Raid israeliano su Damasco: il fragile dopoguerra siriano implode

Dalla giornata di domenica sono ripresi intensi scontri a Suwayda tra milizie druse e combattenti beduini, questi ultimi sostenuti dal nuovo governo siriano. Di fronte al deteriorarsi della situazione, Damasco avrebbe annunciato l’intenzione di intervenire per ristabilire l’ordine. Tuttavia, l’intervento militare israeliano sembra aver colto al volo l’occasione per affermare un proprio ruolo diretto nel conflitto, dichiarando ufficialmente di voler proteggere la comunità drusa, ma agendo con ogni evidenza perché non ritiene affidabile né imparziale il nuovo esecutivo di Damasco.
Il pomeriggio del 16 luglio 2025 è stato segnato da un’escalation improvvisa e drammatica: l’aviazione israeliana ha colpito Damasco con una serie di raid mirati, centrando il Palazzo del Popolo, dove risiede il presidente ad interim Ahmed al-Sharaa, un’ala del Ministero della Difesa e il quartier generale dello Stato Maggiore, situato in Piazza degli Omayyadi.
#Israele apre un nuovo fronte con la #Siria in difesa della minoranza drusa. L’esercito di #TelAviv ha lanciato oggi una dura offensiva su #Damasco: colpiti il Ministero della Difesa e le aree adiacenti al palazzo presidenziale. Almeno un morto e diversi feriti. pic.twitter.com/UxYUzbibW8
— Tg1 (@Tg1Rai) July 16, 2025
Secondo fonti siriane, gli attacchi hanno provocato almeno tre morti e trentaquattro feriti, ma il bilancio potrebbe aggravarsi nelle prossime ore. I missili e i droni utilizzati hanno causato esplosioni trasmesse in diretta dalla televisione pubblica SyriaTV, dove una conduttrice è stata sorpresa in diretta dal boato. Il video è stato subito rilanciato dal ministro della Difesa israeliano Israel Katz, che ha commentato: «I colpi più duri sono appena iniziati», lasciando presagire ulteriori operazioni militari.
Dichiarazioni ufficiali israelianeTel Aviv ha giustificato l’attacco come un’azione difensiva destinata a proteggere la minoranza drusa in Siria, che da giorni è sotto assedio nella regione di Suwayda, al confine meridionale. Il governo israeliano ha anche espresso il timore che le forze del nuovo governo siriano si stiano avvicinando a una zona ritenuta strategica da Israele, ovvero il confine con le Alture del Golan, che è formalmente una zona smilitarizzata.
Il primo ministro Benjamin Netanyahu ha rivolto un appello alla comunità drusa israeliana, chiedendo di non attraversare il confine per sostenere i parenti siriani coinvolti nei combattimenti. In un tono solenne ha promesso che Israele «non abbandonerà i nostri fratelli drusi», ribadendo la volontà di difendere la sicurezza collettiva della comunità drusa, sia dentro che fuori i confini dello Stato.
Il ministro della Sicurezza israeliano Itamar Ben-Gvir ha affermato:“Una volta jihadista, per sempre jihadista. Chiunque uccida, umili, stupri, non dovrebbe trattare. L’unica cosa da fare con Al-Giolani è eliminarlo. Amo i cittadini drusi dello Stato di Israele e dico loro: dobbiamo eliminare la testa del serpente.”Ha inoltre ribadito che la priorità è proteggere i drusi e impedire la presenza siriana nella regione di Suwayda, nonostante gli avvertimenti israeliani.
Suwayda: il massacro invisibileNel frattempo, nella regione di Suwayda, si è consumata una tragedia umanitaria di proporzioni immani. Gli scontri tra gruppi drusi, forze governative siriane e milizie beduine hanno provocato oltre trecento morti. Tra le vittime figurano almeno settantuno civili drusi, centocinquantasei membri delle forze di sicurezza siriane e diciotto combattenti delle tribù beduine.
Gli scontri hanno devastato la regione, lasciando decine di villaggi senza elettricità né acqua potabile. L’ospedale principale di Suwayda è stato bombardato e i pazienti sono stati evacuati d’urgenza. Numerose famiglie sono in fuga, in un clima di paura generalizzata.
Un cessate il fuoco annunciato il 16 luglio dal leader druso Yousef Jarbou non ha tenuto, così come era fallito il precedente accordo firmato solo pochi giorni prima. Rimane il sospetto che non tutti i gruppi drusi siano allineati con l’intesa, e Israele ha già fatto intendere di non avere fiducia nella tenuta dell’accordo, dato il coinvolgimento delle forze governative siriane nell’area.
Chi è Ahmed al-Sharaa?Il presidente ad interim Ahmed al-Sharaa, insediatosi dopo la caduta di Bashar al-Assad nel dicembre 2024, è un personaggio controverso. Ex comandante di una milizia islamista moderata, si è riciclato come figura istituzionale in un tentativo di mediazione tra laici e religiosi, ma il suo governo è fragile e frammentato. Manca di autorità effettiva in ampie porzioni del territorio nazionale e non è in grado di garantire l’ordine pubblico, soprattutto in aree periferiche come Suwayda o Daraa.
Fonti di Al Jazeera riferiscono che al-Sharaa sta cercando disperatamente di consolidare il controllo, ma le sue basi di potere sono fragili. In molti ambienti israeliani si teme che dietro la sua apparente moderazione si celi un progetto islamista radicale, e alcuni post su X insinuano addirittura che il nuovo governo sia frutto di un precedente sostegno occidentale, poi degenerato. Tuttavia, queste affermazioni restano speculative e non confermate da fonti ufficiali.
Perché Israele difende i drusi?Il legame tra Israele e la comunità drusa non è casuale, né recente. In Israele vivono circa 150.000 drusi, perfettamente integrati nella società e nelle istituzioni: servono nell’esercito, partecipano alla vita politica e rappresentano una componente leale dello Stato. In particolare, la comunità drusa nelle Alture del Golan ha mantenuto per anni una doppia fedeltà culturale e religiosa, ma in molti casi ha scelto la cittadinanza israeliana.
Lo sceicco Mowafaq Tarif, massima autorità spirituale dei drusi in Israele, ha chiesto un’azione immediata per proteggere i civili a Suwayda. Israele, quindi, ha un interesse diretto, sia militare che politico, nel garantire la sopravvivenza della comunità drusa in Siria, considerata non solo una minoranza da difendere, ma anche un cuscinetto strategico al confine con un regime siriano percepito come ostile.
Reazioni internazionaliLe reazioni globali non si sono fatte attendere. L’Unione Europea ha condannato le violenze a Suwayda e gli attacchi israeliani su Damasco, invocando il rispetto della sovranità siriana e la cessazione immediata dei combattimenti. Il Segretario Generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, ha chiesto la protezione dei civili e una de-escalation immediata del conflitto.
Da parte sua, la Turchia ha accusato Israele di destabilizzare la Siria e di voler sfruttare la crisi per consolidare il proprio controllo militare al confine. Le fonti russe, come Pravda Italia, descrivono gli attacchi israeliani come parte di una strategia di contenimento regionale, ma evitano di sbilanciarsi a causa del ridimensionamento della presenza russa in Siria, dopo la caduta di Assad. Nessuna dichiarazione ufficiale è giunta dal Cremlino.
Il disastro post-Assad: una Siria a pezziAssad era un laico che, pur tra contraddizioni e pressioni interne/esterne, consentiva la convivenza di cristiani, drusi e altre minoranze. Ora, sostiene, il “tagliagole” al-Jolani (al Shaara), già considerato terrorista, è paradossalmente passato per una fase di accreditamento internazionale e oggi viene bombardato dagli stessi attori che lo avevano tollerato o sostenuto.
Dopo la caduta di Assad, nulla è migliorato. Anzi, la Siria è oggi più fragile e frammentata che mai. L’apparente successo del cambio di regime ha lasciato spazio al caos: le istituzioni sono collassate, le minoranze religiose non sono più protette, e le milizie settarie si contendono il territorio. Le forze armate siriane, decimate e disorganizzate, non riescono a garantire sicurezza nemmeno nelle grandi città.
Il governo al-Sharaa si dimostra incapace di esercitare un’autorità reale, e la Siria è ormai una mappa di zone d’influenza: a nord la Turchia, a est gli USA, a sud Israele, e al centro solo rovine. In questo scenario, i drusi, che sotto Assad avevano mantenuto una fragile autonomia, sono diventati bersagli facili, mentre l’intervento israeliano aggrava ulteriormente le divisioni interne.
Guerra dentro la guerraIl bombardamento israeliano su Damasco del 16 luglio rappresenta una svolta drammatica non solo per la gravità dell’attacco — che ha colpito per la prima volta direttamente il palazzo presidenziale e i vertici militari — ma soprattutto perché segna il fallimento del fragile ordine imposto dopo la caduta di Bashar al-Assad.
L’invocazione israeliana alla difesa dei drusi appare sempre più come un pretesto per agire militarmente, mentre in realtà si intreccia con interessi geopolitici ben più ampi, volti a impedire qualunque forma di ricomposizione nazionale in Siria. Il cessate il fuoco a Suwayda è estremamente instabile e la Siria si ritrova sull’orlo di una nuova spirale di violenza, alimentata da logiche settarie e dalla frammentazione del potere.
Va sottolineato un fatto cruciale: mai, in oltre dieci anni di conflitto, Israele aveva colpito il palazzo presidenziale siriano. Questo attacco senza precedenti segnala chiaramente un giudizio di sfiducia radicale verso i nuovi governanti: Tel Aviv considera la nuova leadership non solo meno affidabile di Assad, ma persino più pericolosa sul piano del controllo territoriale e della stabilità regionale.
Sotto la guida di Bashar al-Assad — pur tra enormi pressioni interne ed esterne — la Siria aveva mantenuto un’unità statuale, garantito la convivenza tra minoranze e impedito il tracollo definitivo del Paese. Oggi, invece, la Siria è spezzata, abbandonata e ridotta a terreno di scontro tra potenze esterne, dove la pace è un miraggio e la ricostruzione un concetto vuoto.
Che proprio ora, in mezzo a questo disastro annunciato, i principali governi europei abbiano riconosciuto senza riserve l’attuale leadership siriana, accreditandola come partner “moderato”, è una contraddizione clamorosa. Più che una scelta diplomatica, sembra una scelta ideologica alla logica della destabilizzazione permanente, prefigurando una nuova situazione libica dopo la ‘cura’ NATO.
Prima degli attacchi ai drusi: massacri contro gli alawitiNegli ultimi mesi, prima delle ‘punizioni ed umiliazioni’ ai drusi si è diffusa una carte violenta e inquietante, con l’esecuzione extragiudiziale indiscriminata di migliaia di appartenenti alla comunità alawita, solo perchè è il gruppo etnico a cui appartiene Assad. Le autorità siriane, tra marzo e aprile, hanno posto in atto vere e proprie pulizie etniche sulla costa alawita. Fonti come il SOHR e il Syrian Network for Human Rights stimano oltre 1.600 civili uccisi in un’ondata di violenza mirata, che ha compreso torture, esecuzioni sommaria e saccheggi selettivi (). Secondo Reuters, al ritmo di centinaia di alawiti vengono uccisi o arrestati a ogni nuova epurazione . Questa spirale di violenza conferma come la Siria post-Assad sia davvero preda del caos settario, dove le minoranze sono nuovamente esposte alla furia vendicativa in assenza di uno stato capace di garantire sicurezza e giustizia.
vietatoparlare