La Nato si piega a Trump, gli Stati membri dicono sì al 5% per le spese militari: solo la Spagna si ribella

Il vertice Nato all'Aja
Tutti e 32 gli Stati membri firmano l’impegno preteso e ottenuto dagli Usa. Ma Madrid si ribella: “Il 2% basta”. E Donald minaccia: “Per loro dazi doppi”

La Spagna c’è. La Spagna non c’è. Il vertice Nato dell’Aja, convocato per dare a Trump ciò che Trump chiede, cioè il 5% del Pil dei 32 Stati membri devoluto in armi e affini, lascia inevasa la risposta. La firma della Spagna figura con quelle degli altri 31 componenti dell’Alleanza atlantica in fondo alla dichiarazione finale. Il premier Sanchez però nega che la quella firma lo impegni: “Il 2,1% è un investimento sufficiente, realistico e compatibile con il nostro modello di welfare”. La premier italiana lo smentisce: “Ha firmato il nostro stesso documento e nella discussione tra tutti i 32 non ho sentito critiche di sorta”.
Trump e il suo segretario di Stato Rubio sono imbufaliti: “La Spagna è un problema”. Sanchez resta ineffabile: “La Spagna è sempre la soluzione. Mai il problema”. Lui e il presidente degli Usa, seduti fianco a fianco nella cena conviviale della sera precedente non si sono rivolti la parola. The Donald ha chiacchierato fitto per tutta la serata con la leader seduta al sua fianco all’altro lato: Meloni Giorgia. Sanchez minimizza: “Non ho avuto occasine di scambiare parole con Trump ma tutti sanno che siamo affidabili”. Una sagra dell’ambiguità. Trump, che nel complesso considera l’accordo sul 5% “monumentale” la prende peggio che molto male. In conferenza stampa passa alle minacce esplicite: “Quel che fanno è terribile e non lo permetterò. Negozieremo un accordo commerciale in cui pagheranno il doppio con i dazi”. Sanchez tiene duro: “Se avessimo accettato avremmo dovuto pagare 300 miliardi entro il 2035 e da dove li avremmo presi? Da più tasse? Da tagli allo Stato sociale?”.
Il fattore Spagna non è secondario. Il fatto che un Paese possa sottrarsi all’obbligo sottoscritto dagli altri espone i Paesi per i quali il riarmo sarà più esoso alle critiche delle opposizioni interne, ed è il caso proprio dell’Italia con Schlein che è già andata all’attacco: “Meloni avrebbe dovuto fare come Sanchez”. Il precedente inoltre peserà molto nel prosieguo. Le condizioni che il segretario della Nato Rutte, qui in veste di esecutore del diktat di Trump, ha contrattato condizioni notevolmente flessibili. Il traguardo dovrà essere tagliato in 10 anni, entro il 2035, ma senza una tabella di marcia fissa anno per anno, con una verifica che permetterà di rivedere molto se non tutto nel 2029 e con una clausola alla quale l’Italia teneva moltissimo: le esigenze della della difesa saranno diverse Paese per Paese. “È evidente che la difesa di un Paese mediterraneo come l’Italia è diversa da quella di un Paese baltico”, sintetizza Giorgia.
La premier italiana punta a seguire lo stesso tracciato del collega tedesco. “Una parte importante di queste risorse, se siamo bravi, viene utilizzata per rafforzare imprese italiane e questo crea una politica espansiva che produce risorse in un circolo virtuoso”, spiega Meloni e proprio questa promessa di usare il riarmo come volano di un piano industriale dovrebbe contribuire in larga misura a garantirne la sostenibilità. Ma in caso contrario, con il precedente spagnolo alle spalle, ciascuno Stato che nel 2029 si dovesse trovare in difficoltà reclamerebbe la revisione al ribasso dell’obiettivo. La minaccia di Trump, quella di imporre dazi pesantissimi alla Spagna per rappresaglia apre in prospettiva un altro fronte. I Paesi della Ue hanno deciso di non negoziare separatamente ma collettivamente. La premier italiana, ieri, si è detta favorevole ad accettare tariffe del 10%, ipotesi che vede invece contrari altri Paesi. Ma ha sottolineato che la trattativa non la riguarda direttamente come non riguarda nessun singolo Stato: se ne occupa la Commissione europea.
La pretesa di Trump di imporre a un Paese dazi maggiori che agli altri, se verrà confermata e dato il carattere ondivago del presidente americano non è affatto detto, renderebbe molto difficile se non impossibile un accordo sui dazi di qui al 9 luglio, quando scadrà la “tregua” concessa dal tycoon della casa Bianca. Oltre al riarmo, il solo argomento sul tavolo all’Aja era l’Ucraina. I 32 hanno confermato “pieno sostegno” a Zelensky. I leader di Francia, Germania, Italia, Polonia e Uk hanno incontrato a sessione terminata il presidente ucraino e Rutte, che nel suo discorso aveva bollato la Russia come minaccia per il presente e per il futuro. Zelensky ha poi in agenda il faccia a faccia con Trump. Gli europei hanno assicurato all’ucraino massimo sostegno. Il Consiglio europeo di oggi varerà il diciottesimo pacchetto di sanzioni. Ma su richiesta di Trump il documento finale non parla di aggressione russa e il sì degli Usa a nuove sanzioni non è affatto certo.
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