Michela Marinelli e la scienza della dipendenza: «Le droghe cambiano, i danni aumentano»

Spiegarla con la sola volontà significa ignorare la scienza. La tossicodipendenza è una condizione complessa, con radici nell’età, nello stress, nella genetica, nelle esperienze precoci (anche prenatali). Nei più giovani si intreccia a un aspetto poco conosciuto: l’incapacità del cervello adolescente di imparare dalle punizioni. Lo dimostrano gli studi di Michela Marinelli, neuroscienziata italiana presso l’University of Texas ad Austin che ha dedicato la sua vita alla ricerca sulle tossicodipendenze e agli studi sui neuroni dopaminergici. «Durante una punizione, quei neuroni dovrebbero fermarsi per un istante. È quella pausa che ci insegna a non ripetere un errore. Ma negli adolescenti spesso quella pausa non c’è. Non è ribellione. È neurobiologia».
Dietro la scienziata c’è la storia di una donna che si muove per amore della verità, che ha lasciato l’Italia perché non tollera arroganza ed egocentrismo, e che ha adottato un bambino, figlio di due tossicodipendenti, oggi adolescente a rischio. «Negli Stati Uniti si parla di substance use disorder, ma io preferisco chiamarla addiction. La parola deriva dal latino addictum, Chi non riusciva a restituire un debito veniva assegnato, ad dictum, a chi ne reclamava il pagamento, diventandone schiavo. La dipendenza funziona così: qualcosa prende il controllo, e tu smetti di decidere».
Marinelli studia ciò che accade nel cervello facendo ricerca sui ratti. Ha pubblicato numerosi studi e ha ricevuto fondi dal National Institute on Drug Abuse (NIDA). Nel 2024 è stata eletta tra i 5 migliori “Rigor Champions” americani, ossia tra ii ricercatori noti per il loro rigore metodologico.
Romana, laurea in farmacia a La Sapienza, tesi sul ruolo degli ormoni nello stress, dottorato in neuroscienze a Bordeaux e un postdoc a North Chicago. Michela Marinelli ha costruito la sua traiettoria tra Europa e Stati Uniti.
«Dopo la laurea in Italia in università mi hanno proposto un posto da tecnico non laureato. “Dai prenditi quel posto, è quello che c’è”, mi dicevano. Mi sono opposta, non ho accettato e sono partita prima per il dottorato in Francia e poi per un postdoct alla North Park University negli Stati Uniti».
Da North Chicago va in California, per la presentazione di una sua ricerca. È lì che conosce l’uomo che diventerà poi il suo futuro marito, neurologo alla UCSF University of California a San Francisco), laureato a Stanford, esperto di alcolismo. Oggi Marinelli vive ad Austin, dirige un laboratorio indipendente e in questo momento insegna come si fa ricerca in modo corretto.
Stress e adolescenza, secondo i suoi studi, sono le due variabili da considerare nelle tossicodipendenze. Partiamo dallo stress. «Le condizioni di stress e di estrema difficoltà, come la povertà, l’assenza di una casa, la mancanza di cibo cambiano il cervello e lo mettono in uno stato più predisposto all’uso di droga e alle ricadute». L’attività dei neuroni dopaminergici, che Marinelli misura direttamente con elettrodi impiantati nel cervello, aumenta. «Più elevata è, più vulnerabili diventiamo». E aggiunge: «Lo stress rende il cervello più sensibile alla ricompensa immediata e meno reattivo agli effetti inibitori della punizione. Stressare una persona tossicodipendente non ha senso dal punto neurobiologico: la spinge a cercare ancora più droga».
Un altro importante studio di Marinelli riguarda l’adolescenza. «Gli adolescenti sono predisposti ad assumere droga. Una volta esposti, imparano a gestire peggio l’assunzione, ne aumentano il consumo e, se qualcuno alza il prezzo, non si tirano indietro. Per un adulto, invece, se per esempio aumenti il prezzo delle sigarette, se lo punisci o se rendi più difficile l’accesso, tende a ridurre il consumo. Ma per gli adolescenti non funziona così. Anzi».
Nel frattempo, la scienza si intreccia con la vita. Marinelli ha adottato il figlio di due persone tossicodipendenti. «Non so se lo sto salvando». Poi spiega perché. «Ho condotto una ricerca su ciò che negli Stati Uniti viene chiamato harm reduction, la riduzione del danno. Politiche, programmi e pratiche che mirano a minimizzare gli impatti negativi sulla salute. Significa siringhe pulite e naloxone in tasca: così, se qualcuno ha un’overdose, può usarlo. Ho chiesto ad alcuni genitori: “Siete d’accordo con la harm reduction?” Tutti mi hanno risposto: “Certo, certo”». Ma poi la domanda cambia. «Nella seconda parte del questionario ho chiesto loro: “Gliene parleresti a tuo figlio o ne hai mai parlato?” Quando la questione diventa personale, tutti rispondono: “No, mio figlio no, non deve”. E io mi ritrovo esattamente in questa posizione. A rifare tutte le cose che so benissimo non funzionare».
C’è una verità che dovremmo sapere. «Noi pensiamo con il nostro cervello e cerchiamo di applicare quel modo di pensare a cervelli che funzionano in modo profondamente diverso. La cosa più importante da comprendere è proprio questa: il cervello non funziona allo stesso modo per tutti.
Se una persona è adolescente, ha una vulnerabilità biologica, oppure vive una condizione di forte stress, il suo cervello risponde in maniera diversa. Pretendere da lei un comportamento “normale” è come dire a una persona su una sedia a rotelle: “Alzati e cammina”. Non può farlo, semplicemente.Eppure continuiamo a costruire politiche, leggi, approcci che ignorano questa realtà. Cambiarli sarebbe fondamentale, ma è difficilissimo.Io stessa, che studio questi meccanismi da anni, non sempre ci riesco. Lo vedo come madre, non solo come scienziata. Abbiamo una mente pronta a giudicare gli altri, ma quando si tratta di noi o dei nostri figli, tutto cambia. È doloroso ammetterlo, ma è così».
Nel futuro di Micky Marinelli non c’è l’Italia. Perché?«Sono molto sensibile a certe cose che non ho ancora superato.Da bambina mi dicevano: “Tu devi parlare solo quando fanno pipì le galline”. Che vuol dire? Che non devi parlare mai. Anche oggi, quando alle poste qualcuno dice: “C’è un mio amico, mi fa passare davanti?”, io non lo sopporto.A quel tempo, quando qualcuno vinceva borse studio in Italia e in Francia, si sentiva dire: “Vedi come ti abbiamo preparato bene, che pedigree ti diamo?” Come se il merito appartenesse sempre al sistema. Quando sono approdata in America e ho vinto premi e riconoscimenti, tutto è cambiato. I professori mi dicevano: “Il merito è tuo. Tu lavori con me, non per me”. Mi si è aperto un mondo. Un altro modo di pensare e di fare ricerca».Quel mondo nuovo, più orizzontale e meritocratico, Michela Marinelli ha scelto di abitarlo.
La droga è molto diffusa oggi?«Sì e soprattutto è molto più forte, a partire dalla marijuana. C’è di più. Ora producono droghe sintetiche in continuazione. Non facciamo in tempo a capire come funzionano, né a creare leggi per bloccarle, che ne hanno già inventata un’altra. Vedo la droga un po’ come la guerra.Una volta si combatteva con le mani, con la clava, con le pietre. Poi sono arrivati i pugnali, poi hanno inventato la polvere da sparo, i fucili, e oggi c’è la guerra nucleare. È sempre guerra, ma i danni sono molto diversi: dal bastone alla bomba atomica. Con la droga è la stessa cosa. Prima uno magari masticava le foglie di coca. Ora fuma il crack».
Che cosa hai imparato nella sua vita, nella sua carriera?«A essere il più indipendente possibile. A non contare sugli altri, ma al tempo stesso, ad aprirmi alle collaborazioni, ai punti di vista diversi, alla possibilità di cambiare idea, di espandere il pensiero. Ho visto scoppiare l’innovazione ogni volta che qualcuno con un background diverso si aggiungeva al gruppo».
A muoverla è l’amore per la verità. «Una delle prime frasi che ho detto da bambina è: “Non ci credo”. Non credo a tante cose. Ma trovare la verità e risolvere un problema è ciò a cui ho, e continuerò a dedicare, la mia vita».
La Repubblica