I giovani hanno fiducia nella ricerca clinica, anche se non la conoscono bene

Grande fiducia nella ricerca clinica, nella sua capacità da qui a 5 anni di trovare una cura per malattie oggi incurabili. È quella dei giovani italiani, convinti dell’utilità del lavoro dei ricercatori anche se poco consapevoli di come si svolgano gli studi clinici e dei possibili rischi che un rallentamento di questa attività in Italia potrebbe causare. Lo rivela l’indagine “Scienza e salute: la voce dei giovani”, promossa da Novartis in occasione dell’evento “Sound of Science” che ha riunito a Milano istituzioni, medici, ricercatori e pazienti per condividere priorità e modelli d’azione necessari a potenziare la ricerca e sostenere la domanda di salute.
La ricerca, realizzata da AstraRicerche a giugno 2025 su un campione di 1005 italiani tra i 25 e i 65 anni, fotografa non solo la fiducia per il futuro ma anche la conoscenza diffusa (79,3%) da parte dei giovani che siano state le scoperte scientifiche del passato a far sì che malattie fino a 10-15 anni fa incurabili o scarsamente gestibili siano oggi trattabili. Grazie alla ricerca clinica, quindi, si può aumentare l’aspettativa di vita (lo afferma il 66,6% dei giovani), diagnosticare in anticipo e con precisione l’insorgenza di alcune malattie (66,4%), migliorare la qualità della vita dei pazienti di alcune malattie (63,1%).
Chi finanzia la ricercaSecondo i giovani che sanno che in Italia viene svolta ricerca clinica, i principali promotori sono le università e le loro cliniche universitarie (61,5%) e le aziende farmaceutiche (45,6%). Seguono gli ospedali pubblici (33,8%) e quelli privati (24,2%). Una convinzione solo in parte vera perché, se è vero che le sperimentazioni vengono svolte negli Irccs o nelle cliniche universitarie, a finanziarla è nell’80% dei casi l’industria. Per esempio, nel 2024 Novartis ha promosso circa 200 studi in Italia che hanno coinvolto oltre 2.300 pazienti in oltre 1.000 centri ospedalieri o universitari e ogni anno l'azienda investe circa 55 milioni di euro nel nostro Paese, dove operano i due importanti hub di innovazione di Ivrea in Piemonte e di Torre Annunziata, in Campania.
La ricerca porta saluteAlla fiducia nei progressi scientifici fa da contraltare la poca informazione dei giovani su cosa sia e come si conduca la ricerca clinica: ben 4 su 10 affermano di non sapere cosa sia, e solo la metà (52,7%) di chi la conosce pensa che la ricerca scientifica sia svolta in Italia.
Una mancanza di consapevolezza che aumenta ulteriormente se si guarda alla percezione dei giovani sul rischio per l’Italia di perdere la ricerca clinica nei prossimi anni. Se da una parte più della metà dei giovani ne ha sentito parlare (59,6% - ben superiore al 48,6% dei 40-65enni), dall’altra solo il 10,6% si ritiene ben informato.
Inoltre, solo poco più di 4 giovani su 10 (45,7%) ritengono che il rallentamento della ricerca clinica possa essere un rischio per il peggioramento della salute degli italiani nei prossimi 5-10 anni. I giovani hanno però un livello di preoccupazione maggiore rispetto alle conseguenze del rallentamento dei trials rispetto ai 40-65enni (42,0%), e in particolare le donne under 40 (49,2%).
Così, secondo i giovani italiani, i principali rischi per la salute degli italiani nei prossimi 5-10 anni sono l’inquinamento dell’aria e dell’acqua (74,6%) e un difficile accesso alla prevenzione e alle cure, con più attese e maggiori costi (70,9%). Per 2 su 3 possono influire anche alcuni comportamenti personali come l’alimentazione di qualità inferiore o in generale abitudini alimentari non corrette (66,0%) e la sedentarietà e il poco movimento (63,2%).
I pazienti sono a rischio se la ricerca rallentaSe diventasse difficile fare ricerca clinica in Italia, a risentire maggiormente per più di 3 giovani su 4 (77,6%) sarebbero i pazienti con un accesso più lento o limitato a nuove terapie che verrebbero introdotte prima dove si fa ricerca clinica (53,7%), un minore accesso a trattamenti (42,2%) e la difficoltà o impossibilità di partecipare a studi clinici (34,6%).
Per più di 1 su 2 ne risentirebbe anche il mondo del lavoro (50,9%) con la perdita di opportunità per i giovani ricercatori (35,9%) e il rischio che si investa meno nelle “professioni del futuro” (29,8%).
Inoltre, per 4 giovani su 10 (41,9%) anche il Sistema Paese sarebbe investito dagli effetti negativi, con una perdita di prestigio e competitività per l’Italia (28,0%) e di investimenti economici (25,3%).
La Repubblica