Perché manifestiamo per la Palestina ma non per l’Ucraina: Putin come Netanyahu e le promesse dell’Occidente

Perché nessuno scende in piazza?
Se la sinistra manifestasse almeno una volta al mese contro la brutale guerra di aggressione putiniana, ed esponesse le bandiere ucraine sui balconi, delegittimerebbe ogni pretesa da parte di Putin di sentirsi dalla parte dell’“antifascismo” e testimonierebbe una prossimità alla popolazione russa

Per mesi, a sabati alterni, sfilava sotto casa mia (a Roma, Piramide) un corteo proPal, punteggiato da bandiere palestinesi. In primavera la bandiera palestinese venne esposta in tanti balconi della capitale, ma già si era vista allo stadio Olimpico. In seguito è riaffiorata a Napoli durante i festeggiamenti per lo scudetto.
L’altra settimana capito per caso in un resort umbro: la bandiera palestinese sventolava ai bordi della piscina! Un brand onnipresente, “identitario”, che testimonia una lodevole sensibilità verso la geopolitica internazionale. Ma possibile che la bandiera ucraina non sventoli da nessuna parte? Tra un po’ tenterò di dare una mia risposta. Eppure Putin nel febbraio del 2022 ha invaso un paese libero e indipendente portando la guerra nel cuore dell’Europa, e – come Netanyahu – colpisce con missili e droni scuole, ospedali, edifici, gente che cammina per strada, etc. (è vero, fa un po’ meno morti….). Per caso crediamo alle sfrontate bullshit di Putin – arciconvinto che l’Ucraina non esista, che sia solo una invenzione di Lenin – sul presunto colpo di stato finanziato dalla Nato e sulla per lui necessaria denazificazione del paese?
Proprio intorno alla rivolta antiautoritaria ucraina di Euromaidan (del 21 novembre 2013) è uscito un utile libro, della storica Marci Shore – La notte ucraina (Castelvecchi). Nella bellissima introduzione la filosofa femminista Olivia Guaraldi ci ricorda che quella rivolta popolare, tanto simile alla sollevazione ungherese del 1956, è stata una reazione spontanea ad anni di mortificazione, umiliazione, oppressione ideologica e militare da parte di una potenza straniera (per Budapest l’Unione Sovietica, per Kiev la Russia). Ed evoca la categoria usata da Hannah Arendt di “imperialismo totalitario”, diverso da quello degli stati-nazione europei ma non meno minaccioso. Eppure Euromaidan, gioioso spazio democratico di contestazione, e soprattutto rivoluzione dal basso priva di schemi ideologici pregressi e di avanguardie di partito che la guidavano, non riscalda i cuori della nostra sinistra. Qualcuno ancora pensa che, in fondo, gli ucraini – accecati dal loro ipernazionalismo – siano tutti fascisti, e riducibili al Battaglione Azov! Basterebbe però leggersi i libri dello storico Andrea Graziosi, forse il maggiore esperto di quella regione, per capire che l’identità ucraina moderna, costruita su un genocidio – 4 milioni di ucraini fatti morire da Stalin negli anni ‘20 – ha una “naturale” apertura verso altri popoli sofferenti e oppressi.
Si potrebbe obiettare che in genere si manifesta contro paesi amici, e alleati (Israele), non contro paesi nemici. E ancor meglio se manifestando si fa pressione sul proprio governo per costringerlo a scelte diverse di politica estera. Riformulerei la questione. Ad essere “nemici” non sono mai gli altri popoli, ma solo i regimi. E ha senso manifestare pubblicamente la nostra inimicizia verso regimi che giudichiamo criminali per dimostrare la nostra amicizia verso i popoli oppressi da quei regimi. Quando tre anni fa Mahsa Amini fu assassinata dalla Polizia Morale iraniana per non aver indossato il velo, le piazze delle capitali europee vennero invase da manifestanti che chiedevano la capitolazione degli Ayatollah. Se oggi la sinistra italiana manifestasse almeno una volta al mese contro la brutale guerra di aggressione putiniana, ed esponesse le bandiere ucraine sui balconi, ciò costituirebbe un segnale importante: delegittimerebbe qualsiasi pretesa da parte di Putin di sentirsi dalla parte dell’ “antifascismo” e testimonierebbe una prossimità alla stessa popolazione russa.
Certo che siamo tutti per la pace, come lo è anzitutto l’Ucraina, colpita da una guerra che non voleva, e che oggi stremata, martoriata, chiede il cessate il fuoco immediato dei bombardamenti sulle infrastrutture civili. Ma se il cessate il fuoco non viene rispettato dalla Russia credete davvero che indebolire la vittima possa aiutare la pace? Questo giornale tempo fa fece un bel titolo in prima pagina: “La dignità della resa”. Un’idea nobilissima e controcorrente, che potrebbe evocare l’umanesimo di Erasmo (“meglio una pace ingiusta che una guerra giusta”). Ma una resa non può essere incondizionata sottomissione al prepotente, come puntualizzò Mattarella. Tutta la nostra storia politica, tutto il nostro antifascismo dovrebbero oggi farci sostenere Zelensky (che pure ha commesso molti errori) e la sua resistenza armata all’aggressore.
Se i partigiani nel ’43 avessero sospeso i combattimenti al Nord per evitare altri morti e ulteriori rappresaglie (e avessero deciso, magari ispirati dalla morale evangelica, di non aggiungere male al male), limitandosi ad aspettare l’arrivo imminente degli Alleati, avrebbero forse aiutato la causa della pace? Un popolo che resiste all’invasore rafforza la propria autostima e si presenta al tavolo delle trattative più forte. Nel suo discorso del 2004 sul D-Day Ratzinger volle rifiutare un irresponsabile pacifismo assoluto, che abbandonerebbe il mondo al diktat della violenza. Ribadendo il nesso tra pace e giustizia, dichiarò che “la difesa del diritto in certe circostanze può e deve far ricorso a una forza commisurata”. Come scrisse Vittorio Foa negli anni ’30 e ‘40 i pacifisti erano il nemico: intendevano disarmare la resistenza al fascismo. Spesso il pacifismo si riduce ad accettare la forza del più forte. E infatti oggi pone limiti di ogni tipo a un paese invaso come l’Ucraina, che pure avrebbe tutto il diritto di colpire le basi russe oltreconfine da cui partono gli attacchi alle proprie città.
Personalmente mi sento più dalla parte di Ratzinger e Mattarella (che non sono due pericolosi guerrafondai), ma anche chi – dopo aver sostenuto tutti i fronti di liberazione nel mondo – si è convertito a un pacifismo assoluto, o meglio alla nonviolenza attiva di un “combattente” come fu Aldo Capitini, dovrebbe oggi mettere sul balcone la bandiera ucraina. Perché non lo fa? Credo a causa di un apriori ideologico che grava sulla nostra sinistra: un inestirpabile antioccidentalismo (la Russia di Putin, benché autocrazia populista dai tratti sanguinari, comunque non fa parte dell’Occidente!). Ora, l’Occidente nella sua storia si è macchiato di gravi crimini però contiene una promessa (di libertà, di inclusività) che non può mai rinnegare del tutto. L’Occidente reale non coincide certo con l’Occidente dei valori, tuttavia da esso è continuamente messo in questione. Esporre la bandiera gialloblu degli ucraini significa appellarsi a quella promessa, persino per proteggere la fragile democrazia di quel paese.
l'Unità