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Salvini "sabota" il terzo mandato di Zaia per tenersi la Lombardia. Dispetti, incontri mancati con Tajani

Salvini "sabota" il terzo mandato di Zaia per tenersi la Lombardia. Dispetti, incontri mancati con Tajani

Foto LaPresse

Il racconto

FdI annuncia che senza accordo Lega e FI, non vota l'emendamento, che si arena per sempre. Fedriga e Zaia ora ragionano a un ticket, Donzelli rivela. "L'accordo c'era". Storia lunga di un "mandato" che Salvini non vuole

Chi sta sabotando il terzo mandato? Sentite cosa dice al Foglio, Giovanni Donzelli, il responsabile di FdI, la figura di cui Meloni si fida: “Se esco a favore del terzo mandato significa che Meloni è a favore del terzo mandato. Se esco con una dichiarazione sul terzo mandato significa che noi di FdI abbiamo dato prova di lealtà a Luca Zaia. Ma gli altri?”. Salvini è sicuro di aver dato questa prova? Alla domanda: “Segretario, ha fatto tutto, davvero tutto, per ottenere il terzo mandato?”, Salvini è certo di poter rispondere: “Tutto”? Un emendamento indispensabile per la Lega (senza Zaia chi trascina le liste?) viene presentato senza avvisare Zaia, un emendamento fondamentale viene gettato in commissione Affari costituzionali del Senato con una strategia da sbandati. Lo votano, oggi, i leghisti, con il rischio di vederlo bocciato, per sempre, mai più riproposto in Aula. Lo votano senza un ordine preciso, una rotta, ma solo per fare schiuma.

Da mesi, il leader della Lega, Salvini, convoca il Federale del suo partito e dice a Zaia e Fedriga: “Mi sto battendo per voi, per il terzo mandato. E’ Forza Italia che non lo vuole. Sto facendo di tutto”. E’ vero che a opporsi è stato, ed è, Antonio Tajani ma Salvini quando doveva chiedere il “grande favore”, a Forza Italia, come lo ha chiesto? Dice Donzelli in una nota: “Se Lega e FI si mettono d’accordo bene, altrimenti FdI non vota l’emendamento del Senato” e aggiunge, sempre Donzelli, al Foglio: “Noi di FdI abbiamo una parola. Se esco e dico ‘pronti a parlare sul terzo mandato, significa che la posizione è concordata con il vertice del mio partito”.

Accade il 5 giugno ma è una decisione di Meloni dopo telefonate intense con i governatori della Lega. La svolta matura durante l’ultimo Festival delle regioni, a Venezia, ed è un’operazione politica strabiliante: in Campania, Vincenzo De Luca sarebbe pronto a correre ancora e si spacca dunque la sinistra; in Puglia, si guastano i piani ad Antonio Decaro; in Veneto, neppure serve dirlo, Zaia vincerebbe per acclamazione; in FriuliVenezia Giulia, Fedriga può gareggiare in tranquillità. E’ un disegno accurato approvato dalla premier e può consentire a tutta la destra di fare una bella battaglia nelle Marche, la vera regione contesa, in bilico. E’ un disegno che aiuta la Lega ma Salvini vuole sul serio farsi aiutare in Veneto? Si può chiedere “il grande favore” a Tajani come lo ha chiesto lui? Raccontano che a uno dei vertici decisivi, a Palazzo Chigi, anziché presentarsi con tutta la cortesia del mondo, Salvini abbia mandato il ministro Calderoli, che senza dubbio ci mette l’anima, ma non è Salvini. Tajani lo fa notare, lo dice, perché se si negozia tra leader, “si negozia fra leader. Ci deve essere Salvini”.

Spiegano i tecnici del Senato che l’operazione era già al limite con i tempi, una settimana fa, spericolata. Per realizzarla si dovrebbe approvare il ddl al Senato, spostare il ddl, d’urgenza, alla Camera e approvarlo entro l’8 settembre (e già la data racconta tutto). Un’operazione di finissima tecnica parlamentare Salvini la affida invece alla collera e agli sconosciuti del suo partito. Nelle ore difficilissime, quando Tajani andrebbe accarezzato, con dichiarazioni, sostenuto anche sulla politica estera, Salvini gli scatena contro una batteria di parlamentari contro lo ius scholae che è il minimo sindacale che possa chiedere Tajani. Sarebbe bastato consultare la base Lega (il Veneto vale una concessione sullo ius scholae?) e chiunque gli avrebbe risposto: segretario, firma. E’ un’illusione che Zaia possa fare le sue liste, in Veneto, e lo ha già detto FdI: “Se si farà la lista del presidente, e quel presidente alla fine sarà un leghista, non si può certo fare anche la lista dell’ex presidente”.

In quelle ore complesse, il 19 giugno, Salvini chiama il suo responsabile enti locali, Stefano Locatelli, che detto con riguardo nessuno conosce e gli fa chiudere con una nota la partita da cui passa la sopravvivenza di una comunità. Martedì 24 giugno, al Senato, ed è farsa, viene depositato un emendamento con questa strepitosa linea (e sono i leghisti a dirlo): “Se viene bocciato, essendo un testo ‘redigente’, un testo che si vota in Commissione, non può più essere ripresentato. Se lo ritiriamo facciamo la figura degli sbandati”. Salvini è sicuro di poter ripetere: “Ho fatto tutto?”. Zaia dice ai veneti: “Tranquilli. Io un altro lavoro me lo so trovare”. Ed è vero. Meloni gli fa sapere: “Ci conosciamo da così tanto tempo…”. Si conoscono e si rispettano sin da quando FdI era un partito del tre per cento e Zaia era già Zaia. Potrà scegliere la presidenza Eni, o forse di Enel … e chissà quale altra partecipata, ma la Lega in Veneto quanti consiglieri eleggerà? Dicono i parlamentari della Lega alla Camera: “Se va bene, si scende al 10 per cento. Con la lista Zaia si arrivava al 60 per cento”. Cosa faranno gli altri leghisti? Avranno tutti una presidenza ad Arera come si immagina per Laura Ravetto? Al Senato, il capogruppo Romeo, rimane in silenzio, ma ha uno sguardo attento, attentissimo, quando i giornalisti gli dicono: “State abbandonando Zaia pensando di tenere la Lombardia. E’ vero?”. Si sta lentamente lasciando a Zaia e Fedriga la possibilità di fare un ticket, un nuovo partito, il centro che non ha saputo fare il centro, o qualcosa di molto peggio. Si sta lasciando a entrambi, scientificamente, una ragione per incattivirsi e a Salvini la parte del maggiordomo del giallo “Chi ha sabotato il terzo mandato?”.

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