Liste d'attesa, verso la pace con le Regioni: ecco come Roma potrà intervenire se le code si allungano

E' pronta a scoppiare la pace tra il Governo e le Regioni sul terreno minato delle liste d'attesa: si sblocca il decreto sui poteri sostitutivi, le misure che prevedono fino a dove si può spingere l'intervento di Roma quando a livello locale, come troppo spesso accade, non funzionano le cose e i cittadini sono costretti ad attese infinite per visite ed esami di cui hanno bisogno. Il decreto - un Dpcm - aveva acceso nelle settimane scorse un duro scontro istituzionale in particolare con il ministro della Salute Orazio Schillaci stufo dei rinvii delle Regioni che avevano bloccato questo importante passaggio necessario a dare attuazione al piano sulle liste d'attesa approvato ormai quasi un anno fa dal Governo, alla vigilia delle elezioni europee, e ancora in buona parte al palo.
Oggi i governatori che avevano congelato questo Dpcm perché “colpevole” di invadere le loro competenze con lo spauracchio del commissariamento daranno, a meno di sorprese dell'ultima ora, l'intesa in una Conferenza straordinaria delle Regioni. Anche grazie al pressing del Quirinale - “in Sanità essenziale la collaborazione tra Governo e Regioni”, le parole di Mattarella un paio di settimane fa- invece del muro contro muro (il Governo aveva pensato di approvare il Dpcm senza l'intesa delle Regioni) si è arrivati a un compromesso che dovrebbe accontentare tutti: il nodo centrale ruota attorno al ruolo dell'Organismo di verifica e controllo sull'assistenza sanitaria istituito presso il ministero della Salute che nei casi delle inadempienze più gravi può intervenire al posto delle Regioni. Nella “riscrittura” del decreto il ministero concederà più tempo per mettersi in regola - si va dalla nomina del Responsabile unico regionale dell'assistenza sanitaria alla messa a terra delle misure anti liste d'attesa come Cup e agende uniche per le prenotazioni fino al meccanismo salta code - con l'assegnazione di termini di 60-90 giorni per “eliminare le criticità”.
Intanto le lunghe liste d'attesa hanno costretto ben 4 milioni di italiani, pari al 7% della popolazione, a rinunciare alle prestazioni sanitarie. A ricordalo è stata la Fondazione Gimbe citando i dati pubblicati dall'Istat lo scorso 21 maggio: l'Istituto di statistica ha stimato infatti che l'anno scorso un italiano su dieci (9,9%), in pratica quasi 6 milioni di cittadini, ha riferito di avere rinunciato a visite o esami specialistici, principalmente a causa delle lunghe liste di attesa e per la difficoltà di pagare le prestazioni sanitarie. In particolare la quota di popolazione che dichiara di aver rinunciato alle prestazioni sanitarie per le liste d'attesa troppo lunghe è passata dal 4,2% del 2022 (2,5 milioni di persone) al 4,5% del 2023 (2,7 milioni), fino a schizzare al 6,8% nel 2024 (4 milioni, +51% rispetto al 2023). Anche le difficoltà economiche continuano a pesare, e riguardano il 5,3% della popolazione nel 2024 (3,1 milioni). “Negli ultimi due anni - avverte Nino Cartabellotta presidente di Gimbe- il fenomeno della rinuncia alle prestazioni non solo è cresciuto, ma coinvolge l'intero Paese. Il vero problema non è più, o almeno non è soltanto, il portafoglio dei cittadini, ma la capacità del Ssn di garantire le prestazioni in tempi compatibili con i bisogni di salute”.
ilsole24ore