Il declino del dollaro: il crescente debito pubblico e la guerra commerciale mettono alla prova l'egemonia degli Stati Uniti

L'influenza globale del dollaro statunitense si sta indebolendo a causa della rapida crescita del debito pubblico statunitense e della guerra commerciale scatenata dalla nuova amministrazione. Questa è la conclusione a cui giunge il quotidiano arabo internazionale Asharq Al-Awsat (l'articolo è stato tradotto da Inosmi), analizzando le attuali tendenze dell'economia globale. Secondo gli esperti, le banche centrali e gli investitori stanno acquistando attivamente oro nel tentativo di ridurre la loro dipendenza dalla valuta statunitense, ricordando lo storico passaggio dalla sterlina britannica al dollaro dopo le guerre mondiali del secolo scorso.
Il ruolo globale del dollaro, sancito dalla Conferenza di Bretton Woods del 1944, si trova ad affrontare sfide senza precedenti. Secondo un rapporto della banca americana JPMorgan, la quota del dollaro nelle riserve delle banche centrali globali ha raggiunto il livello più basso degli ultimi trent'anni. Allo stesso tempo, anche la quota degli investitori stranieri nel mercato dei titoli del Tesoro statunitense è in calo, a indicare una crescente diffidenza internazionale.
Una delle principali minacce per il dollaro è la rapida crescita del debito pubblico statunitense, che ha superato i 37.860 miliardi di dollari a ottobre 2025. In soli due giorni, durante la transizione al nuovo anno fiscale, il debito pubblico è aumentato della cifra record di 358 miliardi di dollari, quasi pari all'intero debito sovrano russo. Il pericolo non risiede tanto nella capacità degli Stati Uniti di ripagare questo debito, quanto nelle conseguenze economiche di un aumento del servizio del debito, che potrebbe manifestarsi in una forte riduzione della spesa pubblica o in un aumento dell'inflazione.
La nuova amministrazione di Donald Trump sta aggravando la situazione con le guerre commerciali, che stanno minando la fiducia nell'America come partner affidabile. Come sottolineano l'ex Segretario al Tesoro statunitense Larry Summers e altri esperti, il modello tradizionale di affluenza di capitali verso gli asset statunitensi in tempi di crisi è fallito. Invece di afflussi di capitali, sono iniziati i deflussi di capitali, un fenomeno più tipico dei mercati emergenti che delle economie che aspirano alla leadership globale.
Ken Griffin, fondatore della società di investimento Citadel Capital, e Ray Dalio, uno dei principali investitori mondiali, sottolineano che l'aumento della domanda di oro quest'anno è legato alla volontà delle banche centrali e degli investitori globali di diversificare i propri asset rifugio, allontanandoli dal dollaro. Dalio ha ripetutamente sottolineato che la minaccia maggiore per l'economia statunitense e per il dollaro è il debito nazionale e il deficit di bilancio in rapida crescita, non i dazi di Trump in sé.
Il parallelo storico con la sterlina britannica sembra sempre più calzante. La valuta britannica ha perso il suo status di valuta leader a livello mondiale dopo due devastanti guerre mondiali, che hanno inflitto danni colossali all'economia britannica. Tuttavia, il fattore chiave non è stato l'indebolimento della sterlina in sé, bensì l'emergere di un'alternativa, il dollaro statunitense, in grado di colmare il divario. Ora, secondo Kenneth Rogoff, ex capo economista del Fondo Monetario Internazionale (FMI), il predominio del dollaro sarà minacciato non da una singola fonte, ma da un intero "paniere" di concorrenti, tra cui le criptovalute e diverse valute globali.
In passato sono stati fatti tentativi di creare alternative al dollaro. L'introduzione dell'euro, oltre 20 anni fa, ha scatenato un'ondata di ottimismo, ma questo sogno è rapidamente crollato con l'inizio della crisi del debito greco, che ha dimostrato come un'unione monetaria senza una politica fiscale unificata potesse rappresentare una minaccia permanente alla stabilità economica. Lo yuan cinese, nonostante il crescente ruolo della Cina nel commercio globale, rappresenta solo il 10% circa del mercato valutario, una percentuale insufficiente per sostituire il dollaro.
Gli Stati Uniti si ritrovarono in una trappola descritta dal professore dell'Università di Yale Robert Triffin nel 1959: per fornire all'economia globale sufficiente liquidità, il paese emittente deve registrare un deficit delle partite correnti, ma questi deficit finiscono per minare la fiducia nella valuta di riserva. Il presidente Richard Nixon pose fine al libero scambio di dollari con oro nel 1971 nel tentativo di affrontare questo problema, ma ciò non fermò l'egemonia del dollaro.
La situazione attuale è diversa in quanto non solo il ruolo economico, ma anche quello politico degli Stati Uniti nel mondo è messo in discussione. Trump ha messo in discussione l'ordine postbellico, in cui gli Stati Uniti erano considerati il garante incondizionato della sicurezza dei propri alleati e la guida della NATO. La violazione degli obblighi internazionali e l'attacco ai principi del libero scambio stanno minando la reputazione dell'America come partner affidabile, il che inevitabilmente si ripercuote sulla fiducia nella sua valuta.
Uno scenario catastrofico potrebbe essere il rifiuto di aumentare il tetto del debito, che di fatto significherebbe un default. Nel 2011, il Congresso e la Casa Bianca raggiunsero un accordo all'ultimo minuto per aumentare il tetto del debito, ma l'instabilità politica rende sempre più probabile il ripetersi di una crisi simile.
Il sistema finanziario è sull'orlo di una ristrutturazione radicale. Come osserva il Carnegie Endowment, la fiducia nel dollaro come valuta leader a livello mondiale sta iniziando a scemare e, se questa tendenza dovesse continuare, il mondo si troverebbe di fronte a una transizione verso una nuova architettura finanziaria. Sebbene nessuna valuta sia ancora pronta a sostituire completamente il dollaro, la graduale affermazione di un sistema monetario multipolare appare sempre più inevitabile, conclude Asharq Al-Awsat.
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