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Italiani ma senza cittadinanza, la lotta dopo il referendum continua con le nuove generazioni

Italiani ma senza cittadinanza, la lotta dopo il referendum continua con le nuove generazioni

Dopo il referendum cittadinanza

Riflessioni a più voci sui risultati di un referendum perso in cui 9 milioni di persone hanno detto: noi siamo la base da cui ripartire. Attivisti e promotori discutono su cosa fare e come farlo

Photo credits: Saverio De Giglio/Imagoeconomica
Photo credits: Saverio De Giglio/Imagoeconomica

E dopo il referendum sulla cittadinanza cosa facciamo? Parliamone. Un anno fa, ad agosto, le organizzazioni di persone migranti senza cittadinanza, in procinto di ottenerla e di realtà fortemente critiche rispetto all’impegno della politica finora vissuto, erano riuscite ad elaborare, insieme ad alcuni giuristi, la proposta di un quesito referendario abrogativo che portava i tempi necessari per poter richiedere la cittadinanza a 5 anni. Nulla cambiava dell’impianto legislativo. Restavano come vincoli non derogabili la permanenza continuativa e regolare, l’attestazione di una residenza, un lavoro e quindi un reddito certificabili, un corretto rapporto con il fisco, la buona conoscenza della lingua italiana, la fedina penale priva di condanne.

A presentare il quesito in Cassazione sono stati 19 soggetti: le associazioni di persone con background migratorio, Arci, Libera, Cittadinanza Attiva e poche piccole forze politiche: + Europa, Radicali Italiani, Possibile, Partito Socialista Italiano e Rifondazione Comunista. La possibilità di firmare anche attraverso lo Spid, un tam tam social, il sostegno di alcuni testimonial nel mondo dello spettacolo, insieme all’impegno di volontari hanno portato ad un risultato inaspettato. In un mese, nonostante ripetuti tentativi di hackeraggio della piattaforma adibita, si sono raccolte più di 637 mila firme (500 mila erano quelle necessarie), che sono state certificate. A gennaio il referendum è stato ritenuto ammissibile e, dopo un tira e molla infinito, il governo ha comunicato che questo, insieme ai 4 quesiti sul lavoro, proposti dalla Cgil, sarebbero stati portati al voto l’8 e il 9 giugno. Il resto, come molti dei racconti riportano nel libro è cronaca recente. I referendum sono stati, per molto tempo, oscurati dal sistema mediatico, le più alte cariche dello Stato hanno invitato a disertare le urne – c’è stato anche chi ha affermato che il referendum sulla cittadinanza fosse il più pericoloso – è stato complicato, anche a causa della scarsità di risorse economiche, mettere in piedi una grande campagna referendaria. Grazie all’ottimo lavoro di chi ne ha curato la comunicazione si sono mobilitati circa 10 mila attivisti in tutto il Paese, abbiamo girato in lungo e in largo i territori per proporre iniziative pubbliche, momenti di incontro, di informazione, di dialogo anche con chi era portatore di dubbi. Un lavoro immenso che certamente non va disperso ma che si è rivelato insufficiente.

Nel libro alcuni dei protagonisti d quella mobilitazione ragionano sul fatto che l’attivismo non è riuscito a raggiungere molti luoghi, molte persone soprattutto non politicizzate, non sindacalizzate, di età medio alta, in special modo al Sud. Il servizio pubblico radio televisivo ha deliberatamente ignorato i quesiti, in particolar modo quello sulla cittadinanza, non a caso – come affermato da uno dei nostri interlocutori nel libro- l’opinione pubblica italiana già di immigrazione sa ben poco, confondendo richiedenti asilo, persone nate e cresciute in Italia, persone stabilmente presenti da decenni, e generalizzando in un comune indistinto che si traduce nelle parole “pericolo”, “fastidio”, “insicurezza”. Il quesito ha provato – e il tentativo non è stato a nostro avviso vano – di portare alla luce la normalità di un Paese ormai plurale, misto, composito, in cui le seconde e persino le terze generazioni non hanno spesso nulla a che fare con i paesi di provenienza di genitori o addirittura nonni. Oltre 9 milioni di persone hanno compreso questo. Sono una parte importante della popolazione da cui ripartire, tenendo conto che si è recata alle urne al posto di tanti che, non avendo ancora la cittadinanza, non hanno potuto né firmare per il referendum né votare.

Ma gli elementi da evidenziare so no anche altri: i quesiti sul lavoro, come raccontato anche da uno dei primi interventi, hanno ricevuto un consenso maggiore di quello sulla cittadinanza. Circa 3.200 mila persone hanno espresso parere contrario ad un miglioramento della legge 91/1992 pur avendo invece sostenuto i tentativi di dare maggior tutela a chi lavora. Con queste persone è necessario parlare e comprendersi, si tratta di una scelta consapevole o è unicamente dovuta alla disinformazione generale rispetto al quesito? Nel libro che vi apprestate a leggere, le persone che intervengono hanno provato ad evidenziare i limiti e gli errori commessi, per evitare che si ripetano, ma anche a trovare quelli che potrebbero essere i prossimi tentativi. Una cosa in conclusione è però ad avviso di chi scrive, sufficientemente chiara. Abbiamo finalmente capito che non dobbiamo rincorrere i governi, nella speranza di qualche tenue miglioramento o sull’onda di un’ennesima emergenza ma dobbiamo divenire noi – un noi vasto e da ampliare sempre di più- coloro che mutano l’agenda politica, il sentire comune.

Quelle e quelli che rifiutano di lasciare taluni temi, come il diritto alla cittadinanza – non la concessione – nell’ombra delle cose da affrontare in un eterno dopo, perché ora le priorità sono altre, come avviene da trenta anni e passa. Si apre un vasto campo e forse la partita vera inizia ora. A poterla giocare sono e saranno anche nuove formidabili generazioni di cui, come per taluni sport dove si è ripreso a fare incetta di titoli e medaglie, l’Italia non può già fare a meno. Il tempo non può essere fermato dall’ignoranza suprematista, il mondo cambia sotto i nostri occhi in ogni campo dello scibile. Il tempo della supremazia coloniale è scaduto da molti anni, ora sta a chi intende giocarsela provare a ristabilire un’altra epoca, quella della parità nell’accesso ai diritti e dell’uguaglianza plurale.

l'Unità

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