Un’opposizione c’è. Si chiama Matteo Renzi


(foto Ansa)
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Fatti più che retorica. Perché l’ex premier è l’unico che mette il governo in difficoltà
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Matteo Renzi non ha partiti al 20 per cento, non ha folle oceaniche in piazza, non ha talk show garantiti ogni sera. Ma ha una cosa che manca a quasi tutta l’opposizione: fa politica. È l’unico che, con sistematicità e determinazione, costruisce un’opposizione non sulle emozioni, sui moralismi o sugli slogan, ma sull’agenda. E sa scegliere i temi che contano davvero. Da settimane batte il chiodo sull’economia: crescita, attrazione degli investimenti, Ires premiale, giustizia civile, pubblica amministrazione. Temi noiosi? No. Temi veri. Gli stessi che, quando vengono toccati con precisione chirurgica, riescono a mandare in crisi anche le teste d’ariete del governo Meloni, compresi i ministri più capaci. Quando Renzi parla di imprese, di numeri, di riforme, al governo faticano a rispondere. E quando provano a farlo, sbagliano mira.
C’è una scena simbolica che spiega tutto: quella in cui, mentre Meloni si bea dei suoi sondaggi e Schlein si aggrappa alle sue battaglie simboliche, Renzi riesce a guadagnare una pagina di giornale mettendo il dito su una delle poche riforme davvero importanti del governo, quella fiscale, denunciandone il ritardo e la fragilità. Una minoranza senza paura che mette il dito dove fa male. Un esercizio di minoranza vera, non testimoniale. Renzi non cerca di compiacere gli umori della sinistra radicale, non rincorre i populismi, non strizza troppo l’occhio ai social. Vuole tornare a parlare a un’Italia per così dire seria, produttiva, ambiziosa. E mentre gli altri si accontentano di sopravvivere o di farsi perdonare, lui prova a incalzare. Con la malizia, certo, ma anche con un elemento che manca al resto dell'opposizione: la qualità del messaggio. In un’Italia anestetizzata da un’opposizione afona e da un governo che va un po' in tilt quando le critiche pesano, Renzi resta l’unico che riesce a far saltare i nervi a chi governa. Non perché urla, ma perché argomenta. Non perché fa la morale, ma perché conosce le carte. Ed è forse per questo che, anche quando non prende voti, conquista spazio. Fa politica, nel senso pieno del termine. Avercene.
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