Medioevale, pesante e più sanguinario che mai. Doom Slayer è tornato

Doom Slayer è medioevale e postmoderno. Non è il ginnasta di Doom Eternal, è pesante e metallico, un carro armato sanguinario e truculento. Doom: The Dark Ages, il nuovo capitolo del franchise di id Software nato nel 1993, si avvicina alle origini. I fan della prima ora se ne accorgeranno subito. Doom, storicamente, è lo sparatutto più frenetico, esagerato e splatter, forse il più autoironico. Lo «strappa e squarcia» è quello del periodo d’oro, l’estetica è dark e minimalista – fin troppo, forse – e la prospettiva è quella di rimettere in linea le lore della serie per raccontare, anche in modo cinematografico ispirato, la storia e le vicende che accompagnano il Doom Slayer. Piacerà moltissimo ai veri appassionati.

Corri e salti armato fino ai denti, sparando come se non ci fosse un domani. Maciulli demoni in attesa di ridurli a pezzi in un lago di sangue. Doom non è un videogioco per sofisticati, ma non è uno sparatutto stupido. Affatto. Il sistema di combattimento non è articolato, ma va dominato ed è, in fondo, vario. Chi vi scrive non ha amato l’approccio platform di Doom Eternal, ma è uno che si annoia a vincere sempre allo stesso modo. Ecco, con Doom non c’è un’arma o una tattica che valga sempre e per tutte le mappe.
Lo scudo-motosega, il guanto d’arme elettrificato e la mazza chiodata. Più di tutti, la mazza chiodata, anche perché è lo stilema di questo Doom: The Dark Ages. Mi è piaciuto perché è un “tank” naturale. E poi perché ritrovare viscere e pezzi di cervello lungo la tua strada mi riporta a quando ero più giovane.
Che forse non aveva voglia di tornare così indietro nel tempo. I prequel hanno sempre il limite di non svelare mai molto rispetto alla trama principale. Questo Doom, che è tra i più narrativi della serie, è quello che racconta di più le lore, anche se non se ne sentiva troppo il bisogno.
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