’Esecutivo, stabilirono un equilibrio rigoroso tra poteri, con un Parlamento libero di deliberare, proporre emendamenti, influenzare i processi legislativi e rappresentare ogni componente della società. Oggi, tuttavia, assistiamo a una regressione che riassume, seppure su scala diversa, la tendenza a comprimere la sovranità popolare. Il Parlamento, secondo la Costituzione, resta la “casa degli italiani in cui si esercita il potere legislativo”, luogo in cui maggioranza e minoranza devono poter discutere proposte, esprimere opinioni e trovare soluzioni collettive. Ridurlo a un organo passivo significa tradire quei valori democratici e quella lezione storica per cui fu combattuto e ossigenato il nostro sistema.
La Costituzione disegna un Parlamento attivo, sovrano, contrappeso all’Esecutivo come ha giustamente sottolineato il collega Federico Fornaro nel suo ultimo libro “Una democrazia senza popolo”. Se continuerà la prassi dell’uso intensivo di decreti-legge e fiducie, l’Italia rischia un ritorno culturale e istituzionale a un modello in cui la legge e la rappresentanza vengono decise senza adeguato dibattito, coinvolgimento e trasparenza. Rilanciare il Parlamento come luogo vero di confronto, proposta e controllo significa non solo rispettare la Carta, ma incarnare lo spirito della liberazione, preservare la democrazia e riaffermare la centralità del popolo sovrano: ascoltando, emendando, dirigendo; non obbedendo.
Meraviglia in questo senso il fatto che moltissimi parlamentari di cosiddetta maggioranza accettino passivamente il progressivo svuotamento di poteri di Camera e Senato. Lo dimostra anche la disattenzione con la quale viene esercitata l’attività di controllo sull’esecutivo anche a fronte di precise segnalazioni che vengono fatte attraverso le relazioni e le memorie della Corte dei Conti e dell’Ufficio parlamentare di bilancio. Questo quadro dimostra chiaramente che senza un ritorno alla centralità parlamentare, l’Italia rischia di dimenticare la lezione più profonda della sua storia democratica.
*Segretario di Presidenza della Camera, capogruppo PD Commissione Ecomafie
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